Nella vita, a volte le cose accadono troppo presto e in altre spesso non si riesce a cogliere la giusta opportunità, generando in ognuno di noi una sorta di pentimento. Scelte sbagliate spesso inducono a rimorsi o meglio ancora a provare una stato di costrizione che sfocia in un pentimento, che riaffiora ciclicamente nel tempo nonostante si vada avanti, cercando di non ripetere gli errori del passato. Se fossimo infallibili, le nostre scelte non ci porterebbero mai ad incappare in stati d’animo mortificanti, perché le avremmo fatte decidendo in modo autonomo, sapendo ascoltare le nostre emozioni, imparando nel contempo a gestire la paura facendone un’alleata ed ancora, valutando tutti i pro e i contro, provando ad immaginare gli esiti delle decisioni assunte e non ultimo avendone parlato con una persona fidata.
Siamo umani e queste scelte, sbagliate, si trasformano per fortuna in esperienze da togliere dal nostro bagaglio al momento opportuno, nel lungo viaggio che chiamiamo vita.
Succede, che scelte sbagliate possano incidere inesorabilmente sulla vita professionale di una persona e se penso al campo musicale, mi vengono in mente 3 casi emblematici:
nel 1962, i Rolling Stones erano a un passo dal diventare la band universalmente acclamata a livello planetario. Il batterista Toni Chapman, colui che aveva introdotto il bassista Bill Wyman nella formazione, non amava il modo “grezzo” in cui Jagger & Co. interpretavano la musica blues. Decise quindi di lasciare la band e venne sostituito da Charlie Watts, recentemente scomparso. Mai scelta fu più sbagliata….;
Doug Sandom, primo batterista dei leggendari Who, nonché musicista di livello, probabilmente, per divergenze musicali decise di lasciare il gruppo di Daltrey e Townshend prima che esplodessero a livello internazionale nel 1964. Sandom ha più volte asserito che uscire dagli Who sia stato l’errore più grande commesso nella sua vita e nonostante sia vissuto quasi fino a 90 anni, non ha mai conosciuto la fama che avrebbe meritato;
Keith Levene, fondatore del gruppo The Clash, ha il primato di non aver mai inciso nulla con il suo gruppo; nonostante le idee e tutti i suoi buoni propositi non riuscì a comprendere quel che sarebbe accaduto alla sua band, che esplose in popolarità nel 1977. Se ne andò l’anno prima e solo successivamente diede vita a un progetto sperimentale di punk rock fondando i Public Image Ltd ma con minor visibilità e successo.
3 storie e tre scelte sbagliate che hanno inevitabilmente segnato le vite di questi uomini ed hanno generato di certo una sorta di pentimento e di rimpianto.
Io, non sono immune da tutto questo. Tralascio le scelte che hanno inciso sulla mia vita privata, ma pubblicamente, per quanto concerne la mia infinita passione per il vino, posso dichiarare in modo estremamente trasparente di essermi pentito più di una volta nell’aver stappato anzitempo una determinata bottiglia. Mi capita, con un vitigno in particolare: il Riesling.
Ci sono cascato una prima volta con il Piersporter Goldtropchen Riesling Spatlese 1999 di Achim Molitor (avrei aspettato un altro decennio!!) e ci sono ricascato una seconda volta con il Riesling Scharzhof 2015 di Egon Muller (un infanticidio!!), ma come dice il detto “non c’è due senza tre” ed ecco che commetto un nuovo errore con il Riesling Spatlese Fruhlingsplatzchen 2016 di Hemrich-Schonleber di 8,0°vol.
Siamo nella Nahe, regione vinicola confinante con la Mosella dove si producono vini di qualità in poco più di 4.000 ettari; peculiarità della regione è la grande varietà dei suoli che la compongono; dai terreni vulcanici, agli argillosi, ai calcarei, a quelli con predominanza di ardesia e all’arenaria. Comun denominatore è l’eleganza e la finezza.
La famiglia Schonleber è attiva dagli anni sessanta del secolo scorso e l’attuale reggente, il signor Werner, che io e il mio amico William abbiamo avuto il piacere di conoscere, fonda la sua viticoltura su 3 punti fondamentali:
- I vini Schonleber offrono un vero piacere;
- sono espressione onesta, autentica e senza fronzoli della loro origine;
- I vini provenienti dai singoli vigneti hanno sempre personalità distintive.
20 ettari vitati con una percentuale di Riesling superiore all’85%, integrato con Pinot Grigio e Pinot Bianco.
Questi principi continuano in cantina, dove Werner e la sua famiglia definiscono il quadro in cui i vini possono svilupparsi liberamente e senza alcun artificio di sorta. Una bellissima visita che consiglio ad ogni appassionato.
Ma veniamo alla degustazione.
Stappato e versato nell’apposito calice si presenta di un bel colore giallo paglierino carico tendente al dorato, limpido e brillante su tutta la superficie.
Al naso è un tripudio di frutta gialla, mela, pera, pesca, unita ad un mix di frutta esotica dove troneggia un bel ananas maturo. Roteato ulteriormente, sprigiona chiari sentori di pietra bagnata e polvere da sparo.
In bocca è ammaliante, sensuale e carezzevole e con un accenno quasi cremoso, ma quel che sbalordisce è il meraviglioso equilibrio tra l’acidità brillantissima e la dolcezza, notevole, ma mai stucchevole, che lo rende davvero qualcosa di unico.
Difficile resistere ad un vino così delizioso e con un finale lunghissimo, dove rimane impressa una sferzata di dolcezza che viene lentamente ed in dissolvenza smorzata da un’acidità tagliente. Un vino che svanisce nel bicchiere e nella bottiglia alla velocità della luce; quello che stupisce è che nella sua ruffiana maliziosità, riesce sempre e comunque a mantenere un’eleganza quasi aristocratica e d’antan.
Mi capita di sentir dire: “ stappa, bevi e pentiti”. Questa bottiglia è l’esatta incarnazione di questa affermazione, nel senso che seppur felice e altamente soddisfatto della degustazione, ho avuto immediatamente il pentimento di averla stappata troppo presto, precludendomi migliori sensazioni gusto-olfattive che, solo il tempo e la pazienza di aspettare avrebbero ancor più esaltato i miei sensi e le emozioni, che solo un’opera d’arte, come questo eccezionale Riesling, riesce a soddisfare.
Prosit!!