“Amor, c’ha nullo amato amor perdona,
mi prese del costui piacer si forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona…..”
(Inferno-CantoV°/ Paolo e Francesca)
Di recente, mi sono imbattuto in una scultura davvero emblematica di Pietro Canonica, grande talento artistico vissuto a cavallo del XIX° e XX° secolo, formatosi sulla scuola pietistica seicentesca ed ispiratosi alle opere di Guido Reni e dei pittori religiosi del periodo post rinascimentale, a loro volta influenzati dalle innovazioni stilistiche caravaggesche.
L’opera in questione è “L’abisso”, eseguita nel primo decennio del secolo scorso e che rappresenta due amanti avvinghiati in un tenero abbraccio che incarna un ineluttabile destino raffigurato dal volto di lei, sospeso in un abisso profondo e oscuro, mentre si appoggia all’amante, che delicatamente l’avvolge a sé. Guardandoli, non ho potuto fare a meno di pensare alle sciagurate vicende di Paolo e Francesca e al celeberrimo verso del Canto V° dell’Infermo della Commedia Dantesca. In questo Canto, Dante e Virgilio si addentrano nel girone dei lussuriosi incrociando i due teneri amanti, storicamente esistiti e la cui storia si sarebbe svolta al Castello di Gradara, fortezza medioevale posta nell’omonimo Comune all’interno dell’attuale provincia di Pesaro-Urbino.
Si tratta di Francesca da Rimini, figlia di Guido Minore Signore di Ravenna e Cervia e di Paolo Malatesta; nel 1275, Francesca fu promessa sposa a Giovanni Malatesta detto Giangiotto e per evitare il possibile rifiuto della giovane, mandarono il fratello Paolo, detto il Bello. La giovane si innamorò di lui, non sapendo che sposasse per procura il fratello Giangiotto. L’amore tra i due era sbocciato e la stessa Francesca, chiamata da Dante, rievoca la sua storia narrando che un giorno, lei e Paolo, che deteneva possedimenti nei pressi di Gradara ed era solito andare a trovare la cognata, lessero un libro che parlava di Lancillotto e Ginevra. Più e più volte la lettura venne interrotta dal loro cercarsi con lo sguardo fino a che lessero il punto in cui era descritto il bacio dei due amanti ed anch’essi interruppero la lettura del libro per darsi un romanticissimo bacio, ma in quel momento Giovanni Malatesta li sorprese e trafisse entrambi con la spada per vendicarsi del tradimento. Dante, nonostante si commuova per il destino crudele dei due giovani, non li perdona mettendoli all’inferno perché adulteri e la sua scelta è legittima se contestualizzata all’epoca in cui scrisse la Divina Commedia. Quello che però emerge è che l’Amore è talmente grande da superare l’ostacolo della morte dandogli quei connotati di eternità.
Non so perché, ma se ripenso ai due sventurati e all’Amore eterno, mi sovvengono due vini che ho degustato da pochi giorni, che provengono entrambi dalla stessa regione, la Borgogna e addirittura dallo stesso villaggio, Pommard, nel cuore della Cote de Beaune.
Mi riferisco al Chorey-Les-Beune 2017 di Fanny Sabre e al Pommard 1° cru Les Argillières 2018 del Domaine Lejuene, il primo Chardonnay e il secondo Pinot noir.
Fanny, talentuosa produttrice di vini naturali con sede a Pommard, poco più che trentenne, possiede ettari di vigneti disseminati nelle grandi denominazioni che circondano la città di Beaune; cresciuta alla scuola di Philippe Pacalet, rinomato vigneron borgognone, ne ha tratto il meglio per poter produrre questo Chorey-Les-Beaune annata 2018 di 13,5° vol. di altissima qualità e che si presenta cromaticamente di un bel colore oro pallido, limpido su tutta la superficie. Al naso si apre con nuances decisamente floreali, per poi virare su note agrumate e leggermente citrine ed a seguire miele delicato, per poi chiudere con sentori di erbe della macchia mediterranea. In bocca entra con eleganza, ma allo stesso tempo ha una bella densità, bilanciata da un’acidità da manuale. E’ un vino dai connotati femminili, che trasuda una sensualità non carnale, ma pura come i sentimenti del primo Amore. La corrispondenza naso/bocca è perfetta e la persistenza gustativa si fa sentire, chiudendosi con una raffinata noisette e su di un corollario di sapidità che fiorisce quasi con malizia.
Da contraltare, troviamo Aubert Lefas, ultimo reggente del Domaine Lejeune, famiglia di vignerons dal 1850, che conduce l’azienda secondo i dettami della biodinamica e quindi in netta sintonia con la giovane Fanny. Proprietari di 9 ettari, di cui 4 destinati alla produzione dei Pommard 1° cru, tra cui questo Pommard 1° Cru Les Argillières annata 2017 di 13° vol, che, versato nell’ampio ballon da degustazione, si presenta di color rosso rubino mediamente carico e che si apre in modo olfattivo con sentori di frutta rossa e floreali di viola mammola, per poi virare su note terziarie di tabacco, di pepe bianco, di cuoio e con una leggera nota di affumicatura.
In bocca si esalta e ti seduce come un tenero amante, in un mix di potenza e baldanza giovanile, mostrando nel contempo anche un lato femminile tutto incentrato sull’eleganza e sulla dolcezza del frutto, sovvertendo gli usuali canoni dei Pommard che, di norma in gioventù risultano spesso scontrosi e sgraziati. Piacevolissimo con una beva davvero scorrevole ma mai banale che mostra in evidenza corpo e struttura. Dotato di un’acidità medio-alta e da un leggero tannino ben levigato, chiude su di un finale davvero persistente.
Sono certo che Fanny ed Aubert si conoscano e nonostante non ripercorrano le vicende dantesche sono riusciti entrambi a colpirmi con due vini diversi (non solo per il colore) ma simili allo stesso tempo e dotati di quell’eternità che va oltre il tempo, le mode e qualsiasi ostacolo si presenti in questa vita, che riesce sempre a destarmi piacevoli ed inaspettate sorprese.