“Boum, quand notre coeur fait boum
tout avec lui dit boum
et c’est l’amour qui s’eveille…..”
(Boum, quando il nostro cuore fa boum
tutto con lui dice boum
ed è l’amore che si risveglia…)
Charles Trenet – 1938
Non so se sia perché si parli di vino o per le rilassanti atmosfere della campagna provenzale, ma il film “Un’ottima annata” (A good Year), del regista Ridley Scott, è entrato di diritto nella mia personale top 10 dei film romantici che prediligo.
Giova certamente il fatto che gli attori principali, da un lato Russell Crowe (Max) e dall’altro l’incantevole Marion Cotillard (Fanny), fossero in uno stato di grazia assoluta, agevolato da una magica alchimia provenzale e da un contesto sognante ed intriso di un nostalgico e malinconico “souvenir de jeunesse” (ricordo di gioventù) per dirla alla francese.
Una sorta di favola evocativa dell’amore, ambientata ai giorni nostri e nell’infanzia del protagonista, il cinico broker londinese Max Skinner, che si reca in Francia, in Provenza, per vendere la tenuta con vigneto Chateau la Siroque, avuta in eredità dallo zio Henry. Qui, si scontra con l’affascinante Fanny Chenal, proprietaria del bistrot del villaggio e conosce anche Christie, giovane ragazza americana, che si presenta alle porte dello Chateau asserendo di essere la figlia segreta dello zio.
A tutto ciò si aggiunge il mistero del vino prodotto nella tenuta, quello imbevibile degustato da Max che fa da contraltare ad altre bottiglie trovate in cantina di un vino davvero eccellente…..
Il seguito del film lo lascio a voi e se vi va, andate a vedervelo.
Quel che mi è rimasto dentro, da inguaribile romantico che sono, è che in fondo un bicchiere di vino è perfetto per far innamorare.
La scena che adoro è il primo appuntamento tra Fanny e Max, in una sera d’estate, seduti a un tavolo all’aperto, mentre su un maxi schermo stanno proiettando una serie di immagini tratte da vecchi film francesi, in sottofondo scorrono le note di “Boum” di Charles Trenet ed il suono onomatopeico della parola boum, riconducibile a un battito di cuore che pulsa oltre la sua funzione vitale, non è altro che il risveglio dell’amore, quello puro, vero ed immortale e tutto intorno riecheggia dello stesso pulsare.
Uno sguardo intenso e simultaneo di accattivante complicità e l’alzata di un calice di vino rosso, roteato al ritmo delle note dello chansonnier francese, sono l’esatto inizio di un amore travolgente e meraviglioso e che lo scroscio improvviso ed inaspettato di un temporale, chiara metafora delle tortuosità della vita, non riuscirà minimamente a scalfire.
Se il vino è sinonimo di amore, lo immagino logicamente rosso, un magico elisir di lunga vita, servito in un calice importante, che emani profumi inebrianti e che a livello gustativo sia dotato di una persistenza che rasenti l’eternità.
Ripensando alla scena dell’appuntamento, se fossi stato il protagonista, avrei voluto brindare con un Clos de Vougeot- Chateau de la Tour annata 1964, quello che, con doverosa amorevolezza, ho tolto dallo scaffale della mia cantina e ho degustato in ossequiosa riverenza.
Parliamo di un vino con quasi 6 decenni di vita, un Grand Cru di Borgogna che emoziona a partire dal fatto che porta con sé una concezione enologica di un tempo passato e che rientra nel ristretto gotha dei vini rossi di fama mondiale.
Stappare una bottiglia di questo genere comporta una serie di variabili che, in quasi sessant’anni, hanno condizionato l’affinamento e le insidie gusto-olfattive sono dietro l’angolo, ma se l’amore vince su tutto, allora si può con ottimismo sperare di sovvertire ogni logica temporale.
Proprietaria dello Chateau è la famiglia Labet, che lo costruì nel 1890, originariamente per conservare le uve proveniente dalle parcelle del Cru Clos de Vougeot; una famiglia stabilitasi in Borgogna nel XV° secolo e che iniziò ad imbottigliare negli anni ’30 del secolo scorso. La bottiglia riporta in etichetta il nome del negociant Morin Père et fils di Nuits Saint-Georges, al quale, all’epoca la famiglia Labet affidava la produzione e l’imbottigliamento che, negli anni a seguire, venne ripresa completamente dai proprietari.
