Nella Borgogna medioevale, mentre i monaci con i copiosi lasciti dei Duchi ponevano le basi dell’attuale ampelografia di uno dei territori enologicamente più vocati al mondo, spopolava una figura particolare, sicuramente più frivola ma acclamata e ricercata in tutta la Francia e più tardi in altre parti d’Europa: quella dei trovatori.
I “troubadoures” (per dirla alla francese) erano poeti, musicisti e compositori provenienti dall’Aquitania e dal Limousin; il termine “trovatore” deriva dal latino “tropare”, che significa comporre tropi, cioè brani cantati in latino e destinati ad adornare il canto liturgico, ma a poco a poco, detto termine si trasformò in un’attività letteraria col significato di creazione, invenzione, scoperta.
Ben presto la loro fama arrivò al tal punto che venissero considerati come vere e proprie stars e le corti ed i Signori dell’epoca facevano a gara per essere intrattenuti da loro.
Tra le tante storie enunciate, una di quelle più gettonate era quella di un contadino che trovò 2 pernici (in francese perdrix) vicino alla sua fattoria.
Felice, chiese alla moglie di cucinarle mentre si sarebbe recato ad invitare il prete del paese per il pranzo. La donna, li cucinò e mentre il marito ed il prete ritardavano, presa dalla gola, non riuscì a trattenersi e le mangiò una dopo l’altra.
Al loro ritorno, il marito andò su tutte le furie, mentre la moglie tentava di fargli credere che fossero state divorate dai gatti. L’uomo, preso da un’irrefrenabile collera usci di casa ed iniziò ad affilare il coltello, mentre la donna confidò al prete, che tentava di sedurla e baciarla, che il marito geloso volesse tagliarle le orecchie. Allora chiamò il marito facendogli credere che il prete stesse fuggendo con le sue pernici…..l’uomo, disperato lo rincorse ma alla fin fine tornò a mani vuote.
Morale della storia: la donna è fatta per ingannare e la verità diventa menzogna e la menzogna verità. In realtà la storia illustra bene un tema ricorrente in quel periodo, ovvero la vittoria di un essere debole su un essere forte grazie all’inganno, o forse potremmo dire che la donna è più furba dell’uomo.
Leggendo questo racconto, mi ha fatto venire un po’ fame, ma ancor di più mi ha stregato al punto di farmi scendere in cantina a togliere dallo scaffale una bottiglia di Echezeaux Grand Cru annata 2007 di 13,0° vol. del Domaine des Perdrix, che sull’etichetta mette in bella evidenza una splendida pernice.
Un domaine rimasto nell’anonimato sino al 1996, quando fu rilevato dalla famiglia Devillard, vignerons da 5 generazioni e già proprietari dello Chateau de Chamirey a Mercurey, del Domaine la Fertè a Givry e del Domaine de la Garenne nel Maconnais e quindi ben introdotti nel tessuto enologico borgognone, oltre al Domaine Rolet nello Jura.
15 ettari disseminati tra i vigneti di Vosne-Romanèe, Nuits-Saint-Georges, Nuits-Saint-Georges Premier Cru “Aux Dessus” (monopolio dell’azienda visto che detiene il 99% di questo grande vigneto) ed Echezeaux Grand Cru.
I capisaldi dei Devillard sono 3:
- avere dei bellissimi terroir
- avere viti ben piantate e con la giusta densità
- l’esperienza umana. Siccome la natura non dà mai la stessa cosa due volte, occorre “sentire” l’annata valutandone le potenzialità e prendendo le giuste decisioni al momento opportuno.
Il vino che ho scelto, proviene da un vigneto di 1,1465 ettari suddiviso in 2 appezzamenti con viti centenarie piantate nel 1922 e altre nel 1945.
Terreno argilloso-calcareo-marrone con predominanza di argilla e numerose piccole rocce, posto su pendio regolare esposto a sud/sud-est.
Vendemmia manuale, grappoli selezionati a mano e parzialmente diraspati (70%), pre-fermentazione per 4/6 giorni per lavorare sull’estrazione delle componenti fenoliche. Macerazione completa di 15 giorni con parziale rottura del cappello ed attenzione maniacale su concentrazione dei tannini, dei profumi e del colore. Lieviti indigeni, affinamento in botti da 228 litri per 18 mesi, di cui 85% in botti nuove di rovere provenienti dalle foreste dell’Allier e dei Vosgi.
Successivamente il vino trascorre 2 mesi in vasche prima di essere imbottigliato. Ma come sempre, veniamo alla degustazione.
Stappato 6 ore prima di essere servito e versato 3 ore prima di essere degustato, tappo sanissimo.
Servito alla temperatura di 17 gradi ed in ampio balloon tipo Burgundy, si presenta di un bel rosso rubino mediamente carico con riflessi aranciati sull’unghia; il naso è qualcosa di maestoso ed è quello che contraddistingue i Grand Cru della Cote des Nuits , austero e regale allo stesso tempo, dove emergono profumi intensissimi di frutta rossa matura, di amarena, lampone e ciliegia marasca, per poi virare su note speziate inizialmente di cannella e noce moscata, proseguendo con cuoio, tabacco del Kentucky e un elegante sottobosco, per poi chiudere su sentori erbacei e di liquerizia dolce.
In bocca è ampio, freschissimo, dove i rimandi fruttati già avvertiti al naso riempiono aromaticamente la cavità orale, supportata da un’acidità e da note minerali davvero superbe e da una potenza devastante che lo rende armonioso ed allo stesso tempo elegantissimo. Il tannino, setoso, conferisce a questo Echezeaux Grand Cru, una grandissima struttura elevandolo all’ennesima potenza. Beva scorrevolissima ma decisamente importante ed impegnativa nella sua giusta connotazione. Finale leggermente amaricante su di una persistenza gustativa che ha dell’eterno. Un vino ed un’annata davvero notevoli che vi auguro di trovare ancora su qualche scaffale di qualche enoteca, ad un prezzo medio decisamente importante, poco meno di 200 euro la bottiglia.
Sono certo che se i “trovatori” avessero potuto degustare questo vino, ne avrebbero tessuto le lodi con un tropo che sarebbe passato alla Storia, ma soprattutto, avrebbero fatto carte false per rimanere al servizio indeterminato alla corte dei Duchi di Borgogna. Da parte mia, in assenza della pernice nel piatto, mi verso ancora un po’ di questo nettare celestiale, che non mi avrà fatto passar la fame, ma mi ha dato lo spunto per scrivere questa storia…….