“Il Vatel del regista Roland Joffè trae la sua forza dall’immagine cinematografica, vera testimone di una rappresentazione figurata che rievoca il senso più profondo di un’epoca, quella tardo seicentesca. Inutile tergiversare: l’opera scenografica è maestosa ed impeccabile, tutta intenta alla ricostruzione delle atmosfere rococò e dell’estetica barocca che informava di sé l’intera concezione dell’esistenza.”
(da una critica cinematografica del film “Vatel”-anno d’uscita 2000)
Uno dei film in costume che ho amato maggiormente è senza orma di dubbio “Vatel”, uscito nelle sale cinematografiche nel 2000 ed interpretato magistralmente dall’attore Gerard Depardieu, che avrebbe meritato, a parer mio quantomeno un “Cèsar” come miglior attore protagonista. Nel lungometraggio interpreta Francois Vatel, il più grande maestro di cerimonie vissuto nel XVII°, ricordato per essersi suicidato, stremato nell’organizzazione di un ricevimento per il re Luigi XIV.
Figlio di un contadino, nato e cresciuto nella regione della Piccardia (alta Francia), iniziò giovanissimo come apprendista scudiero in cucina e dopo anni di lavoro e di encomiabile servizio, entrò dapprima nelle grazie del sovraintendente alle finanze Nicolas Fouquet ed in seguito alle dipendenze del principe Louis II de Bourbon-Condè, cugino del re Luigi XIV, al Castello di Chantilly.
Il cugino del re, fu uno dei capi rivolta contro il sovrano francese; caduto inizialmente in disgrazia, venne in seguito graziato dal Re Sole che però serbava ancora rancore essendo poco incline al perdono. Per essere definitivamente reintegrato alla corte di Francia, volle stupire Luigi XIV invitandolo per tre giorni consecutivi al Castello di Chantilly per dei festeggiamenti che sarebbero rimasti nella storia. Diede incarico a Francois Vatel di accogliere il sovrano con una festa senza precedenti e con dispendio di forze e di denaro inusitate per l’epoca. Dagli atti rimasti, sappiamo che c’erano 300 persone invitate “che contavano”, ma quello che sottovalutò il maestro di cerimonia e che non previde e che queste persone fossero a loro volta accompagnate da signore e dai lori servi, al punto che Vatel si trovò di fronte una marea di persone e che questo ingente numero andò pian piano a scompaginare l’intera programmazione stabilita maniacalmente. All’inizio della festa, la stanchezza e l’ansia si facevano già sentire. La sera di giovedì 23 aprile 1671, la prima defaillance: non c’era arrosto per l’ultima delle venticinque tavole imbandite. Al re non mancava nulla e l’ultima tavola non era occupata da persone importanti, ma per Vatel questo rappresentava un disonore. Fu solo l’inizio, visto che poi, i fuochi d’artificio organizzati per il Re e costati la bellezza di 16.000 franchi furono rovinati dal tempo inclemente, coperti irrimediabilmente dalle nuvole e Vatel si incolpò anche di questo. A nulla valsero le rassicurazioni del principe di Condè ad un maestro logorato da dodici notti insonni e dal pensiero di altri due giorni di festeggiamenti. Il colpo di grazia avvenne il giorno seguente, venerdì e al servizio dei pasti che secondo la tradizione cristiana prevedono pesce, quel pesce che avrebbe dovuto arrivare presto direttamente dai porti della Manica e che effettivamente arrivò alle 4 ma non abbastanza per tutti gli invitati. Vatel, nel panico più totale, attese un po’ ma non arrivò più nulla e fu talmente costernato al punto di pensare di non sopravvivere ad un affronto del genere, pensando unicamente all’onore e ad una reputazione da difendere. Solo ed assorto, salì nella sua stanza, conficcò la spada nel telaio della porta e si infilzò tre volte finchè non cadde esanime. Il pensiero di aver tradito la fiducia accordatagli è l’estrema sintesi del suo insano gesto; trovato morto poco tempo dopo, venne seppellito in fretta e di nascosto perché il Re Sole non poteva stare in un castello dove c’era un cadavere. Ironia della sorte, pochi istanti dopo il suicido di Vatel, arrivarono nuove e grandi consegne di pesce, i festeggiamenti programmati proseguirono e negli annali resteranno come un grande successo.
