"Il Barbacarlo che un cugino monsignore prende a Broni, basta mescerlo per vederlo montare in superbia: e quel mussare di spume fini e veloci sembra una risata cordiale; poi è buono altro che storie! E sarà l'infanzia, sarà la disposizione atavica, io di vini migliori ne ho pure bevuti e ne bevo, ma non ne trovo mai che mi piacciano sempre in egual misura, che siano altrettanto leali a qualsiasi livello"

Gianni Brera


Non vi è mai capitato di trovarvi di fronte a un bivio scomodo, non sapendo cosa fare e con il pesante fardello di dover scegliere, in una situazione in cui non vi siete sentiti pronti ad agire? Cosa avete fatto? Avete scelto o più semplicemente avete lasciato che il destino scegliesse per voi? Siete naufragati nella trappola del rimorso o del rimpianto?
 La nostra vita è piena di situazioni come questa dove scegliere o decidere di non scegliere, implica inevitabilmente delle conseguenze non solo per noi ma anche per chi ci sta intorno. Decidere di intraprendere una strada anziché un’altra, comporta comunque dei rischi che a volte sono prevedibili, ma spesso possono risultare più grandi di quanto ci potessimo immaginare. Per potersi districare nei meandri di queste sgradite situazioni, andiamo ad analizzare il significato delle parole rimorso e rimpianto:

il rimorso è un’emozione sperimentata da chi ritiene di aver tenuto azioni o comportamenti contrari al proprio codice morale e quasi sempre produce il classico senso di colpa. E’ caratterizzato da uno stato di pena, di turbamento della mente, di costante riflessione interiore, di dolore dell’anima che provoca la classica sensazione di rammarico.

Il rimpianto è una reazione negativa, conscia ed emotiva a comportamenti avuti nel passato. Generalmente viene accompagnato da tristezza che si manifesta dopo che una persona si rende conto che avrebbe dovuto fare una determinata cosa che non ha fatto. Al rimpianto si associa la nostalgia, quel senso di dolore e di tristezza.

Detto ciò, ogni individuo è dotato del libero arbitrio, condizionato in fatto di scelta dall’educazione ricevuta, dall’ambiente in cui vive, dalla propria evoluzione e dalla consapevolezza del proprio io, che ne determinano la libertà di scegliere tra un rimorso o un rimpianto, tenendo presente che talvolta la scelta è già decisa da un preciso disegno del destino (per chi ci crede).

A questo punto, meglio un rimorso o un rimpianto??

Credendo nell’aldilà e non nella reincarnazione, conscio quindi che si vive una volta sola, se proprio dovessi scegliere, meglio un rimorso che un rimpianto, che al sottoscritto oltre a provocare un sentimento nostalgico, mi pervade di malinconia e quindi di indicibile tristezza.

Enologicamente parlando ho un rimpianto che spesso e sovente mi torna a cercare, trovandomi sempre e facendomi sentire un po’ grullo (per dirla alla toscana) per aver postergato di anno in anno la visita a un grande vecchio del vino, che, purtroppo ci ha lasciato a gennaio di quest’anno. 

Mi riferisco al “Commendator” Lino Maga, il signor “Barbacarlo”, produttore di uno dei vini più artigianali, contadini e ruspanti dell’intero territorio nazionale. 

Se ci fosse una virtuale “Nazionale” di calcio dei vignaioli, non avrei dubbi nel mettere tra i pali Lino Maga, perché come ha difeso lui il suo vino e la sua collina non ha eguali nel mondo vinicolo. Una battaglia durata 20 anni tra udienze, tribunali e sentenze per tutelare in quel di Broni la propria collina del Porrei lasciata in eredità dal bisnonno Carlo ai nipoti nel 1886. Proprio in onore dello zio, i nipoti cambiarono in catasto la denominazione della collina trasformandola in Barbacarlo, dove barba nel dialetto pavese significa “zio”. Una collina tufacea, con la vigna posta a 300 metri s.l.m. e con un’inclinazione del 70% che rende il lavoro davvero estremo, dove albergano 3 vitigni italici, vale a dire Croatina, Uva Rara e Vespolina (detta anche Ughetta) e dove 3 generazioni sono cresciute tra i filari. Dopo che nel 1963 il Ministero dell’agricoltura istituì la D.o.c, (e il Barbacarlo non era assolutamente tutelato) iniziò il proliferare di vignaioli che si fregiavano in bottiglia dello stesso nome e addirittura la legge consentì la produzione del vino Barbacarlo in una quarantina di comuni limitrofi. Lino Maga, che rivendicava non solo la paternità del vino, riuscì a colpi di documenti legali a certificare la peculiarità della collina del Porrei e l’assenza di qualsiasi similarità con quelle degli altri produttori, riuscendo nell’intento finale di poter avere l’utilizzo esclusivo del nome Barbacarlo. A questo punto diventa anche l’unico vino italiano ad avere il monopolio del marchio e per dirla alla francese, il suo vino può essere considerato come un Grand Cru Monopole borgognone.

