"Nessun cuore ha mai provato sofferenza quando ha inseguito i propri sogni."

(Paulo Coelho, L’Alchimista 1988)


Le innumerevoli peregrinazioni nelle lande sconfinate del vino, mi fanno sentire sovente come un novello Ulisse che ha affrontato mille affascinanti avventure ed altrettante insidie, ma a differenza dell’eroe omerico non intendo far ritorno all’amata patria, perpetuando il viaggio che non mi ha ancora avvicinato a varcare le “colonne d’Ercole” della “Conoscenza”. Dopo anni di autentico apprendistato, quasi esclusivamente in modo autodidattico, fatto eccezione per un corso di degustazione professionale e dopo aver macinato chilometri e chilometri in Italia, più e più volte in Francia, in Germania, in Ungheria in Spagna, visitato oltre 100 cantine di piccole e grandi realtà ed affinato a lungo i sensi, ora più che mai, arrivato ad una certa maturità enologica ed anagrafica, sento la necessità di nutrirmi di sensazioni ed emozioni uniche che apparentemente possono rappresentare solo piccoli frammenti di felicità, ma che in realtà alimentano una passione infinita che mi accompagna da oltre un ventennio.

Nel 2020, quasi per caso, vengo attratto da una bottiglia di Pinot Nero, annata 2011 e da quanto riportato in etichetta…..”Opificio del Pinot Nero di Marco Buvoli”. Sono figlio di un operaio e contadino allo stesso tempo, conosco la fatica e il sacrificio e solo pensare a Opificio ho da subito immaginato, ancor prima di informarmi su internet, a una bottega artigiana all’interno della quale avviene la trasformazione di una materia prima in un prodotto finito, in questo caso all’assioma uva-vino. Ho colto la semplicità, ma allo stesso tempo l’importanza che questo vignaiolo abbia dato alla sua professione, oggi così lontana dai canoni di una società che vive di servizi e di virtuale. Non ho esitato ad acquistarla e recensirla. A onor del vero, come Paolo di Tarso, sono stato letteralmente “folgorato sulla  via di Damasco” perché degustandola, venivo magicamente teletrasportato in Borgogna, in quella che definisco la mia patria enologica, dove il vitigno Pinot Noir esprime la sua massima espressione. Nella mia testa, sempre in costante fermento, è balenata immediatamente l’idea di far visita a un autentico italiano travestito da “vigneron” borgognone. L’occasione è arrivata e il 22 ottobre, insieme all’amico William, fine intenditore di Champagne, abbiamo avuto il privilegio di far la conoscenza di Marco Buvoli. Siamo nel piccolo comune di Gambugliano (a 15 km. da Vicenza), sulle colline vicentine, storicamente più vocate all’allevamento di vitigni quali la Garganega e il Cabernet Sauvignon, ma dove una sorta di “visionario del vino” ha voluto cimentarsi con il Pinot Nero, sia fermo sia con bollicine metodo classico. L’approccio è stato dei migliori, visto che dopo pochi convenevoli, ci siamo diretti in cantina dove abbiamo ascoltato con interesse la storia di questo vignaiolo, non figlio d’arte, che da subito si è definito “autodidatta”, una sorta di dilettante che fa le cose che ama con passione e con ancora davanti un sogno. Devo dire che mi sono ritrovato in lui per alcune analogie; entrambi sportivi, runner di lunghe distanze, entrambi amanti della Borgogna, della Champagne e quindi del Pinot Noir ed entrambi con una passione incredibile. La differenza sostanziale è che Buvoli ha avuto il coraggio di inseguire il sogno di diventare vignaiolo, lasciando un lavoro importante che lo vedeva in giro per il mondo di continuo, ma che gli ha permesso di avere la solidità alle spalle per poter intraprendere, inizialmente con degli amici e poi, rimasto solo, quell’avventura che ancora oggi lo vede sperimentare guardando sempre oltre. 

Dopo aver acquistato casa sui colli vicentini, parte con tanto coraggio con la prima vendemmia nel 2001, definendo la sua produzione una sorta di “vin de garage”, esigua, in parte sperimentale e sfidante visto le caratteristiche di un vitigno storicamente impegnativo in vigna e in tutti suoi cicli vegetativi. L’acquisto dei vigneti è fatto con estrema cura e meticolosità andando a verificare a livello geologico la conformazione morfologica che, nella fattispecie, rasenta le stesse caratteristiche borgognone e della Champagne, con calcare e argille, ma su sedimenti più giovani; si parla di stratificazioni di 60 milioni di anni fa contro i 145 milioni del periodo Jurassico di quelli d’oltralpe. 

Osservandolo muoversi tra le botti e nella piccola sala adibita alle degustazioni e alle faccende amministrative, dove campeggiano in bella vista innumerevoli bottiglie di vini italiani e stranieri che gli hanno dato emozione, ho avuto la strana, ma piacevole sensazione di essermi imbattuto in una sorta di alchimista. Gli alchimisti erano soliti trascorrere lunghi anni nei laboratori, osservando con pazienza certosina il fuoco che purificava i metalli e nel tempo scoprivano che anche la loro anima veniva purificata.