E che dire dell’annata 1964 in Cote d’Or? Dopo il catastrofico 1963, l’anno seguente è risultato molto interessante perché le condizioni climatiche, perfette in quasi tutti i vigneti, hanno permesso di produrre vini davvero notevoli. Da aprile il clima è stato impeccabile con una fioritura da manuale e l’estate calda, ha permesso alle uve di assorbire lo zucchero e raggiungere la piena maturità. Alcune piogge leggere hanno addolcito il tutto e sono state piuttosto benefiche per lo sviluppo degli acini. In sintesi un’annata da incorniciare.
Stante queste notizie decisamente positive, mi accingo a degustare un’ autentica ouvrage d’art (opera d’arte), o almeno spero.
Stappato 24 ore esatte prima di essere degustato, utilizzo il cavatappi a lamelle che però non risulta così efficace, in quanto il tappo si sfalda almeno per metà parte, lasciandomi dubbioso sulla tenuta di questo vino…..Con non poca titubanza ci metto il naso e mi accorgo che non emana segni ossidatavi, anzi, i profumi iniziali lasciano intravedere qualcosa di veramente speciale. Lo pongo al riparo dalla luce e lo lascio ossigenare senza travasarlo in alcun decanter. 20 ore dopo, lo verso nell’ampio calice tipo burgundy e lo lascio altre 4 ore prima di iniziare la degustazione.
La prima cosa sorprendente è che l’ossigenazione l’ha rinvigorito a livello cromatico donandogli un colore più acceso rispetto al momento in cui è stato stappato. Una vera magia.
Si presenta alla vista di un bel color mattone con chiari riflessi di ambra chiara sull’unghia; ancor prima di passare all’esame olfattivo vengo assalito da un’ inconscia emozione che pian piano aumenta, sino ad accelerare i battiti del mio cuore (boum) nel momento della degustazione.
Al naso, aromi profondissimi e complessi poche volte avvertiti prima, inebriano i sensi al punto di confonderti, anche se è ancora ben presente un’iniziale frutta rossa di marasca sotto spirito, di lampone, di fragolina selvatica e di prugna, che ben presto si fonde in un’osmosi quasi alchemica con marcati sentori di tabacco, di matrici terrose e fungine ed a seguire cannella, caramella al rabarbaro e sul finale dolci tostature di caffè.
Se queste sono le premesse, anche al palato non dovrebbe deludere. Sono concentrato come non mai, silenzio totale intorno a me, riecheggia nell’aria solo lo scandire dei secondi dell’orologio appeso in cucina e ad un tratto il tempo è come se si fermasse, come se i quasi sessant’anni del vino siano completamente fusi nell’istante in cui lentamente va a defluire nella cavità orale…
Per un attimo, che mi pare eterno, resto come sospeso nel tempo, come se fossi intrappolato in una sorta di istantanea; difficile trovare le parole per descrivere a livello gustativo un vino ancora vivo e che pare abbia davanti almeno un decennio per affinarsi ulteriormente nelle sua terziarietà. E’ incredibile come non mostri segni di stanchezza, con ancora un’acidità decisa, con il tannino completamente sciolto, con una leggiadria e un’eleganza e una facilità di beva davvero impressionante. Predomina nel corollario gustativo frutta surmatura ed è caratterizzato sul finale da un retrogusto di cioccolato e caffè. Persistente quanto basta, è la chiara prova che sconfessa coloro che dubitano sulla capacità di invecchiamento del Pinot Noir borgognone.
In parte ho avuto anche la fortuna di trovarmi davanti a un Grand Cru di Borgogna, che la 1964 sia stata un’ottima annata e che la bottiglia è stata conservata a regola d’arte e per questo devo ringraziare il mio carissimo amico Emanuele Spagnuolo di Grandibottiglie.com.
Degustare questa bottiglia fantastica è stato un autentico viaggio sensoriale che ha accresciuto la mia passione per la Borgogna, per il Pinot Noir e……per il vero Amore, quello immortale, quello per cui vale davvero vivere!!!