Il vigneto di 4 ettari, ormai diventato leggenda e monumento nazionale, ha esposizione sud-ovest che gli permette di ricevere il sole tutto il giorno; in vigna viene effettuato ancora tutto a mano senza l’utilizzo di diserbanti e prodotti chimici di sintesi, produzione limitata, con attenta selezione dei grappoli. In cantina, l’uva una volta pigiata viene fatta fermentare con macerazione in vecchie botti di rovere, la svinatura avviene 7-8 giorni dopo e successivamente si effettuano periodici travasi per la decantazione naturale. Ad aprile-maggio si procede all’imbottigliamento lasciando le bottiglie in orizzontale per 40 giorni, poi raddrizzate in verticale e messe in vendita dopo 4 mesi. Le bottiglie riportano una seconda etichetta legata con una cordicina alla sommità della capsula, dove intelligentemente vengono indicati il titolo alcolometrico volumico, gli zuccheri e il complessivo, oltre all’acidità volatile, a quella totale, al ph e al totale della solforosa. Un vino da considerarsi d’antan perché fatto ancora oggi come una volta, senza troppi fronzoli, senza il controllo ossessivo delle temperature, sempre unico ed imprevedibile allo stesso tempo, che ha nella genuinità e nella sua storia centenaria di travolgente passione e difesa i suoi punti di forza.

Ma come sempre lasciamoci travolgere dalla degustazione. Stappato un’ora prima di essere servito e versato in ampio balloon tipo Burgundy, si presenta di un bel colore rosso rubino intenso con riflessi aranciati sull’unghia, anticipato da una leggera spuma carbonica che si dissolve in brevi istanti.

Al naso predomina un iniziale sentore marcatamente di frutta rossa polposa, ma ben presto prendono il sopravvento sensazioni speziate di pepe nero e cannella e sul finale intensi sbuffi balsamici e terziarietà leggermente terrosa e fungina. In bocca è un vino che mi stupisce per la sua complicata semplicità, con una beva semplicemente spettacolare e con una gioiosità avvertita in pochi altri vini rossi. Un vino equilibratissimo, saldo, con un’acidità voluttuosa e con un palato solleticato da un’anidride carbonica appena pronunciata ma che gli conferisce una veracità e un’incontenibile voglia di riprendere il sorso. I 14,5° di alcool non si avvertono e ancorchè asciutto è dotato di una freschezza impagabile. Il finale è persistente con un retronasale amaricante ed intrigante allo stesso tempo. Un vino che pare ancora esser padrone di una giovinezza inusuale pur avendo 12 anni sulle spalle e che lascia intravedere ancora un’evoluzione per almeno un altro decennio.

Come abbinarlo? Io lo accosterò a medaglioni di polenta integrale con funghi e cotechino, anche se, come diceva il Commendatore, l’abbinamento consigliato è di essere in due: la bottiglia e chi la beve!! 

Sono certo che Lino Maga, almeno in campo enologico, non abbia mai avuto rimorsi o rimpianti, avendo speso tutta la sua vita (una foto lo ritrae a 3 anni con la sua prima vendemmia) a produrre una vera e propria eccellenza, battendosi per salvaguardare qualcosa di veramente unico.

Forse il mio ultimo rimpianto è stato quello di stappare questa bottiglia che si esaurirà molto presto, ma come dico sempre, il vino è fatto per essere bevuto e non collezionato.