Sono quasi certo che, come un perfetto alchimista, Buvoli sia in possesso della Pietra filosofale che gli permette di compiere annualmente quella trasmutazione alchemica dell’uva che gli consente di dar vita a vere e proprie chicche enologiche che risplendono come il piombo trasformato in oro. La sua personale pietra filosofale è un mix di umiltà, di determinazione, di coraggio e soprattutto di passione, perché come dico sempre io se non hai passione non hai un cuore e se non hai un cuore non hai quei sogni che sono il segreto di questa vita. Il dettaglio delle degustazioni seguenti sono il fulgido esempio di quanto sto affermando. Caratteristica del suo metodo classico è di affidarsi a quella che viene definita Reserve Perpetuelle , ovvero quella tecnica nata in Francia per portare complessità e valore al terroir e di conseguenza al vino. Il concetto di Perpetuelle è figlio della volontà di non esaltare la singola annata ma di dare importanza alla territorialità mettendo insieme le caratteristiche di annate diverse. Anno dopo anno la botte viene parzialmente svuotata e quel vino viene utilizzato per comporre le cuvèe e la botte viene poi ri-riempita con il vino della nuova annata. Avremo quindi il vino della singola annata come base al quale vengono aggiunti i vini di riserva che ogni anno vengono implementati con quelli dell’ultima annata. 

E’ qui che esce l’abilità e la maestria di un vignaiolo Accanto alla Perpetuelle il metodo Solera in cui si trova una sorta di collegamento piramidale di diverse botti. 

Le degustazioni vengono effettuate in una tarda mattinata, un po’ uggiosa, anche se poi nel pomeriggio il tempo migliorerà nettamente, sotto un bel pergolato ed in compagnia di due membri dell’A.i.s. di Vicenza , tra cui Diegio Schiavoi arrivato recentemente sesto in un contest della regione Veneto e di una giovane coppia di appassionati di Ravenna. 

Si parte con il Metodo Classico extra-brut 3, 100% Pinot Nero. Caratteristica del Buvoli è quello di nominare le sue bollicine con un numero che rappresenta la sosta temporale dei lieviti per la seconda rifermentazione in bottiglia. 36 mesi sui lieviti, dosato 3 grammi/litro, vino base 2018 più Perpetuelle, si presenta con una bella presa di spuma nel bicchiere da degustazione, con un color giallo paglierino, limpido e brillante e con una bollicina finissima e persistente. Al naso, il corredo olfattivo fa emergere sensazioni agrumate, leggermente citrine di scorza di lime e a seguire nuances di fiori bianchi, una suadente crema pasticcera e crosta di pane. Al palato ha una bellissima freschezza, è decisamente verticale con una decisa spalla acida, ma allo stesso tempo è elegante e lascia una bella pulizia in bocca. Un entre level davvero importante. Una sorta di marchio di fabbrica che impressiona.

A seguire il Metodo Classico 5 -Pas Dosè, 100% Pinot Nero. 60 mesi sui lieviti, vino base la 2015 più Perpetuelle, figlio di un’annata calda; di norma, e questo non fa eccezione rappresenta, visto l’assenza di dosaggio, il vino “nudo e crudo” senza l’aggiunta del liqueur d’expedition, un Brut Nature che a mio modo di vedere esalta la qualità delle uve e contiene sempre l’imprinting della personalità e della maestria del vignaiolo. Personalmente, Buvoli si supera, dando vita a un vino dal colore giallo dorato luminoso contraddistinto da un bouquet che va da sentori agrumati, a quelli di pan brioche, ad accenni cremosi e burrosi, a un tocco di miele, per poi virare su piccole spezie e a livello retro-olfattivo si avverte una nota leggermente ossidativa che non disturba.

In bocca è deciso, minerale, sapido, con una freschezza davvero invidiabile su di un finale lungo e persistente.

Già questi due sarebbero sufficienti per esaltare le qualità del suo metodo classico, ma andiamo oltre con il Metodo Classico 7 Rosè, 100% Pinot Nero. 84 mesi sui lieviti, si presenta nel calice con un colore davvero invitante, tra il leggero ramato e i riflessi rosati, limpido e brillante. Perlage finissimo e naso decisamente fruttato di piccoli frutti rossi, quali il ribes, il lampone, ma soprattutto la fragolina selvatica. Agile al palato, ma con una bella struttura, decisamente gastronomico ma impegnativo allo stesso tempo. Una bolla importante che mi ricorda alcuni Rosè degustati nel mio secondo viaggio in Champagne nel 2011. 

Facciamo una piccola pausa col metodo classico e passiamo al Pinot Nero 2018, annata non ancora in commercio ma che ci viene servito per capire il suo credo nell’allevamento di un vitigno tanto difficile quanto sorprendente. La 2018 è stata un’annata climaticamente calda con una notevole maturazione delle uve; si presenta di un bel colore rosso rubino un po’ più carico rispetto allo standard del vitigno. A livello olfattivo si sente che il vino non sia ancora pronto in quanto denota un leggero disequilibrio aromatico, ma in bocca lascia sicuramente intravedere una bella struttura e una potenzialità che si affinerà con il tempo, ma è la finezza e l’eleganza che lo rendono, seppur non pronto, davvero intrigante.

