Se dovessi chiedere ad un appassionato di vino, che abbia visitato quella terra magica che ha per nome Borgogna, quale sia il simbolo enologico di quella incomparabile regione, senza orma di dubbio la risposta sarebbe inequivocabilmente lo Chateau de Vougeot. 

Piantato ben saldo, come un’isola, in mezzo a storici vigneti, questo famoso edifico costruito nel XII secolo sotto l’egida dei monaci cistercensi, si erge a baluardo del mitico vigneto Clos de Vougeot, dal quale si produce l’omonimo Grand Cru, uno dei più prestigiosi dell’intera Cote de Nuits. 

Se esiste lo Chateau, oggi monumento nazionale francese, il merito è del cristianesimo; infatti, dall’inizio del VI secolo, l’instaurarsi della fede cristiana richiese la costruzione di abbazie con il conseguente ampliamento dei poderi annessi agli edifici monastici. La più nota è l’abbazia di Citeaux, fondata nell’XI secolo dall’abate Robert de Molesmes, grazie a elargizioni dei Conti di Borgogna, i quali, per assicurarsi il paradiso, donarono svariati ettari di terreni che vennero vitati dalle sapienti mani dei monaci, che, per conservare il vino costruirono le fondamenta del castello, nel quale furono posti quattro torchi monumentali con argani in legno di quercia e una vasta cantina con una capacità di oltre 2000 contenitori di vino. Sopra la cantina costruirono una struttura muraria che fungeva da dormitorio per i monaci-viticoltori. Nel 1551, il 48° abate di Citeaux, Dom Loisier, diede forma a quel maniero rinascimentale che ancora oggi porta il nome di Chateau de Vougeot. L’abbazia di Citeaux rimase proprietaria del vigneto  Clos de Vougeot e dello Chateau fino al 1789, anno della Rivoluzione Francese. Ne seguì un periodo oscuro, dove il vigneto confiscato venne parcellizzato tant’è che oggi,  gli attuali proprietari sono circa un’ottantina, alcuni dei quali con pochissimi filari.

il proprietario con l’appezzamento più grande è lo Chateau de la Tour (5,48 ettari), l’unico che ha il Domaine all’interno del Clos (ho avuto il piacere di fargli visita un paio di volta nel 2006 e nel 2013) e l’unico autorizzato a vinificare direttamente in loco; segue il Domaine Meo Camuzet con 3,03 ettari. Anche lo Chateau cadde in disgrazia, ma grazie all’impegno del facoltoso banchiere Julien Ouvrard e in seguito del mercante Leonce Bocquet tornò ai fasti di un tempo e nel 1934 due figure di spicco della Borgogna vinicola, vale a dire Georges Faiveley (proprietario dello storico Domaine Faiveley) e Camille Rodier, esimio scrittore enologico borgognone, diedero vita alla Confriere des Chevaliers du Tastevin, una confraternita di amanti del vino, che oltre a promuovere originariamente degustazioni tra amici, mira ancora oggi a svelare la complessità dei vini dell’intera regione. Come i cavalieri di memoria arturiana, i membri della confraternita difendono la ricchezza ampelografica del territorio, promuovendo attraverso veri e propri capitoli, le eccellenze enologiche dei Domaines che hanno fatto la storia e di quelli che stanno emergendo in un panorama sempre piu’ complesso. Oggi sono circa 12.000 gli affiliati sparsi in tutto il mondo ed è proprio allo Chateau de Vougeot che si svolgono la maggior parte dei capitoli.

Il Clos de Vougeot si estende dalla cima del pendio al confine tra il vigneto Grand Echezeaux e la punta di Musigny, fino alla strada principale. 

L’ultima volta che ho visitato il Clos e lo Chateau risale al 2019, di ritorno dalla Mosella, insieme al compagno di ventura e grande amico William; ogni volta è sempre un’emozione diversa. 

Il passare degli anni mi rende sempre più nostalgico  e voglioso di ritornare al più presto in quei luoghi e per colmare parzialmente questo stato d’animo, scendo in cantina e mi impossesso di una bottiglia di Clos de Vougeot Grand Cru annata 2006 del Domaine Jean Grivot, di 13,0° vol. 

Originaria della regione francese dello Jura, la famiglia Grivot è da secoli impegnata nel campo della viticoltura, sin da quando nel lontano 1600 si trovava nella città di Arcenant, in Côte d’Or. Fondata da Joseph Grivot, l’azienda venne trasferita a Vosnée-Romanée poco prima della rivoluzione francese, per poi essere ampliata dal figlio dello stesso Joseph, Gaston Grivot, il quale riuscì ad aggiudicarsi importanti appezzamenti vitati rientranti nel celebre “Clos de Vougeot”, al quale più tardi si aggiungeranno tre ettari del cru Richebourg,
 Gestito dalla fine degli anni ’80 da Etienne Grivot, subentrato nella guida aziendale dopo alcune esperienze in California e molte altre in Francia e a sua volta al momento coadiuvato dai suoi due figli, il Domaine Jean Grivot si estende attualmente su una superficie complessiva di circa 42 ettari, e può vantare vigneti corrispondenti a ben 18 diverse AOC( le nostre D.O.C.). Attenzione maniacale all’ambiente, alla natura e alla biodiversità, uso del cavallo al posto dei trattori, fermentazioni con lieviti indigeni e affinamenti in barrique di rovere Allier per non meno di 18 mesi, nessuna chiarifica e filtrazione all’imbottigliamento, sono i credo di questo Domaine storico. 

Ma veniamo alla degustazione.

Bottiglia posta in verticale per 24 ore, per agevolare eventuali sedimenti, stappata 5 ore prima di essere servita, tappo sanissimo e compatto di 5 cm; visivamente si presenta di color rosso rubino con riflessi aranciati sull’unghia, limpido e cromaticamente più concentrato verso il centro del bicchiere.

Al naso, iniziali aromi intensi di frutta rossa, di ciliegia, visciola e prugna matura, sono ben presto soppiantati da profumi terziari di sottobosco, terra bagnata, muschio, un lieve sentore di goudron e sul finale accenni a tabacco dolce. 

Ho sapientemente atteso l’assaggio per lasciare agire una corretta ossigenazione ed in bocca si dimostra decisamente verticale, austero ed attraversato ancora da un’astringenza che allappa impetuosamente il palato. E’ potente e nonostante i 16 anni sulle spalle risulta, a tratti, restio nel voler essere domato, dando l’impressione di essere dominato da carattere un po’ sauvage. L’acidità è ancora ben presente e i rimandi fruttati in buona corrispondenza olfattiva; è minerale e chiude con un finale sostenuto su di un retrogusto di caffè amaro. 

Un vino impegnativo, per palati allenati, che testimonia che il Pinot Noir sa invecchiare bene, che il Clos de Vougeot ha un terroir estremamente vocato e che Il Domaine Grivot sa il fatto suo. Il prezzo sullo scaffale delle enoteche non è per tutte le tasche, ma almeno una volta nella vita un Clos de Vougeot Grand Cru, per chi è appassionato, è bene sia degustato. 

Fortunati i Chevaliers che, nel maestoso salone dello Chateau de Vougeot, muniti del tastevin, al pari delle spade dei cavalieri arturiani, difendono e sublimano la grandezza dei nettari borgognoni.