Quando penso a come sia nata la mia passione per il vino, quasi didatticame nte o meglio ancora istituzionalmente, la identifico in un lontano 1999, quando un cliente legnanese mi omaggiò di una bottiglia di Brunello di Montalcino annata 1994 di Donatella Cinelli Colombini, che ancora riposa nella mia cantina, ben protetta, come se fosse il primo “cent” di zio Paperone.
In realtà, se scavo nei meandri della memoria, nel mio vissuto o più a fondo nel mio subconscio, mi accorgo che la persona che devo ringraziare per avermi quasi inconsapevolmente iniziato a questo mondo che amo, è senza orma di dubbio mio padre. Purtroppo è mancato troppo presto e da troppo tempo e non ha potuto constatare l’evoluzione che in un quarto di secolo sono riuscito a conseguire; dall’imbottigliare da fanciullo i fiaschetti impagliati, quelli di una volta, a scrivere di vino, a livello amatoriale, ma sempre mettendoci il cuore e la passione che non mi abbandona da anni.
Sono certo che sarebbe stato felice di potermi leggere, senza lesinare perle di saggezza che solo lui sapeva distribuire, centellinandole come fossero gocce del miglior nettare di Bacco.
Quando penso a mio padre, mi sovviene sempre una frase presente nel libro “Il pendolo di Foucault”, che cito non a caso, e che recita quanto segue:
«Credo che ciò che diventiamo dipende da quello che i nostri padri ci insegnano in momenti strani, quando in realtà non stanno cercando di insegnarci. Noi siamo formati da questi piccoli frammenti di saggezza.»
Ci sono persone che sono destinate a forgiare il nostro carattere e il nostro sguardo sul mondo e la loro presenza risulta determinante; sono figlio degli anni ’60, vissuto in una famiglia dove il lavoro e la disciplina erano alla base di tutto. Mio padre ha sgobbato tutta una vita e a differenza di oggi, lui, come del resto gli altri padri, aveva poco tempo da dedicare ai figli, ma i suoi gesti, le sue parole misurate, i suoi frammenti di saggezza, mi sono precipitati addosso e mi sono rimasti come marchiati a fuoco sulla pelle. Ho sempre pensato che avrei avuto tempo di imparare di più da lui, quando si sarebbe fermato, magari in tarda età, ma il fato, che governa ogni cosa, se l’è portato via. Nonostante ciò, penso di aver imparato molto, ma non solo, a volte mi riconosco in certi suoi gesti, in un certo modo di pensare e quando devo scegliere, lui c’è.
Se Romain Guiberteau, se Sylvain Dittière e se i fratelli Foucault sono diventati vere icone del vino di Saumur nella Loira orientale, sono certo che anche loro siano stati formati da piccoli e continui frammenti di saggezza, e in tutta onestà, nella magnifica serata di degustazione in quel di Torino, al cospetto dell’Enoteca Grandi Bottiglie e dell’amico proprietario Emanuele Spagnuolo, ho ripensato spesso a mio padre e ai padri di questi esimi vignerons che hanno saputo infondere, probabilmente, quando non stavano cercando di insegnare, quello spirito, quella passione e quella determinazione nel dar vita a veri e propri capolavori enologici.
Romain Guiberteau nel 1996 ha ripreso in mano le redini del Domaine di famiglia, fondato all’inizio del XX° secolo dal bisnonno, e dal 1976, per mancanza di eredi interessati, dato in affitto a terzi. La proprietà si estende su oltre 17 ettari suddivisi a metà tra le vigne di Cabernet Franc e quelle di Chenin Blanc: 9 di questi si trovano nel territorio di Brezè, con la parte restante a Montreuil-Bellay, Bizay e Chacè, su suoli prevalentemente argilloso-calcarei. Il parco vitato è composto da una parte consistente di vecchie viti che arrivano anche a 80 anni d’età a tal punto da originare vini complessi ed articolati, espressivi e territoriali e che nel tempo, hanno fatto di Guiberteau un nome rispettato ed ammirato nella Loira enologica. Viticoltura naturale in regime bio.