In qualità di grande appassionato di vino, ho cercato di capire a quali pensò e servì il maestro di cerimonia che ben sapeva della passione di Luigi XIV per il nettare di Bacco e non ho dubbi nell’asserire che sulle tavole imbandite ci fossero la presenza dei vini della Cote de Nuit Saint Georges, da sempre raccomandati al sovrano dal medico di corte per le proprietà benefiche e per la salute.
Nonostante il gesto estremo, la mia ammirazione per Francois Vatel rimane intatta e per un istante ho cercato di immedesimarmi nei suoi panni e nell’assaggio dei vini che avrebbe scelto per il Re. Allora sono sceso in cantina e con sguardo regale ho gettato gli occhi su una bottiglia del Domaine Chicotot e precisamente un Nuit Saint-Georges 1°Cru “Les Saint Georges” annata 2016 di 13,0° vol. che voluttuosamente ho stretto nella mano destra e ho portato nei miei alloggi per essere adeguatamente degustata.
La scelta di questo Pinot Noir dello specifico vigneto “Les Saint Georges” non è casuale in quanto è il vigneto Principe dell’intera appellation, dai più considerato un vero e proprio Grand Cru nonostante sia un Premier Cru; pare che la mancanza di Grand Cru sia riconducibile al fatto che Henri Gouges, che si occupò delle classificazioni delle Aoc nel 1937, essendo viticoltore a Nuits, per non essere tacciato di favoritismi rinunciò a rivendicare l’assegnazione per questa area, anche se è certo che prima di quell’anno lui stesso lo commercializzava come Grand Cru (ci sono ancora bottiglie antecedenti il 1937 che lo riportano in etichetta).
Il Domaine Chicotot, fondato pochi anni dopo la tragica fine di Vatel (1678) è dedito da secoli ad allevare il Pinot Noir, dove il rispetto per la tradizione, associato alla coltivazione biologica, rappresenta un vero e proprio marchio di fabbrica. Alla guida del Domaine i coniugi Georges e Pascale, che ho conosciuto nella bella visita del 2018, con l’aggiunta del figlio Clèment, al quale hanno trasmesso i valori del lavoro naturale in vigna, tramandato da generazioni. Anche in cantina continua l’approccio naturale ed attento ad evitare in fase di vinificazione e fermentazione un’iper-estrazione, non trascurando l’utilizzo di barriques nuove e concentrandosi sugli affinamenti.
Ma veniamo alla degustazione.
Stappato tre ore prima di essere servito e versato nell’apposito balloon tipo Burgundy un paio d’ore prima di essere degustato, si presenta di un bel color rosso rubino intenso con riflessi più tenuti sull’unghia; al naso emerge un’immediata concentrazione olfattiva fruttata di mora, mirtillo e lampone e floreale di violetta di campo ed a seguire sensazioni speziate di muschio, pellame e terrose che ricordano il bosco, la mattina presto, ancora avvolto da una coltre di leggera nebbiolina.
Roteato più volte nel bicchiere, avverto sentori ferrosi e sul finale una scia dolce di cannella.
In bocca è decisamente fresco, verticale e l’intera arcata palatale è completamente avvolta da morbidi e setosi tannini ancora evidenti ma fini ed eleganti. Il corollario gustativo riprende in toto le sensazioni olfattive ed è sostenuto da una vibrante acidità e da una mineralità in bella evidenza ed il finale è impreziosito da una lunga persistenza aromatica con un retrogusto di dolci tostature di caffè.
Un vino che mi ha dato l’impressione di essere rivestito da una strutturata corazza esterna e da un cuore di velluto al suo interno.
Questo Nuits Saint-Georges ha davvero tutti i connotati di un vino regale e se Francois Vatel fosse tornato in sé, evitando il suo gesto sciagurato, nel corso del tempo si sarebbe inevitabilmente imbattuto in questo vino, portandolo agli onori, servito come libagione sulle migliori tavole imbandite della nobiltà transalpina.