Da appassionato viscerale dei vini francesi, nella primavera del 2017, mi sono avventurato nel Maconnais, regione situata a sud della Borgogna, più precisamente nella Saone et Loire, sita su una parte del margine orientale del Massiccio Centrale e i suoi limiti geografici si sovrappongono grosso modo a quelli dell’arrondissement di Macon, ed è proprio da Macon, capoluogo dipartimentale, che stabilii il campo base, punto di partenza per le avventure enologiche, in una terra dove il Pouilly-Fuissè regna sovrano.
A livello puramente naturale i vigneti più vocati sono posti ai piedi di due piccoli promontori preistorici, di cultura paleolitica, denominati Roche du Solutrè e Roche de Vergisson che, oltre ad essere protetti dalle legge quali siti classificati dal governo francese come “Grand Site de France”, rappresentano un raro fenomeno geologico popolato da una flora e da una fauna particolari. La più famosa delle due rocce è senza dubbio la Roche du Solutrè, cha ha il punto più alto a 493 metri e che iniziò a conquistare fama negli anni ’80, grazie all’ascensione rituale del Presidente della Repubblica Francois Mitterand, che il giorno di pentecoste, accompagnato da alcuni amici, era solito arrivare in cima, in una sorta di pellegrinaggio, iniziato nel lontano 1946 insieme al cognato Roger Gouze. L’ascesa verrà percorsa per 49 volte, fino al 1995 anno della sua morte.
Qualcuno ci ha ricamato sopra, cospirando sul fatto che quei “pellegrinaggi” potessero essere il pretesto di incontri segreti di “massoni” e di esponenti legati al “Priorato di Sion”, questo perché Mitterand veniva spesso messo in relazione con la sua passione per l’Egitto dei faraoni, immortalata dalla Pyramide del Louvre e dalla Grande Arche della Dèfense, una sorta di stargate, che potessero celare appartenenze esoteriche in società segrete volte alla dominazione del mondo….
Sta di fatto che anno dopo anno, l’ascesa di Mitterand alla Roche era sempre più disturbata dalla presenza di curiosi, ma soprattutto di giornalisti, al punto tale che un anno, accompagnato da un unico giornalista, Jean-Paul Golli, decise di depistare tutti, scalando la Roche de Vergisson ed in cima si rivolse a lui dicendogli: “ Vedi laggiù, tutti i tuoi colleghi mi stanno aspettando. Cosa scriveranno domani? Non è salito…..è troppo stanco ….è malato. No, dirai che cavalcava Vergisson!!!”
La Roche du Vergisson, dirimpettaia a pochi km in linea d’aria da quella di Solutrè, domina dai suoi 485 metri la valle del Beaujolais e il villaggio di Vergisson sottostante, circondato da vigneti.
La sua formazione calcare risale alla fine dell’era primaria; ricoperta dal mare per milioni di anni è formata da diversi strati calcarei che intrappolano detriti di molluschi, conchiglie e altri animali marini ed è molto facile trovare fossili anche a strati superficiali.
Ai suoi piedi il villaggio di Vergisson e un’azienda vinicola, quella dei Saumaze-Michelin che mi sono entrati nel cuore e di cui ho già parlato in altra recensione, che hanno rappresentato per me l’emblema di un territorio e di una viticultura di qualità, a torto e per troppo tempo oscurata dalla più rinomata e reclamizzata Borgogna del Nord, della Cote d’Or e del territorio di Chablis.
L’ascesa di Mitterand, in quell’anno particolare alla Roche de Vergisson , depistando le mond entier (per dirla alla francese) mi è parsa come la metafora di un riscatto, di una sorta di proclama in cui il messaggio forte e chiaro è: “Ci siamo anche noi!!!”, dove Solutrè prende le sembianze della Cote d’Or e Vergisson del Maconnais, ma più in generale di quella Borgogna che avanza a grandi passi e che dal 2020 ha avuto il beneplacito di poter produrre 22 premier cru. Amando i bianchi di Borgogna ed immerso in un sentimento misto di malinconia e di ricordi, non ho potuto fare a meno di stappare l’ultima bottiglia in cantina di Pouilly-Fuissè “Clos sur la Roche” annata 2015, di 14,0° vol. del Domaine Saumaze-Michelin, degustata in una giornata terribilmente calda, cha ha saputo rinfrescare i sensi e l’anima.
Versato nell’apposito bicchiere da degustazione si presenta di un bel colore oro zecchino limpidissimo ed uniforme; al naso nitide sensazioni di matrice agrumata di limone maturo e di ananas prendono la scena, e a seguire una leggera nota floreale di fiori d’arancio e una nuance boisè di rovere. Atteso ulteriormente nel bicchiere si avverte una nota vegetale leggermente speziata. La bocca non tradisce in un mix di grassezza e mineralità, sorretto da una spalla acida di primordine, dove i rimandi agrumati la fanno da padrone. Un vino molto orizzontale, ampio, persistente, con un retrogusto di noisette davvero intrigante su un fondo salino che invoglia voluttuosamente il palato a concedersi un altro perentorio sorso. Uno Chardonnay maestoso, come la Roche du Vergisson, un vino decisamente territoriale che tiene testa ai bianchi di Chassagne, di Puligny e di Meursault.
Mi piace pensare che prima di percorrere l’ascesa, il Presidente si sia fermato dai coniugi Saumaize e sia ripartito con una bottiglia di Clos sur la Roche, da assaporare al tramonto sulla vetta di quel promontorio, che come una sfinge, in coabitazione con Solutrè domina un terroir magico e rigoglioso.