Sylvain Dittière, giovane astro nascente di Saumur, genero di Charly Foucault di Clos Rougeard e con un curriculum di tutto rispetto nel suo cammino di apprendistato presso Chateau Yvonne, Thierry Germain, Marc Tempè, Domaine Gauby e Clos Rougeard, nel 2010 decide di mettersi in proprio dando vita al Domaine La Porte Saint Jean a Montreuil-Bellay e con 6,5 ettari vitati per metà a Cabernet Franc e l’altra a Chenin Blanc in conduzione biologica, pur in assenza di certificazione, inizia a produrre vini che nel tempo stanno diventando oggetto del desiderio di ogni appassionato di vino. Tutte le attività agricole ed enologiche sono gestite direttamente da Sylvain che, per mantenere questo status, non ha mai avuto intenzione di ingrandirsi. Il risultato sono vini di grande purezza, espressività e un tocco di pura follia.
Charly e Nady, i fratelli Foucault, l’ottava ed ultima generazione di quello che fu Clos Rougeard, vignerons dal 1664, hanno incarnato fino all’annata 2016 il vero faro, il punto focale per gli appassionati e soprattutto per gli altri viticoltori, perché hanno saputo sublimare nelle loro bottiglie iconiche di Cabernet Franc (Le Poyeux e Le Bourg) e di Chenin Blanc (Brezè) la vera essenza di questi due vitigni a livello mondiale. Hanno saputo essere da sempre il “benchmark” delle appellations. Purtroppo, dopo la morte fulminante di Charly, portato via in due mesi da un cancro ai polmoni nel 2015 e dopo dissidi interni tra il figlio Antoine (proprietario e fondatore dal 1999 del Domaine du Collier) e lo zio Nady, Clos Rougeard è stato venduto per 12 milioni di euro (ufficiosi) a Martin Bouygues, parigino, uomo d’affari, già proprietario di Chateau Montrose a Saint-Estephe chiudendo una favola centenaria ma soprattutto un capitolo di storia enologica davvero unica.
Questi i principali attori di una serata davvero magica, condotta, come sempre dalla competenza e professionalità di Emanuele, che sa sempre esprimere una passione unica che trascende dalla sua attività di wine merchant.
Siamo a Saumur, chiamata “la perla dell’Anjou”, in piena Loira orientale, dove i terreni calcarei e tufacei a sud della città sono la patria dei vitigni Cabernet Franc e Chenin Blanc; in bella evidenza i Saumur-Champigny (vini rossi) e i Saumur Brezè (vini bianchi).
Zona che ho avuto il piacere di poter visitare nel lontano 2012 e che, per fortuna, resta ancora un po’ sconosciuta fuori dai confini francesi.
Senza indugio, apriamo le danze con il primo vino della serata:
Saumur Blanc annata 2021 del domaine Guiberteau di 12,5°vol. , per così dire l’entry-level di Romain Guiberteau per quanto concerne lo Chenin Blanc, che si presenta di colore giallo paglierino limpido e brillante, senza sbavature. Al naso, pera non troppo matura e con una leggera nota di pompelmo. In bocca si avvertono due caratteristiche ben distinte, la spiccata acidità e una sapidità debordante oltre a note di zenzero, di gesso (che lo rendono quasi astringente) ed una particolare punta di affumicatura. Davvero un buon vino che prelude ad una serata davvero top.
Si continua con un Saumur Blanc Arcane annata 2021 del Chateau de Fosse Sèche di 12,5°vol; inserito da Emanuele come tenuta emergente nonostante la sua storicità, fondata tra l’800 e l’anno 1000 dai monaci benedettini, ha attraversato secoli di storia, testimoniata dai suoi antichi tini in muratura e dalle altre meraviglie, come la cappella, il forno e la colombaia. Nel 1998 Guillaume Pire e sua madre Francoise si innamorano di Fosse-Sèche e decidono di realizzare vini unici. Nel 2010, l’arrivo del fratello gemello Adrien suggella la condivisione di una passione per il vino e per la natura con la conseguenza diretta di vini di alta qualità come questo Arcane, particolare per il fatto della presenza di ossido di ferro nel vigneto in cui viene prodotto. Colore giallo brillante e con un naso agrumato di limone molto maturo, ma anche dotato di sentori floreali di camomilla oltre a fieno e cera.
