Fabrizio Caramagna, conosciuto anche come “ricercatore di meraviglie”, è uno degli autori italiani più citati e lo scrittore di aforismi (vivente) più conosciuto al mondo. Per aforisma si intende la massima, la sentenza, definizione che in brevi parole riassume e racchiude il risultato di considerazioni, osservazioni, esperienze.
Di recente ho letto questa sua affermazione: “Lo sport fu inventato per dare ai non eroi l’illusione di esserlo”.
Da grande sportivo praticante, ma non talentuoso, ho condiviso quanto dichiarato dal Caramagna fino a che non mi sono imbattuto in una fotografia datata 1928, che ritrae tal Giusto Cerutti, piemontese di San Giusto Canavese, nato nel 1903 e per cinque anni, dal 1927 al 1932 professionista di ciclismo. Di lui, si ha solo una foto, quella che lo ritrae al Tour de France del 1928, iscritto nella categoria dei touriste-routiers, ciclisti che correvano senza una squadra ufficiale, una sorta di ciclista indipendente spinto unicamente dal coraggio della sfida e dalla smisurata passione per le due ruote. Se fosse veramente solo non è dato sapersi, anche se sulla maglia campeggiava la scritta Fratelli Cerutti e potrebbe essere che avesse almeno un fratello o un parente al seguito.
In quel Tour, vinto dal Lussemburghese Nicolas Frantz, (un campione per l’epoca che conterà a fine carriera un palmares con due vittorie al Tour de France e una dozzina di titoli nazionali), le tappe erano ventidue per 5.377 chilometri, da Parigi a Parigi.
Giusto Cerutti porterà a termine le prime sei classificandosi sempre nel gruppone tra il cinquantesimo e il novantesimo posto; l’ultima, la Vannes- Les Sables d’Olonne lo vedrà settantacinquesimo al traguardo, in poco più di 7 ore (204 km), poi il vuoto, o molto probabilmente la foto incriminata.
La foto lo ritrae a piedi, provato su una strada sterrata, sulla spalla destra la propria bicicletta, nella mano sinistra il cerchione della ruota anteriore completamente deformato, la camera d’aria avvolta intorno al collo, il ginocchio destro completamente fasciato e con un rigolo di sangue che parte sopra il ginocchio sinistro fino ad arrivare alla caviglia. La maglia risvoltata, sporca (evidenti i segni di una caduta) e sudata, dove campeggia con fierezza la scritta Fratelli Cerutti e sotto il berrettino un viso emblematico che racconta più di mille parole, dove spiccano gli occhi scavati e tristi ma allo stesso tempo pieni di dignità e di fierezza. Una foto che fa trasudare polvere, sudore e fatica e che a mio modo di vedere lo immortala quale caposaldo di un ciclismo eroico, dove questa immagine vale molto più di una vittoria!!
Giusto Cerutti a suo modo è stato un eroe del suo tempo, forse un eroe per caso o forse un eroe per un giorno, ma pur sempre un eroe.
In Italia, ci sono zone enologicamente vocate a tal punto da creare vini rossi tra i più pregiati al mondo; mi sto riferendo alla Valtellina, dove il Nebbiolo, chiamato Chiavennasca, stupisce, ma non è il solo, visto che forse quel che meraviglia ancor di più è l’eroicità di alcuni viticoltori.
Uno di questi è tal Lorenzo Mazzucconi, un eroe del nostro tempo, che con sudore e fatica tra i terrazzamenti dei muretti a secco su pendici ripide e scoscese, sa dar vita, in simbiosi con il territorio, a vere e proprie chicche enologiche. Ha fondato l’azienda agricola Pizzo Coca, con sede nell’ex latteria di Ponte Valtellina in provincia di Sondrio. Dopo varie esperienze in diverse cantine e aziende sparse in giro per l’Italia e anche un’apparizione in Nuova Zelanda, è tornato all’ovile in Valtellina nel 2011 per coltivare poco più di un ettaro e mezzo di vigne situate a 500 metri s.l.m. oltre ad acquistare uve da altri vignaioli per poter produrre le attuali 15.000 bottiglie. Una piccola realtà fatta di sudore e lacrime.
Non sto parlando “dei campioni” super conosciuti della Valtellina, ma di un vigneron dall’aspetto un po’ trasandato, capello lungo, barba “marxista”, occhialino da intellettuale, un po’ ribelle e un po’ corsaro, un individualista, senza l’appoggio di una squadra, di sponsor e marketing collaudati, né tantomeno di benevole guide, ma un vero e proprio eroe che deve farsi largo ogni santo giorno per poter trovare la propria dimensione.
Sono costantemente alla ricerca di vini che hanno un’anima e che trasudino di fatica contadina e di eroismo e grazie al sig. Ginetto dell’omonimo Mini Market di Santa Caterina Valfurva, dotato di piccolo angolo enoteca, ho scoperto il Rosso di Valtellina – Pizzo Coca, annata 2021 di 13,0° vol, prodotto in 4506 esemplari di Chiavennasca in purezza, vendemmiato il 20/10/2021, macerazione di 19 giorni in acciaio per l’80% e 65 giorni in legno per il 10% e in cemento per il restante 10%; fermentazione con lieviti indigeni e non filtrato.
Versato in ampio balloon , si presenta visivamente di un bel colore rosso rubino tendente al porpora con leggere velature; al naso emerge un’immediata parte fruttata di fragolina selvatica, lampone e visciole. Atteso ulteriormente nel bicchiere, lievi speziature ed erbe aromatiche. In bocca è dotato di una piacevolissima beva, molto scorrevole, non molto complesso ma contraddistinto da una gioiosa convivialità, dove l’entry-level della piccola gamma di Mazzucconi risulta apparentemente semplice, ma ben fatto ed un particolare tocco di acidità gli conferisce quel quid di struttura che lo rende davvero interessante e che ben si amalgama con il corollario gustativo fruttato. Una Chiavennasca davvero intrigante al punto che la bottiglia si finisce in un batter d’occhio. Mazzucconi non è certo un campione dell’enologia mondiale ma più probabilmente è un Cerutti dei nostri tempi, dove dimostra però di essere molto piu’ eroe rispetto a tanti altri più blasonati ed osannati.