Uno dei quadri italiani più famosi del secolo scorso, è senza dubbio l’opera intitolata “Quarto stato”, attribuita all’artista Giuseppe Pellizza da Volpedo, esposta per la prima volta nel 1902 ed attualmente visibile nel Museo Novecento di Milano. Fa parte della corrente del “Divisionismo”, nata negli ambienti culturali milanesi a cavallo tra il 1800 e gli inizi del ‘900 sotto la spinta del “maestro” Segantini ed essenzialmente rifacente all’impressionismo, caratterizzato da una tecnica consistente nella stesura di colori puri a piccole pennellate, spesso puntiformi, nell’intento di ottenere la massima luminosità, lasciando che sia l’occhio dello spettatore a ricomporli.
Esposto alla Quadriennale di Torino, il quadro non ebbe un successo di critica, anzi, alimentò acerrime discussioni e polemiche sui temi trattati, quali l’uguaglianza sociale, i diritti dei lavoratori e la libertà.
A livello figurativo rappresenta una sorta di marcia pacifica di braccianti, con in testa una donna con figlioletto (il proletariato) verso un’ipotetica piazza, che qualcuno ha identificato con quella Malaspina di Volpedo, in una sorta di “vittoria”, che forse fece torcere politicamente il naso a quella che all’epoca era la borghesia piemontese.
L’insuccesso del quadro, stroncato dalla critica e l’impegno decennale profuso alla sua realizzazione, tolsero energia e motivazioni al pittore Tortonese, che, negli anni a seguire si specializzò essenzialmente su temi prettamente bucolici.
L’opera che preferisco in assoluto è “Il Sole”, che l’artista realizzò nel 1904, dopo una spasmodica ricerca del sito adatto per imprimere su tela quella che lui stesso definì come “immortale bellezza” che solo il sole ci può regalare, andando ad evidenziare, nella sua pittura, quella luce tanta cara ai seguaci del divisionismo. Tale ricerca avvenne in un territorio circoscritto tra le colline Tortonesi di Monleale, Berzano di Tortona e Sarazzano, e grazie alle indicazioni lasciate negli scritti del pittore, in base agli innumerevoli appostamenti, hanno permesso di redigere un itinerario che attraversa campi coltivati, frutteti e soprattutto vigneti.
Una delle strade percorse più e più volte dall’artista per poter dar vita a quello che personalmente definisco come capolavoro pittorico va sotto il nome di “La Cerreta”, che oltre ad essere stata indicata dal padre putativo del Timorasso, Walter Massa, come facente parte dell’antica “Strada del Sale” (la via del sale era un percorso commerciale che metteva in comunicazione la pianura Padana con il mare, attraversando l’Appennino e percorsa da carovane di muli e asini che portavano dal mare sale, olio ed acciughe e tornavano cariche di vino, cereali ed altri prodotti), è costeggiata da centenarie vigne frontaliere dei migliori viticoltori della zona e di sicuro, il Pellizza, ne sarà stato più e più volte ammaliato imprimendone su tela una meraviglia assoluta.
E’ probabile che, in onore di questa storica strada, e di questi ameni territori amati dal Pellizza e veri e propri Tesori dell’Unesco, Walter Massa, istrionico viticoltore che ho avuto il piacere di incontrare due volte nel mio cammino enologico, ha dato vita ad un vino iconico che ho degustato in una classica domenica dal sapore autunnale, accompagnandolo ad una succulenta costata di manzo di 4 etti c,ca.. Sto parlando del Cerreta annata 2002 di 14,5° vol., vino a bacca rossa, blend delle uve storiche del territorio Tortonese nelle quali predomina la Barbera, un vino senza compromessi, senza ma e senza se, come del resto l’intera gamma dei vini di Massa, da amare all’istante, dal primo sorso. Un vino che matura per un periodo di circa 24 mesi in barrique nuove, schietto come il suo padrone, intriso di quella saggezza contadina ed artigiana caposaldo di una vera e propria eccellenza vinicola italiana. Ma veniamo alla degustazione.
Stappato 4 ore prima di essere servito utilizzando precauzionalmente , visto l’età, cavatappi a lamelle, tappo di 5 cm. ancora sano e compatto.
Si presenta di color rosso rubino carico e profondo, impenetrabile e con chiari riflessi granati sull’unghia; al naso un iniziale e pungente profumo di violetta selvatica, lascia ben presto il sopravvento a frutta rossa, marasca Agriotta Nera piemontese e successivamente ad un intenso naso speziato di erbe aromatiche e balsamiche dove spicca un tocco di resina e ginepro e sul finale cuoio e pellame.
In un’annata difficile come la 2002, Massa è riuscito a produrre un vino taumaturgico; polposo, accattivante e ampio in bocca, dove traspare ancora un leggerissimo tannino, morbido e setoso e dove l’intensità gustativa riempie la cavità orale con un equilibrio tra acidità e dolcezza non indifferente. L’alcolicità, seppur presente è mitigata da una freschezza che non ti aspetti che invoglia a un continuo sorseggiare in un completo trip sensoriale, dal quale vorresti non fermarti mai.
Il Cerreta è l’emanazione di quella energia che il solo il Sole, immortalato dal Pellizza, può trasmettere e Walter Massa, ha avuto la bravura di riuscire ad incanalarla in un vino che ci riporta agli albori della nostra esistenza, dove nulla era incontaminato e la natura ad uno stadio così primitivo da essere rispettata e temuta.