Quando parliamo dei “riff” iniziali di chitarra più famosi, vengono inevitabilmente alla mente quello di “Smoke on the water dei Deep Purple”, quello di “Whole Lotta Love” dei Led Zeppelin e ultimo, ma non ultimo quello di “(I can’t get no) Satisfaction” degli inossidabili Rolling Stones. Ed è proprio delle pietre rotolanti, che vi voglio parlare, relativamente alla hit che li ha catapultati nel lontano 1965 in quella che definisco la hall of fame delle band mitiche della storia della musica. Come spesso accade, la nascita di un successo planetario è un mix di accadimenti misteriosi e fortuiti allo stesso tempo. Nel ’65, la band, agli albori della fama universale, si trovava in Florida; Keith Richards, una mattina si svegliò e trovò il suo registratore portatile fuori posto e con il nastro quasi terminato. Incuriosito lo riavvolse e lo ascoltò trovando inciso il riff, ripetuto per due minuti, oltre alla registrazione successiva del suo russare. Il fatto è che non si ricordava di aver fatto quella registrazione la sera precedente, forse in preda ai fumi di droga e alcool,,,,, Quel riff però era davvero travolgente, al punto che Mick Jagger, in un paio d’ore stese il testo che risultò essere il manifesto di una e vera e propria contestazione giovanile, precorritrice di quel fenomeno socio-culturale, nel quale grandi movimenti di massa socialmente eterogenei, formatisi spesso per aggregazione spontanea, interessarono quasi tutti gli stati del mondo con la loro forte carica contro gli apparati di potere dominanti e le loro ideologie: in sintesi il 68!!

Analizzando il testo, ci sono versi scomodi ed esplicitamente sessuali ed è per questo che  in un primo momento venne censurata nei passaggi in quella che al tempo era la radio di regime in Inghilterra, la BBC, al punto che solo le radio pirata continuavano a trasmettere il brano. La frase “I’m tryin’ to make some girl “ (sto cercando di farmi qualche ragazza), fu ritenuta troppo esplicita per l’epoca. La risposta di Mick a questa osservazione fu la seguente: “Non capiscono la battuta più sporca!!” visto che il testo prosegue dicendo che la ragazza gli chiede di tornare la settimana seguente perché è “on a losing streak”, ovvero ha il ciclo.

Il ritornello che inneggia di continuo al “non posso avere soddisfazione” fa emergere il disagio di una intera generazione che negli anni della contestazione avrebbe definitivamente chiuso con la classe conservatrice post-bellica, in una voglia di cambiamento, dove i posteri si sono divisi tra chi sostiene che il ’68 sia stato uno straordinario movimento di crescita civile e chi invece lo definisce come un fenomeno di conformismo di massa che ha messo a repentaglio la stabilità sociale.

Sta di fatto che, (I can’t get no) Satisfaction, come ha asserito Mick Jagger è stata la canzone che ha trasformato la band, da una qualsiasi band in una band enorme e mostruosa. Ha un titolo e un riff molto orecchiabile, e un ottimo suono di chitarra, originale per quel momento e cattura lo spirito dell’epoca che è molto importante per questo tipo di canzoni.

Inutile dire che Satisfaction fece guadagnare agli Stones la loro prima posizione numero 1 negli Stati Uniti, che in breve si trasformò nel loro primo disco d’oro, avendo venduto più di 1 milione di copie negli Usa. 

C’è un vigneron, tale Gilles Berlioz, che, a Chignin, nel dipartimento della Savoia sa creare vini che, al contrario della hit dei Rolling Stones danno estrema satisfaction !!

Figlio di un operaio, Gilles, titolare del Domaine Partagè è un enologo autodidatta, cresciuto a vino e Rolling Stones. Paesaggista di formazione, ha iniziato nel 1990 con 0,8 ettari nella zona di Chignin, aiutato dalla compagna Christine. Ora possiede 4,5 ettari, arati con un cavallo e convertiti al biologico nel 2005 e poi al biodinamico (non certificato). Dal semplice Chignin, al Mondeuse, passando per l’eccezionale Chignin-Bergeron vinificato in parcelle, tutti i suoi vini offrono espressioni sane, serene e di grande profondità gustativa, a cominciare dal suo entry-level, la Cuvèe Bibi- annata 2021, un blend di Gamay e Mondeuse messo in una bottiglia che a livello estetico è una meraviglia ed incarna il personaggio Berlioz, visto che è raffigurato a fumetto in etichetta ed è un omaggio proprio a lui e al suo modo di fare vino, grazie a un amico vignettista che ogni anno viene ingaggiato per comporre etichette sempre diverse.

Ma veniamo alla degustazione.

Si presenta di color rosso rubino, limpido ed uniforme con impercettibili riflessi aranciati sull’unghia. Al naso, dopo un iniziale nota riduttiva emerge un mix di frutta rossa giovane e di spezie, dove spiccano la fragolina selvatica, il ribes e il lampone ed a seguire erbe della macchia mediterranea, origano e timo e sul finale pasta di olive.

In bocca è semplicemente ruffiano e godibilissimo nella sua gioventù e nella gradazione davvero estiva (10,5° vol.) da renderlo il classico vino della convivialità giocosa e un po’ guascona. La sua immediatezza da enorme soddisfazione, ma nonostante ciò, lo definirei un vino complicatamente semplice perché è fatto decisamente bene e come si sa le cose semplici, in alcuni campi, spesso sono le più ostiche da realizzare. Il blend di Gamay e Mondeuse è azzeccatissimo perché uno completa l’altro in fatto di tannini e struttura. 

Quello che impatta in questo vino d’apertura è senza dubbio la sua immediatezza che infonde una sorta di spensieratezza di beva ma che allo stesso tempo soddisfa i sensi proiettandoti in quella che dovrebbe essere la vera naturalezza del vino. 

Penso che Mick Jagger, se avesse degustato questo vino nel ’65, avrebbero sicuramente stravolto il testo, ma di sicuro sarebbe stato comunque un successo.