Al palato, come direbbero i francesi è ronde (rotondo), decisamente morbido, sapido e allo stresso tempo agile e fresco. Un vino pronto e con una beva davvero interessante. Un nome da segnarsi per eventualmente degustare altri suoi vini, come ad esempio “Les tris de la Chapelle”, Chenin da lungo invecchiamento.
Le papille gustative ora sono ben allenate e pronte per degustare i pezzi migliori, partendo dal Saumur Blanc La Perlèe 2020 – La Porte St Jean (Sylvain Dittière) di 12,0°vol. che si presenta, nel bellissimo bicchiere fornitoci per la degustazione, di color giallo velato, segno di assenza di filtrazione, ma che col tempo tende a illimpidirsi; naso meraviglioso con un accenno di fini note idrocarburiche che si dissolvono quasi subito, per lasciar spazio a sentori fruttati di mele e pere ed a seguire note vegetali di sedano e sesamo. Sul finale caratteristica nuance di caramellina zuccherata.
In bocca è gradevolissimo, c’è densità, c’è tensione, struttura, grande sapidità e persistenza aromatica davvero lunga. Nulla da dire, Dittière è un vigneron davvero talentuoso, quasi geniale.
A seguire il fuoriclasse dei vini bianchi della serata, il Saumur Blanc Brezè annata 2016 di 13,0 Vol. del domaine Clos Rougeard , un vino che arriva direttamente al cuore e colpisce per le sue doti di potenza e raffinatezza insieme.
Colore giallo paglierino davvero intrigante con un naso elegantissimo, quasi balsamico ma allo stesso tempo con una vena di dolcezza regale; frutta gialla, dove spicca il melone e creme brulè. In bocca è denso, con una sensazione di grassezza ed opulenza e con una nota di piccantezza, generata da note di zenzero e zafferano ed il ritorno della creme brulè, che contrasta in modo deciso, ma con estrema compiacenza, la componente salina davvero ben integrata, su di un finale lunghissimo. Un vino da annoverare tra i grandi vini bianchi di Francia. In questo vino, come nei Cabernet Franc riecheggia il cognome dei fratelli Foucault, perché al pari del famoso pendolo si sono appropriati del tempo, divenendone guardiani, ma soprattutto padroni, decidendo di far uscire i loro vini solo nel momento opportuno, incuranti delle mode, del gusto e delle dinamiche di marketing e di mercato. Due precursori, forse troppo avanti rispetto ai loro contemporanei. Ci mancheranno davvero tanto!!!
Gli Chenin non finiscono qui perché, in accordo con Emanuele e fuori programma, porto in condivisione una bottiglia della mia cantina di Clos de Carmes annata 2013 del Domaine Guiberteau di 13,5°vol. Chenin Blanc in purezza che si presenta di un bel colore giallo brillante, leggerissimamente velato; naso fine ed elegante agrumato, ma anche con note floreali di lavanda ed a seguire popcorn e caramellina zuccherata. Sul finale prevale una nota vegetale e di polvere da sparo. In bocca l’elevata acidità si fa sentire, così come i rimandi fruttati e soprattutto un vero e proprio blocco di sale che mi fa impazzire. Nonostante abbia sulle spalle 10 anni, sembra davvero tanto giovane. Un vino che tiene testa al Brezè di Clos Rougeard, in un’annata che è stata davvero difficile; forse pecca rispetto al suo rivale più blasonato un’inferiore pulizia in bocca, ma per il resto,,,,siamo lì.
Il passo dagli Chenin ai Cabernet Franc è davvero breve e felici ed entusiasti ci catapultiamo nei rossi di Saumur vere e proprie eccellenze mondiali, iniziando con il Saumur Rouge del Domaine Guiberteau annata 2019 di 13,5° vol, un altro entry-level che si presenta di un giocoso rosso porpora, giovane e vivace. Il naso è pervaso da sentori di ciliegia matura e da una bellissima nota vegetale di peperone verde. In bocca, nonostante la sua leggiadra giovinezza è altamente godurioso; un vino divertente ed appagante da condividere con amici, pane e salame o da soli, con una belle dame in un picnic primaverile. Un vino che definirei creativo e ricreativo.
