Se la Francia enologica oggi riveste un ruolo di primaria importanza, in un primato conteso con la storia e la tradizione vitivinicola italiana, il merito è da ascrivere alla lungimiranza dei monaci cistercensi e benedettini e alla filantropia di alcuni regnanti che, nel corso dei secoli hanno saputo valorizzare ed esaltare la vocazione dei molteplici terroirs disseminati nell’immenso panorama vinicolo transalpino.

Uno di questi è stato senza dubbio il re Francois I, figlio di Charles de Valois, conte di Angouleme e Louise di Savoia, nato a Cognac alla fine del XV° secolo, un uomo che affascinava artisti e letterati, a cominciare dalla sua stazza, quasi due metri di altezza, come se venisse dal futuro, un vero e proprio gigante per i suoi tempi. Francois Rabelais si sarebbe ispirato a lui per creare il “Gargantua”, pubblicato nel 1534. Venne definito come un uomo complesso e dalle mille contrapposizioni, conosciuto come raffinato cultore delle marmellate e degli yougurt di latte di pecora, che utilizzava per lenire i suoi disturbi di stomaco, che facevano da contraltare alle abbuffate pantagrueliche, come la favolosa festa che pose fine all’incontro a Boulogne-sur-Mer con Enrico VIII.

La frase che lo contraddistingueva era: “tel est notre bon plaisir!!!” (tale è il nostro buon piacere) e il piacere per il cibo non era il solo, ma il buon Francois amava talmente il vino che fece piantare alla residenza reale di Fontainebleau il vitigno Cahors e soprattutto importò dalla Borgogna 80.000 viti incrocio tra Pinot Noir e Gouais blanc (tipo Chardonnay) che impiantò vicino al castello di Louise de Savoie, sua madre, nel comune di Romorantin, da cui il nome del vitigno che nacque in questa terra adottiva. Le viti furono piantate nell'autunno del 1517 e sono ancora oggi la fonte del vitigno Romorantin che danno origini a vini bianchi della denominazione Cour-Cheverny.

Le innumerevoli feste, le guerre, la costruzione di castelli e altro, diventarono spese davvero pesanti al punto che fu ricordato come il primo re di Francia a richiedere un prestito e nonostante la sua passione per il vino, per risollevare le casse dello stato arrivò al punto di tassarlo. 

Quando morì, nel 1547, il vino in voga era il Chiaretto, molto speziato e da lui molto amato al punto di aver ritrovato un documento in cui ne enfatizzava la ricetta: "Mettete in un sacchetto di tela: 20 g di cannella, 20 g di zenzero, 20 g di macis (fiore di noce moscata), 7 g di chiodi di garofano, 7 g di noce moscata , 3 g di anice, 3 g di cardamomo in polvere. Versare sopra un vino rosso, quindi strizzare la biancheria.”

Un re, a suo modo illuminato, che ha saputo porre le basi per la creazione di una appellation (denominazione), il Romorantin, una delle più piccole in Francia che conta solamente 58 ettari vitati (per avere un’idea per il Barolo gli ettari sono 2000). Siamo nella Loira, terra di grandi vini bianchi e di grandi Domaine (aziende vinicole) e a pochi chilometri da Romorantin, più precisamente a Cour-Cheverny spicca il Domaine des Huards, fondato nel 1846 dalla famiglia Gendrier che produce vini a base Romorantin dal 1922, anno in cui Eugene Magloire Gendrier piantò le viti e che ancora oggi sono in produzione. Da 15 anni convertita al biologico prima e poi al biodinamico, veri e propri fautori della biodiversità al punto da utilizzare spray di tisane, rame e zolfo e a coltivare erbe perenni favorevoli all’ecosistema ed alla vite. Solo vendemmie manuali e fermentazioni con lieviti indigeni con un’unica mission, quella di produrre vini più naturali possibili che generino il massimo del piacere, come il Cheverny Pure annata 2019 di 12,5°vol., un blend di Sauvignon (85%) e Chardonnay (15%), degustato appositamente al di fuori della denominazione per comprendere se oltre al Romorantin (vino di punta) la qualità faccia parte anche del resto della gamma.

Versato nel calice da degustazione si presenta di colore giallo paglierino, limpido e senza sbavature; al naso avverto un iniziale sentore riduttivo che mi induce ad indugiare attendendolo ancora un po’. Apertosi, emergono sia sensazioni agrumate di limone maturo e bergamotto, sia nuances floreali di gelsomino e sul finale un nitido retronasale di pietra focaia.

In bocca è scorrevole, piacevolmente fresco, decisamente minerale e con una sferzata sapida davvero intrigante ed invitante ad una continua e generosa beva, dove a livello gustativo i rimandi fruttati sono in buona corrispondenza olfattiva, ma è l’ampiezza aromatica che esce alla ribalta sviluppandosi in modo accattivante al punto di solleticare con leggiadra piacevolezza le papille gustative. 

Un vino davvero  ben fatto, gioioso, giocoso ma anche con una bella personalità, come quella di Re Francois I, che, se l’avesse degustato l’avrebbe preso a pretesto per inscenare una delle sue luculliane  feste a sorpresa.