Sin da piccolo la materia che preferivo a scuola era Storia e col senno di poi, forse avrei dovuto continuare gli studi in materie umanistiche anziché indirizzarmi su quelle tecniche, che mi hanno portato a sviluppare la mia carriera lavorativa nel settore bancario. In realtà la Storia, intesa come una ricerca critica relativa a una ricostruzione ordinata di eventi umani, in successione cronologica, è sempre stata la mia passione e allo stesso tempo quasi un’ossessione legata a vicende del passato e mai contemporanee. A volte ho il desiderio di possedere una macchina, una sorta di DeLorean (quella di Ritorno al futuro) per viaggiare eludendo la linea spazio/tempo, assistendo agli eventi del passato che hanno segnato la vita dell’uomo sulla terra. Ancora meglio, avrei voluto essere un albero secolare e più precisamente un cedro del Libano per poter sfidare il tempo diventando autentico spettatore della Storia.
Sono piante che hanno una vita media di 1200 anni e possono arrivare fino a 2000 anni; si ha traccia del cedro del Libano già nell’epopea di Gilgamesh e nel corso della storia venne impiegato dagli Assiri, dai Persiani, Romani, Arabi, Turchi e infine libanesi.
Quel che è importante è che il Cedro è il simbolo dell’immortalità e dell’eternità. E’ una sorta di incarnazione della grandezza d’animo e di elevazione spirituale per l’altezza del suo fusto, che può arrivare fino a 60 metri. Si ritiene che il tempio di Gerusalemme, il palazzo di Re Salomone fosse sorretto da colonne di Cedro.
A 2 km a sud da Nuits Saint-Georges (siamo in Borgogna nella Cote de Nuits) e precisamente nel villaggio di Premeaux-Prissey esiste un parco favoloso con al centro un enorme cedro del Libano, inserito in una più ampia tenuta cinta da mura (clos) erette nel XVIII secolo da Jean Charles Vienot, erede di una lunga stirpe borgognona, proprietario anche di vigneti che volle mettere al sicuro dando vita a quello che oggi va sotto il nome di Clos de l’Arlot. Nel 1891 la proprietà fu venduta a tale Jules Belin, commerciante di vini, che in seguito ampliò la tenuta vinicola acquisendo il Clos des Forets Saint-Georges e il Clos du Chapeau,dando vita al completamento dell’attuale Domaine de l’Arlot. Gli eredi, quasi un secolo dopo vendettero tutto quanto alla Axa Millèsimes (attuali proprietari) che in seguito, a completamento aziendale, acquistarono altre parcelle a Vosne-Romanèe e precisamente nei Cru “Les Suchots” e “Romanèe Saint Vivant”.
Attuale figura chiave del Domaine, da tempo in regime Bio, è Gèraldine Godot, enologa e microbiologa, originaria della Borgogna, formatasi professionalmente nel contesto regionale. Il credo aziendale è all’insegna di un intervento il più possibile naturale con l’incepit di mantenere rese basse grazie a un originale sistema di potatura definito “en fan” a metà strada tra il Guyot e il cordon de Royat (utilizzato in Borgogna per Chardonnay e Pinot Noir).
Il “Les Petits Plets”, viene prodotto con i vigneti più giovani del Clos des Forets Saint-Georges piantati nel 1987/88 e 89 e per l’occasione ho degustato l’annata 2005. Ogni volta che stappo una bottiglia di Pinot Noir del 2005 mi rallegro, ma mi pento allo stesso tempo perché è stata un’annata straordinaria e anche questa ne è la riprova. Mi è capitato un paio d’anni fa col Gevrey-Chambertin village di Claude Dugat e oggi si ripete con questo Nuits Saint-Georges 1°Cru “Les Petits Plets” di 13,0° vol., posto in posizione verticale 24 ore prima di essere stappato e versato 3 ore prima nell’apposito balloon tipo “Burgundy” prima di essere degustato (tappo compatto e sanissimo di cm. 5), si presenta di un bellissimo colore rosso rubino, con tenui riflessi aranciati sull’unghia e con una maggiore concentrazione e profondità di colore al centro.
Al naso, immediati sono i sentori di frutta matura, di cassis, di mora, di marasca ed amarena ed a seguire raffinata terziarietà appena accennata di humus, di spezie, cuoio e tabacco da pipa. Il finale è caratterizzato da un tocco boisèe, evocativo e voluttuoso oltre ad una leggiadra balsamicità.
In bocca è potente ed elegante allo stesso tempo, con un tannino che si manifesta con decisione, con ancora alcuni angoli da smussare. E’ fresco, carnoso e croccante con un’acidità da manuale e quel che meraviglia è la netta sensazione di gioventù, nonostante i 16 anni sulle spalle. La frutta ritorna con prepotenza in un corollario gustativo completato da una sottile ma piacevole vena di dolcezza, che lo impreziosisce rendendolo accattivante e sensuale al palato. Chiude con una persistenza davvero lunga e con un leggero retrogusto di noisette.
Un grande vino dotato di una superba materia, dove la mineralità e la potenza del terroir è stata perfettamente espressa.
Avrei voluto essere quel cedro, alto ed immortale che al centro della proprietà ha potuto osservare nel tempo il miracolo evolutivo di un luogo, che prima di tutto influenza l’arte di vivere, attraverso una lunga storia di vini, condividendone giorno per giorno il piacere. Non mi resta che “consolarmi” assaporando beatamente e con immensa gratitudine un Pinot Noir, che, come dice il mio caro amico Emanuele Spagnuolo, fa tutta la differenza del mondo.