Sin da piccolo, sono sempre stato affascinato dalla storia, al punto che ogni qual volta mi è chiesto cosa avrei voluto fare da grande, rispondevo sempre allo stesso modo: “l'archeologo”. In particolare mi affascinava la Storia arcaica, dagli albori, sino alla fine del Medioevo e uno dei primi argomenti che attirarono la mia attenzione scolastica, fu senza quello dedicato alle “sette meraviglie del Mondo antico”.
Ricordo, che istintivamente mi posi la domanda perché 7 e non 8 o un altro numero, senza trovare una risposta, neanche dalla mia insegnante, anche se poi, facendo una ricerca personale ed esplorativa, venni a conoscenza che il 7, simbolo per eccellenza della ricerca mistica, rappresenta ogni forma di scoperta e conoscenza; considerato il numero della filosofia e dell'analisi è riscontrabile dall'elevato numero di volte in cui ricorre in materie sia spirituali che religiose. Visto che le sette del mondo composto parte di una lista concordata nel III secolo aC sia dagli antichi greci, che dai romani e che a quell'epoca le 7 opere erano esistenti e tutte intatte, rappresentavano di certo la massima conoscenza espressa in quel periodo davvero grande.
Sarebbe facile pensare alla Piramide di Cheope o alla statua di Zeus ad Olimpia, ma in realtà, quelli che davvero mi incuriosivano sono sempre stati i Giardini pensili di Babilonia, forse perché erano insiti in quella che potremmo definire la prima grande metropoli della storia, un intreccio culturale e di razze che nella sua magnificenza, ma anche nella sua complessità, ha dato origine ai giorni nostri al detto “è una Babilonia” intendendo spesso un luogo di perdizione e di ignominia, oltre che di gran confusione.
La mia curiosità di fanciullo stava nel fatto che non è mai esistita nessuna traccia della loro reale ubicazione, diventando uno dei grandi misteri archeologici dell’antichità. Secondo la tradizione, i giardini erano meravigliosi, sia per il fatto che fossero stati edificati su vari livelli di altezza, sia per l’innovativo sistema di irrigazione che ne favoriva l’aspetto lussureggiante. L’unica certezza è che la loro costruzione è da attribuire al re Nabucodonosor II, nel VI secolo a.C., anche se tradizioni più antiche indicano nella leggendaria figura della regina assira Semiramide la vera ispiratrice. Tutto ciò ha sollevato da più parti se i Giardini Pensili di Babilonia siano realmente esistiti o se si tratti di una leggenda, ma poco importa, ciò che conta è che Babilonia e i Giardini fossero un riferimento essenziale di quell’epoca, al punto che si è scomodata anche la Bibbia ed in particolare il profeta Geremia che evocò il potere e il suo fascino ammaliante e tentatore dicendo: “Babilonia era una coppa d’oro in mano al Signore, con la quale egli inebriava tutta la terra”.
I Giardini Pensili rappresentarono, per l’epoca, il genio umano, la capacità osmotica tra l’uomo e la natura, di dar vita a una meraviglia mai più replicabile.
Ci sono, o in questo caso, è meglio dire ci sono state persone, che sono riuscite nella loro vita, in un connubio di solido e imprescindibile legame con la natura, a creare vere e proprie meraviglie che restano di imperitura memoria. Se penso al campo enologico, mi sovviene il nome del compianto Didier Dagueneau, dipartito troppo presto da questo mondo, genio incontrastabile del Pouilly Fumè e quindi del Sauvignon Blanc, ma anche di impressionanti Jurancon che ancora oggi, riportano in etichetta, il nome di “Les Jardins des Babylone”.
A perpetrarne i fasti, sono rimasti i figli ed in particolare Louis-Benjamin che, emulando l’estro e la saggezza del padre, porta avanti una tradizione consolidata nel tempo, al punto di rimanere il riferimento di appassionati e degli altri vignerons della Loira orientale ed anche del Jurancon, terra pirenaica, che rappresenta una delle più antiche Aoc francesi, composta principalmente dai vitigni Gros e Petit Manseng e dai comprimari Corbu blanc, petit Corbu, Camaralet de Lasseube e Lauzet. Tra l’altro, le prime tracce di questo vino risalgono al 988 d.C. e nel corso della storia, prese il soprannome di “vino reale”, per il fatto che si dice che durante il battesimo di re Enrico IV, gli siano state inumidite le labbra con del Jurancon. Nel 1936 l’Aoc per i vini dolci e successivamente nel 1975 per quelli secchi. Per creare al meglio l’atmosfera, metto in sottofondo la traccia nr. 4 dell’Lp dei Rainbow denominato “Long live Rock’N’Roll” del 1978, vale a dire “Gates of Babylon” (che vi invito ad ascoltare) e con un mix di trepida attesa e misticismo enoico, mi accingo a degustare il Jurancon sec “Les Jardins de Babylone” annata 2014 di 12,5° Vol , un blend dei vitigni summenzionati che, post fermentazione e prima di essere assemblati affinano sia in acciaio che in botti di “sigari” tanto care al padre Didier. Due caratteristiche particolari: la prima è che la bottiglia è decisamente più pesante di quelle utilizzate universalmente; la seconda è che a parer mio, l’etichetta è davvero bella ed evocativa. Campeggia la figura di un Leone, che salvo errori, ritroviamo sulla porta di Ishtar, risalente al VII secolo a.C. e che fu costruita al tempo di Nabucodonosor II; essa era l’ottava porta della città interna ed era collocata nella parte nord di Babilonia. Era dedicata alla dea dell’amore e della guerra, Ishtar. Da questa porta si entrava in città, con un accesso diretto sulla strada principale, la via delle Processioni, che collegava la ziqqurat e il tempio dedicato al dio Marduk, al Palazzo delle feste e forse direttamente ai Giardini Pensili (oggi possiamo ammirarne i resti al Louvre). Il Leone, come la sfinge egizia, a guardia di un’ideale Stargate (la porta di Babilonia), che introduce in una dimensione misteriosa, di un vino capace di stupire gli eterni sognatori come me. Versato in ampio balloon, si presenta di color giallo paglierino, con tenui riflessi dorati, limpido e lucente nella sua uniformità cromatica.
Al naso, dopo un iniziale leggero tocco riduttivo, sprigiona decisi matrici agrumate di limone maturo e di pompelmo; lasciato ulteriormente ossigenare si avvertono sensazioni vegetali di erba appena tagliata ed a seguire pietra bagnata. Roteato ulteriormente nel bicchiere emana sensazioni nette di polvere da sparo.
In bocca è qualcosa di misterioso e seducente allo stesso tempo, con una timbrica citrica notevolissima, forse addirittura esagerata, passando da un iniziale verticalità ad un’ampiezza gustativa impressionante ed attraversata da un’acidità tagliente che da la sveglia alle papille, sovrastate da cotanta inaspettata meraviglia gustativa. Salivante, con spiccata induzione alla continua beva, chiude con una persistenza pregevolissima su di un retrogusto leggermente amarognolo di noisette tostata.
Un vino che mi ha sedotto, come Babilonia ei suoi giardini e allora, non mi resta che continuare la degustazione ascoltando in sottofondo i versi della mitica canzone dei Rainbow……
Il potere di ciò che è stato prima
Sorge per intrappolarti dentro
Un tappeto magico cavalca un genio forse di più...
Alle porte del dolce inferno Babilonia!!!!
(Il potere di ciò che è stato prima
sorge per intrappolarti dentro
Un tappeto magico cavalca un genio forse di più...
Alle porte del dolce inferno Babilonia!!!!)
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