Posso affermare con quasi assoluta certezza che ognuno di noi abbia preso in mano almeno una volta il Cubo di Rubik. Ricordo bene che nel 1980 (avevo 14 anni) me lo ritrovai in casa e presumo che sia stato mio fratello maggiore ad acquistarlo, ma in quell’anno spopolò talmente tanto tra i teen-agers e non solo, che divenne per un buon lasso di tempo una vera e propria mania, al punto di diventare negli anni una sorta di evergreen, visto che ancora oggi lo si trova abbastanza facilmente e che addirittura vengono indetti veri e propri campionati per decretare come vincitore colui che nel minor tempo possibile riesce a ricomporre il cubo nelle 6 facciate colorate (Il primatista attuale è il giovane Max Park, di Long Beach in California che ha completato il cubo di Rubik in 3,134 secondi, stabilendo il nuovo record mondiale di velocità, secondo il Guinness dei primati).
Sino ad oggi sono stati venduti 350 milioni di cubi originali in tutto il mondo e probabilmente altrettanti copiati.
L’invenzione del Cubo, ha quasi del paradosso; nell’estate del 1974, l’allora ventinovenne ungherese Rubik, che viveva ancora con la madre, era solito trascorrere il tempo libero nella sua caotica stanza disseminata di matite colorate, bastoncini, molle e anche cubi fatti di carta e legno. Un giorno, preso dalla noia, provò a mettere insieme 8 cubi in modo che rimanessero uniti, pur potendo muoversi cambiando posto. Dopo vari tentativi diede vita ad un oggetto solido e statico, ma anche fluido. Dopo averlo girato più volte, per rendere visibile i movimenti, ebbe la bella idea di dare colore ai quadratini, uno per lato. Dopo di che continuò a girare e rigirarlo fino a quando si rese conto di non essere più in grado di riportarlo allo stato iniziale.
Sembra assurdo, ma il suo cubo nacque in questo modo.
La storia di questo oggetto, che in apparenza sembra essere romanzata, è davvero strana perché racchiude in sé una serie di paradossi.
Rubik dubitò fortemente che lo si potesse riportare allo stato inziale e gli ci volle un mese la prima volta, dopo più e più tentativi; paradossale è anche il fatto che abbia catturato nel tempo l’attenzione di matematici, filosofi ed artisti di vario genere e che abbia scomodato più di uno scienziato che hanno ravvisato nel cubo, chi esclusivamente un passatempo, chi uno strumento didattico ed altri una sorta di talismano taumaturgico al pari di fonti di ispirazione e addirittura mistico e dai connotati esoterici.
Possiamo quindi tranquillamente dire che quanto asserito sul cubo di Rubik e sulle sue sfaccettature, incarnino quel paradosso che sintetizza tutto ciò che contraddice l’opinione comune e giunge in conclusione in contrasto con l’esperienza quotidiana. Ma non è l’unico e comunque quotidianamente siamo soliti imbatterci in paradossi che ci fanno pensare.
Non è immune anche il campo enologico e lo posso testimoniare con uno Champagne davvero particolare che ho avuto il piacere di degustare in una splendida ed impegnativa serata sapientemente diretta dall’amico Dario Giorgi, vero tycoon del mondo delle bollicine, nonché fondatore della Sparkling World (sparkling-world.com). Mi riferisco allo Champagne “Paradoxe” di JM Labruyère, una bollicina di una Maison posta tra le colline del villaggio di Verzenay nella Montagne de Reims, reputato uno dei migliori terroir della Champagne, insieme ai villaggi di Bouzy ed Ambonnay ed insignito della denominazione Grand Cru.
Paradoxe è uno Champagne Blanc de Noirs con uve provenienti dall’annata 2016, imbottigliato il 28 aprile 2017 e degorgiato il 27 aprile 2022, classificato Brut Nature con dosaggio 0 gr/L. che, versato nel bicchiere da degustazione si presenta di un bel color oro, limpido e brillante e con accattivanti striature ramate; il naso è complesso ed intrigante allo stresso tempo, con avvolgenti sentori di piccoli frutti rossi, fragolina di bosco oltre a leggere nuances di ciliegia e prugna. In bocca è dotato di una estrema pulizia e da una nitida matrice lattica che da rotondità, ma è subito dopo che si insinua un paradosso che mi ha lasciato un po’ disorientato, nel senso che ha una notevole morbidezza, ma allo stesso tempo una tensione non indifferente. Morbidezza e tensione sembrerebbero quasi in contrasto ed è un po’ paradossale che possano coesistere ma vi assicuro che in questo Champagne sono davvero in equilibrio. Lasciato ulteriormente ossigenare, si apre su ulteriori note vagamente balsamiche e lievemente tostate, su di un finale adorabile in cui l’eleganza palatale ed un tocco di sapidità vanno a braccetto come una coppia di innamorati.
E’ probabile che il produttore l’abbia voluto chiamare Paradoxe probabilmente per la sensazione nitida che traspare nella degustazione e sicuramente con un’accezione positiva del termine.
Per quel che sono i miei gusti il Paradoxe di Labruyère è stato senza dubbio quello che ho preferito durante la serata ed è quello che cerco sempre in uno Champagne….sarà paradossale ma questo è quanto. Alla prossima……..