“il vino è il canto della terra verso il cielo.”

Luigi Veronelli


Quando il compianto e inarrivabile Luigi Veronelli pronunciò questo aforisma, che rappresenta un vero e proprio dogma, è probabile che non fu realmente compreso il vero senso che il noto enogastronomico volesse far intendere. Penso che ci siano due significati ben distinti; uno emerge naturalmente nel pensare che gli artefici siano i cantori, ossia i viticultori uomini e donne che lavorano incessantemente le vigne, facendo trasudare la fatica contadina e una certa viticoltura eroica, che sfocia in una smisurata passione. Il tutto consente di dar vita ad un’opera d’arte vivente, con la benedizione del cielo. L’altro è ben più complesso, in una versione di carattere esoterico, accessibile a pochi iniziati o addirittura ad un filosofo ed anarchico (nell’accezione migliore) come lo è stato il grande Maestro Veronelli. 

L’aforisma può essere sintetizzato con: “la vite, quindi il vino, è l’elemento che mette in contatto l’umano al Divino”. Detto così, potrei essere tacciato di blasfemia e se fossi vissuto nell’età dell’inquisizione, il mio destino sarebbe stato segnato. 

Il vino è un atto di fede e non sono certo io che me lo invento, ma basta aprire il libro più venduto al mondo, la Sacra Bibbia, per accorgersene. Innanzitutto il termine vino trae origine dalla parola sanscrita vena -amore- da cui derivano anche i termini Venus, quindi Venere e chi predicava amore se non il figlio di Dio sceso in terra? I riferimenti biblici al vino sono innumerevoli (almeno 190) ed alcuni di essi davvero emblematici:

“ io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che porta frutto lo rimonda, perché ne produca ancor di più….Voi siete mondati dalle parole che vi ho annunziato, Restate in me ed io resterò in voi…Colui che rimane in me e io in lui porterà frutti, perché senza di me non potete far nulla….” (Giovanni, 15,1-5)

E che dire delle nozze di Cana, dove emerge la tramutazione dell’acqua in vino, un chiaro messaggio dell’inizio dell’opera del Cristo che ci invita, da buoni cristiani, a seguirne la strada e quindi a diventare come lui. 

Il vino diventa elemento essenziale del rito dell’ultima cena e della transustanziazione del vino nel sangue di Gesù, posto in una coppa, il Santo Graal, capace di aprire le porte dell’eternità a chi ne voglia bere, sempre che sia animato da una fede sincera ed è per questo che il vino non va visto come una semplice bevanda ma, se abbracciamo il concetto di trade-union tra cielo e terra, come la sintesi della natura umana e divina del Redentore.

Se restiamo all’ultima cena e prendiamo a riferimento il dipinto più famoso al mondo, che ne ritrae il momento e mi riferisco al “Cenacolo”, capolavoro di Leonardo Da vinci (1494-1498), esposto al convento di Santa Maria delle Grazie a Milano, ci accorgiamo di un particolare non di poca rilevanza. 

La tavola sulla quale viene imbastita la cena ha pane in abbondanza, ma è sprovvista del calice e del vino…..è possibile che quel genio di Leonardo si sia dimenticato di disegnarli, oppure la loro assenza è voluta?  

Qualcuno asserisce che il cenacolo sia una sorta di istantanea, ovvero il momento esatto in cui Gesù Cristo rivela che ci sia tra i commensali un traditore e il momento dell’eucarestia sia successivo a tutto questo. Io propendo per un’altra spiegazione: il tradimento rappresenta la volontà dell’uomo di allontanarsi dal Cristo e la mancanza sulla scena del vino, il venir meno di quella sacra unione tra umano e divino e questo Leonardo, da buon conoscitore delle dottrine esoteriche lo sapeva, ma doveva celarlo con un altro significato per non essere tacciato di eresia, in un periodo in cui era la Chiesa l’unico mezzo per arrivare a Dio.

Di queste dottrine era studioso e ben conoscitore Rainer Zierock, un vero eretico ed anarchico del mondo vinicolo, che, come una meteora, o forse meglio dire, come una fulgida cometa, ha attraversato l’enologia italica con genialità, un pizzico di follia e con scelte per taluni davvero estreme. Tedesco di nascita ed ex marito di Elisabetta Foradori (a lui si deve la creazione del vino Granato), arrivò forse tardi nel mondo del vino e troppo presto se ne è andato, lasciandoci però un’impronta particolare, quella di aver perseguito di infondere nei suoi vini l’immortalità. Non fa eccezione un suo vino che ho acquistato nel 2022 nella professionale enoteca La Scaletta di Campitello di Fassa (se siete nei paraggi fateci un salto) e che per nome fa Dolomytos, prodotto nel maso Sacker, disseminato di decorazioni esoteriche create dallo stesso Zierock ed ora gestito da Norbert Marginter; un vino bianco ottenuto con vigne allevate a 500 metri di altezza vitate a Sauvignon Blanc, Riesling, Pinot Grigio, Pinot Bianco e Assyrtico, vitigno greco introdotto in Alto Adige dal vignaiolo tedesco ed affinato per due anni in botti da 150 litri.

L’etichetta, ideata da Zierock è del tutto particolare e racchiude il messaggio esoterico che ben si sposa con l’aforisma del Veronelli. 

Un tralcio di vite con copiosi grappoli d’uva sormonta una barca attorniata da pesci e il tutto è racchiuso in un pentagono.

Se analizziamo il significato esoterico, la Vite, l'Uva e il Vino sono simboli di Rinascita, di Amore, di Pace, di Gioia, di rivincita sulla Morte, in sintesi l’umano; la barca è la dinamica della vita, del desiderio della volontà di essere, di trasformarsi e controllare il proprio destino; il pesce, sin dai primi simbolismi cristiani rappresenta il Cristo, il Divino e Il pentagono è un simbolo di protezione e rappresenta gli elementi (aria, fuoco, terra, acqua, spirito è il vertice).

A questo punto penso che ogni altra asserzione sia superflua.

Ma come sempre e con questa bottiglia ancora di più, in religioso ascolto, mi accingo a degustare il Dolomytos vino bianco annata 2016 di 14,5° vol., stappato quasi 5 ore prima di essere assaporato e versato in un ampio balloon tipo burgundy 1 ora prima di essere servito, tappo sano di 4,9 cm, si presenta di un bel colore oro antico, inizialmente torbido ma col passare del tempo recupera in brillantezza.

Il naso è decisamente incantevole in un mix di sentori floreali e di frutta a polpa bianca, pesca e mela cotogna, che virano verso sensazioni di fieno e di erbe di montagna, la camomilla, il tarassaco e la malva e sul finale, roteato ulteriormente, emerge un inconfondibile tocco di zenzero.

In bocca si apre con una straordinaria freschezza e con un’impressionante verticalità, ma dopo pochi secondi avvolge completamente l’intera cavità orale inondandola di un impagabile corollario gustativo, dove la mineralità e una sferzata salina sul finale lo rendono estremamente interessante. E’ un vino che ha struttura, imponenza ma anche eleganza, a tratti quasi medicamentoso ed il grado alcolico, seppur elevato, esce solo alla distanza. Piacevolissima la beva, anche se impegnativa, con una persistenza gustativa che ha dell’eterno. Un vino meditativo, non per tutti, che incarna quel concetto di sacralità così caro al Veronelli e che ho fatto mio da tempo e che mai come in questo caso esprime l’interpretazione filosofica e vitruviana dell’uomo al centro dell’universo, che, grazie ad autentici miracoli, come questo vino, lo mettono direttamente in contatto con il Divino.