Se vogliamo capire cosa sia il Cabernet Franc a Saumur, basta degustare il prossimo vino, ovvero il Saumur Les Pouches annata 2019 – La Porte Saint Jean (Sylvain Dittière) di 13,0° vol. di una bella veste color rubino violaceo e con un aspetto davvero limpido. Il naso è un tripudio di violetta di campo, amarena, lampone e fragolina selvatica e sul finale accenni di sentori di pellame, di tabacco dolce e di foglia del peperone. In bocca è assolutamente strepitoso!!! Fresca scorrevolezza di beva su di una media acidità, con rimandi fruttati, con ricordi di cuoio e di una certa terrosità e con una bella persistenza aromatica . Un Cabernet che incarna tutte le sue migliori caratteristiche senza essere pesante, opulento e rustico come spesso accade per quelli di altre zone vinicole.
Un altro cavallo di razza ci attende e più precisamente il Saumur rouge Les Arboises Monopole annata 2017 del Domaine Guiberteau di 12,5° vol che si apre ai nostri occhi con un bel colore rosso rubino intenso, uniforme e quasi impenetrabile. Al naso, si viene assaliti da una caratteristica nota vegetale di peperone verde davvero unica ed a seguire un caleidoscopio di sensazioni olfattive molto intriganti, cominciando dalla frutta rossa matura a quelli più intensi della fava di cacao, a quelli più balsamici della liquirizia dolce. In bocca, potenza e raffinatezza vanno a braccetto; vino più orizzontale che verticale, dotato di grande struttura e di una certa opulenza oltre ad un tocco sauvage nella sua austerità e passionalità, che detta così sembra una contraddizione, ma non lo è perché si integrano osmoticamente in modo perfetto.
Pensi di essere al top, ma il meglio deve ancora arrivare con il Saumur Champigny annata 2016 di Clos Rougeard di 12,5° vol ; la fama di Clos Rougeard è legata molto più ai rossi che al suo bianco ed avendoli visitati nel 2012 posso testimoniare che i loro cabernet franc sono davvero iconici al punto di lasciarti, nella degustazione, come sospeso nel tempo, come intrappolato in quel pendolo che tutto decide, che tutto dispone. Una fantastica sensazione!!! Ma veniamo ad oggi e a questo cabernet franc che si presenta di un rosso rubino spettacolare e con un naso che ti inebria con la sua frutta rossa di mora e cassis per poi virare su una nota vegetale di caponata, di pasta di olive nere, un pizzico di pepe e spezie. In bocca, pulizia ed eleganza sono le caratteristiche che emergono di prepotenza come una carezza in un pugno. Difficile davvero riuscire a vergare tutte le sensazioni gusto-olfattive di questo rosso che lascia un ricordo indelebile come fosse tatuato sulla pelle.
La serata volge al termine, ma Emanuele ci vuole stupire con un “coup de theatre” servendoci un ultimo vino, alla cieca. Una vera chicca e degustandolo ci siamo accorti del suo spessore, indovinandolo solo dopo molteplici suoi aiuti.
L’aver assaggiato, come regalo di fine serata lo Chateau La Mission Haut-Brion annata 2001 di 13,5°vol. è stata l’ennesima esperienza da incorniciare nel mio cammino infinito nel vino.
Un costoso Pèssac-Leognan rosso, dal taglio bordolese dove la presenza del Cabernet Franc si fa davvero sentire, a cominciare dal colore, rubino intensissimo, per poi passare ad un naso materico, espressivo e con sentori di amarene, di ribes, di cuoio e catrame e di una caratteristica nota vegetale.
In bocca è puro velluto, morbido e setoso e nonostante i 22 anni di vita, ancora estremamente giovane e godibile. Un vino che si mostra più elegante che potente e con una lunghezza e una profondità da vero campione.
Grazie, grazie e ancora grazie Emanuele!!
Finisce qui una grandissima serata che fa solo da preludio ad una nuova a fine settembre……ma questa è tutta un’altra storia che verrà svelata al momento opportuno.