Ci sono canzoni talmente iconiche che col tempo si impregnano di quell’aurea di immortalità rendendo immortali anche coloro che le hanno create, al punto di essere inconsciamente inseriti in una sorta di processo divinatorio e di mitizzazione. Sovente sono accompagnate all’apertura da un reef di poche note, inconfondibile, ma quel che stupisce è che quasi sempre siano il frutto di una geniale intuizione, di sregolatezze e anche di casi fortuiti.
Una di queste è senza orma di dubbio (I can’t get no) Satisfaction degli inossidabili Rolling Stones, composta, quasi per caso, nel 1965 e che ancora oggi, nonostante siano passati 58 anni, fa ancora scatenare giovani e meno giovani. Si narra (lasciamo un alone di mistero) che in quell’anno, dopo un concerto, il mitico chitarrista Keith Richards (80 anni il prossimo 18 dicembre) crollò stanchissimo nella sua stanza d’albergo in Florida; al suo risveglio, ricorda solo di aver fatto qualcosa prima di addormentarsi e la prova è il motivetto di due minuti inciso sul registratorino Philips rimasto acceso e seguito da 40 minuti di sane russate. Viene fatto sentire a Mick Jagger che, senza pensarci su, scrive in un baleno il testo, ma al contempo entrambi non sembrano convinti di una canzone venuta fuori da una russata e che possa essere venduta come singolo. Si sbagliavano, fu un successo planetario.
Eppure l’introduzione è di quelle magiche ed il testo è un urlo di ribellione allo status quo e all’esasperazione del ventesimo secolo, a quel non poter avere soddisfazione che anticipa profeticamente quel movimento di studenti e operai che esplose alla fine degli anni sessanta del Novecento nelle università, nelle scuole, nelle fabbriche e nelle piazze, contestando i valori tradizionali e le istituzioni.
Se penso a questa canzone, non posso non ricordare il film Apocalypse Now, capolavoro del regista Francis Ford Coppola e la scena in cui il capitano Willard (Martin Sheen) risale il Mekong; dalla radiolina sulla motonave la voce dello speaker radiofonico fa partire Satisfaction dei Rolling Stones che diventa il marchio di fabbrica di una band in grado di conquistare l’immortalità, quella che ricercavano i militari in Vietnam , per poter tornare a casa, per ritornare alla vera vita, alla spensieratezza giovanile e alla libertà. Per gran parte delle truppe questa canzone rappresentò quella sottile linea che separa la vita dalla morte e fu da supporto a tante giovani mandati allo sbando, a combattere una guerra e un nemico di cui non sapevano nulla, chiamati ad uccidere per sopravvivere difendendo una terra così lontana e così inospitale da tutto quello che avevano lasciato a casa.
Dal 1964 al 1975 Satisfaction dei Rolling Stones sostenne i Marines americani, ricordando che il loro posto non fosse nella giungla vietnamita, ma a casa dalle famiglie e dagli affetti più cari.
Non c’è nessuno al mondo, ancora oggi, che ascoltandola non la riconosca e 58 anni dopo e centinaia e centinaia di canzoni, i Rolling Stones sono ancora sulla breccia, inossidabili e non cedono di un passo, forse perché non hanno avuto ancora abbastanza soddisfazione.
Ci sono canzoni evocative e ci sono vini che lo sono altrettanto a cominciare dal loro nome; quando mi sono imbattuto (grazie all’amico Emanuele Spagnuolo di Grandi bottiglie- www.grandibottiglie.com) nel Pinot noir Maranges “La rue des Pierres” (la strada delle pietre), ho come avuto un flash di queste pietre che mi venivano incontro rotolando e non ho potuto fare a meno di associarle ai Rolling Stones e al loro successo più famoso. A questo punto ho pensato se anche io potevo non aver soddisfazione da questo vino e non mi restava che acquistarlo per poi degustarlo.
Siamo nel Comune di Maranges, in Borgogna, nella zona sud della Cote de Beaune ed il vino in questione è prodotto da una donna, Elodie Roy, laureata in giurisprudenza, che dopo una parentesi nel settore della finanza, si è dedita alla viticoltura lavorando per 11 anni nel Domaine Anne Gros in Cote de Nuits per poi assumere le redini dei vigneti di famiglia e per poi creare l’attuale azienda vinicola che porta il suo nome e che ha il credo in una viticoltura ragionata, sostenibile, rispettosa del suolo e dell’ambiente. Nonostante la sua storia recente (la sua prima annata è la 2018) Elodie è davvero in gamba perché sa dar vita a vini naturali, veri e gioiosi, come il suo Maranges “La rue des Pierres” annata 2020 di 13,5° vol degustato dopo un temporale estivo rinfrescante come il suo Pinot Noir che, versato nell’apposito balloon tipo “Burgundy”, si presenta cromaticamente di un bel colore rosso rubino leggermente scarico, limpido ed uniforme con velature rosacee sull’unghia. Un tocco di riduzione che con un’opportuna ossigenazione tende ben presto a scemare per poi sprigionare classici sentori fruttati di fragolina selvatica, ribes e lampone. Aprendosi, seppur in età giovanile, vira su sensazioni terziarie di erba bagnata mista a tracce di humus e di sottobosco e fiori essicati. Il finale è di chiara matrice balsamica di liquirizia dolce. In bocca denota una leggiadra morbidezza, con un’appena accennata astringenza tannica; acidità in evidenza, corredo minerale ben dosato e con una base sapida intrigante, che lo rende giocoso e un po’ ruffiano. Un vino beverino, scorrevolissimo al palato e a tratti un po’ rustico ma sicuramente di indubbia piacevolezza e che si lascia bere come se non ci fosse un domani. In sintesi, un Pinot Noir, che seppur non fa parte di quelli provenienti dai comuni più blasonati della Cote des Nuits e mi riferisco ai vari Vosne Romanèe, Chambolle Musigny, Gevrey Chambertin etc etc , per dirla alla Rolling Stones, da grande satisfaction.
Mi verso ancora un po’ di questo Maranges nel bicchiere e come spesso mi capita, ascolto in sottofondo il successo di Jagger & Co., pensando che la musica, come il vino, è una medicina per il corpo e per l’anima. Alla prossima.