….and the big wheel keep on turning neon burning up above
and I'm just high on the world
come on and take a low ride with me girl
on the tunnel of love….

(Tunnel of love-1980 Dire Straits)


Il mio vecchio cuore rossonero e la mia età non più tanto giovane, legata ad un calcio romantico e a quei giocatori “bandiera” che oramai il vil denaro ha quasi estinto, mi hanno illuso ancora una volta, pensando che un emblema milanista come Sandro Tonali potesse ricalcare le orme degli indimenticati Baresi e Maldini. Il suo recente trasferimento al Newcastle per 70 milioni + bonus e con un contratto quinquennale da 7 milioni a stagione, sono una ferita al cuore che farà fatica a rimarginarsi. Quando ho letto la notizia e la squadra in cui militerà, il Newcastle (squadra inglese della premier League), ho pensato immediatamente a Mark Knopfler, l’eclittico chitarrista nonché solista della mitica band Dire Straits che viveva proprio in questa città e a Whitley Bay, località a 10 miglia di distanza dove una volta c’era un luna park chiamato Spanish city, che fa da sfondo a quella che può essere definita come la sua canzone più famosa, vale a dire Tunnel of Love.

Prima traccia dell’album Making Movies del 1980, con oltre 8 milioni di copie vendute, di cui 700.000 in Italia (una del sottoscritto) dove mantenne la prima posizione per 14 settimane, è il primo disco dei Dire Straits a raggiungere le vette delle classifiche mondiali.

Lo risento sempre volentieri, perché lo ritengo vera pietra miliare del Rock classico, un’opera d’arte che, anche questa volta, è riuscita a lenire la delusione calcistica. 

Un brano che vede il protagonista vivere come se fosse sempre su una giostra spericolata, ma un bel giorno la sua vita cambia proprio a Spanish City trovando l’amore nobile e passionale di una ragazza, raggiungendo l’apice nel Tunnel dell’Amore, che riesce a coinvolgere l’ascoltatore in un tripudio di romanticismo misto a un sentimento malinconico, sapendo che quell’amore, alla fine del giro in giostra svanirà per sempre. 

Tunnel of love diventa, per taluni versi, una sorta di fuga dalla realtà della grigia Newcastle dove il protagonista spera che quella ragazza possa essere quella giusta, pur sapendo che alla fine della giornata sarà destinato a perderla. La canzone si conclude con un lungo addio nel parcheggio del luna park raffigurato da un intenso ed iconico assolo di chitarra elettrica di Knopfler rigorosamente in fingerpicking, che può essere annoverato come uno dei più belli e celebri della storia del Rock.

Ci sono vini, pochi, che riescono a farmi innamorare intensamente, in modo passionale, quasi viscerale, avendo la capacità taumaturgica di distogliermi dalla realtà, incanalandomi in tunnel dimensionale che paragono a quello dell’amore e tutto mi sembra così irreale, ma allo stesso tempo aulico ma anche per certi versi onirico, come se per un lasso di tempo, quasi prestabilito, sia come sospeso tra il sogno e la realtà.

Una sensazione che non perderò e che si ripresenterà tutte le volte che riuscirò ad imbattermi in qualcosa di veramente speciale, come il Sancerre “Comtesse” annata 2016 di Gèrard Boulay di 13,0° vol. che ho voluto degustare accompagnato in sottofondo dalle note del capolavoro dei Dire Straits, quasi ad esorcizzare quell’amore effimero che svanisce al termine della canzone e che per fortuna non mi appartiene. 

Gèrard Boulay, che ho avuto il piacere di conoscere nel 2018, è il terminale di un Domaine familiare di viticoltori dal 1380 e proprietario di 9 ettari, di cui 8 situati sulle pendici di Chavignol nella Loira occidentale, su suoli di “terre Blanche” (simili ai terreni di Chablis) e che Boulay lavora con metodo bio dal 1990. I vigneti hanno un’età media di 45 anni ed il suo credo in vigna è quello del “sorvegliante”, ovvero cerca solo di assicurarsi che tutto vada per il meglio riducendo al minimo il suo interventismo e non interferendo con il processo naturale.  “Comtesse” è una parcella di vigneto di 70 anni, nascosta tra i Monts Damnes, che Gèrard Boulay ha voluto vinificare separatamente; gode di una bellissima esposizione solare e il vino che ne deriva è molto più aromatico e robusto rispetto alla maggior parte dei vini della zona. A mio parere rappresenta il meglio del meglio della produzione vinicola del Domaine.

In questo momento della mia esperienza enologica, se penso a Sancerre, non posso non citare Vatan o i fratelli Cotat, che probabilmente fanno vini stilisticamente di una categoria quasi a parte, ma Boulay non è da meno per il fatto che fa della naturalità il suo marchio di fabbrica, che ben li contraddistingue e che questo Sancerre “Comtesse” 2016 ne rappresenta la prova provata. Stappato e versato nell’apposito balloon si presenta cromaticamente di un bel color giallo paglierino intenso tendente all’oro zecchino e venato di un po’ di verde lime. Al naso emerge un concentrato agrumato di lime, pompelmo e ananas maturo; a seguire selce ed un elegante e fine sentore di bosso e sul finale effluvi iodati e salmastri di conchiglie.

In bocca è piacevolissimo ma allo stesso tempo teso e vibrante ed è attraversato da una mineralità gessosa, in un corollario gustativo davvero caleidoscopico, dove i rimandi agrumati avvertiti al naso ben si ripresentano al palato, così come una netta base salina che lo rende accattivante e sorprendentemente gourmand. Lunga persistenza su di un finale leggermente amaricante. Un vino che denota una notevole struttura e che risulta salivante al punto di desiderare subito un nuovo sorso. 

Come non innamorarsi di questo vino, che ti sorprende facendoti immergere in un romanticismo enologico che, solo l’assolo di chitarra del grande Mark Knopfler, sul finale di Tunnel of love riesce per un istante a distogliere l’attenzione da quel che potrei definire un’opera d’arte del vigneron Boulay.