A questo punto ci viene servito il Pinot Nero 2017 di 13,0° vol. e per il sottoscritto è davvero un tripudio. Questa etichetta, parla decisamente francese, siamo in piena Borgogna pur essendo nel vicentino e da cultore del Pinot Noir devo inchinarmi a questo “vigneron” perché con questo vino omaggia una terra magica come la Borgogna al punto di averci sentito la struttura di un Gevrey-Chambertin abbinato all’eleganza e alla raffinata sensualità di un Chambolle-Musigny. Davvero Chapeau a “Messieur” Buvolì,,,,,,

Si presenta di un bellissimo color rosso rubino con riflessi luminosissimi sull’unghia; al naso emergono con immediatezza, ma con delicatezza matrici di frutta rossa, ribes, lampone, ciliegia ed a seguire accenni a sottobosco, una leggera nota boisè e vanigliata davvero sensuale. In bocca entra con verticalità ma in breve si espande avvolgendo la cavità orale, dove le papille gustative vengono sollecitate da un tannino setoso e morbido. E’ dotato di una bela freschezza su di una beva mai banale su di un finale lungo e persistente. In sintesi è quello che personalmente cerco da un Pinot Noir. Chapeau!!!!

I successivi due Metodi classici, sono equiparabili ai grandi Champagne, veri e propri Blanc de Noirs  con un corredo aromatico davvero impressionante, impegnativi, per palati allenati e rappresentano il vertice delle bollicine espresse dal Buvoli. 

Iniziamo dal Metodo Classico 4 “Solera” di 13,0°vol. 100% Pinot Nero, 48 mesi sui lieviti ed assemblaggio di diverse annate con una parte di vini di riserva Solera affinata in legno, con un 22% di Perpetuelle, quando di norma se ne impiegano dai 5 al 10% , sboccato a gennaio 2021 ed andato in commercio nel gennaio di quest’anno dopo un anno esatto. Nel calice si presenta di color oro leggermente velato, perlage fine e persistente. Al naso è un caleidoscopio di sensazioni olfattive, partendo da una parte agrumata per virare su sfumature floreali e a seguire pesca bianca, albicocca, frutta candita e  per finire crosta di pane e lievi tostature. In bocca è sorretto da una spiccata acidità, quasi tagliente e da un corredo aromatico davvero complesso, dove la cremosità lo caratterizza dandogli personalità e carattere su di un finale lungamente persistente e fresco. 

Ma l’apice della degustazione viene raggiunto con il Metodo Classico 12, 100% Pinot Nero, una vera e propria opera d’arte che nasce da un assemblaggio di basi di annate diverse, di cui una parte affinata in legno e rifermentato in bottiglia per oltre 144 mesi. Poche centinaia di bottiglie, oro liquido che rappresentano il genio , la costanza e il perfezionismo di questo vigneron che sa trattare la materia come pochi altri.

Nel bicchiere si presenta di color oro puro e solo la vista basterebbe per appagare i propri sensi; al naso è qualcosa di spettacolare per il corredo aromatico davvero impressionante, dominato da sentori di caramella mou, zucchero filato, cera d’api, erbe di montagna (genziana), datteri, per chiudere con note evolutive di frutta essicata e pan brioche. In bocca è sontuoso, opulento ma equilibrato da una spalla acida notevolissima. Grande struttura, grande corpo e dotato di una persistenza gustativa che ha dell’eterno. Un vino che a mio parere, pur avendo connotati gastronomici, andrebbe apprezzato a fine pasto, da solo, sorseggiato lentamente, senza avere fretta perché rappresenta un autentico viaggio sensoriale. Questo vino ha la capacità di eliminare qualsiasi barriera spazio/tempo perché è come se ti facesse sentire sospeso, letteralmente perso in una dimensione parallela alla realtà vissuta. Un capolavoro che solo un instancabile appassionato e perfezionista poteva creare. 

Abbiamo conosciuto il vignaiolo, ma prima ancora un uomo che ha la piena consapevolezza di dove sia arrivato e dove la strada che sta percorrendo lo porterà. Quello che emerge è il suo grande equilibrio, l’essere rimasto una persona umile nonostante i riconoscimenti e la notorietà che si sta amplificando, oltre alla continua voglia di sperimentare legata anche ad un contenuto ampliamento della gamma produttiva con Chardonnay e Cabernet Franc. Avrei voluto domandargli cosa vede nel suo futuro, ma mi sono astenuto dal farlo perché Buvoli è un illuminato, un uomo consapevole di chi sia e l’unico tempo per comprendere chi sei è il presente, Niente passato, niente futuro.

Ho avuto la sensazione che sia riuscito a spostarsi dal proprio centro temporale immergendosi in un altro più lento, utile per comprendersi e per capire quale strada percorrere. Aurevoir Messieur Buvoli, ci rivedremo a marzo 2023 per degustare l’uscita dello Chardonnay che sarà magicamente l’ennesima trasmutazione alchemica.