Preparando la serata di degustazione a tema Riesling, inevitabilmente la mia mente ha cominciato a veleggiare solcando i mari della memoria, ritornando indietro di quasi vent’anni, per rimembrare il viaggio di esplorazione del terroir enologico alsaziano e dei suoi incredibili vini.
Per chi non ci fosse mai stato è come avere la sensazione di essere catapultati indietro nel tempo, come immersi in un contesto fiabesco, di elfi, gnomi, dame e cavalieri e soprattutto di vigneti magici e come per incanto sembra di vivere una sorta di epopea leggendaria, in compagnia di fatti e personaggi che risultano amplificati ed alterati dalla fantasia e dalla tradizione, in una duplice esigenza di esaltazione e di esemplarità.
Ricordo che quando mi recai a Pfaffenheim a far visita al vulcanico Seppi Landmann, proprietario dell’omonima azienda vinicola, tra una degustazione e l’altra, in preda ai fumi dell’alcool, mi fece cenno ad una montagna sacra e ad una leggenda. La montagna è lo Schauenberg, la leggenda è quella della Roccia del Diavolo, più precisamente mi disse, con un ghigno satanico: “ monsieur, il s’agit de la Pierre de Diable”….. Lì per lì non ci feci caso più di tanto, ma il giorno seguente, curioso come un novello Indiana Jones cercai di capirne di più.
Ai piedi dello Schauenberg si trovano i villaggi di Pfaffenheim e Geberschwir con le loro chiese romaniche, circondati da vigneti e un po’ più lontano la cittadina di Rouffach, a sua volta non distante dall’incantevole Colmar.
La leggenda racconta che il Diavolo si fosse stabilito proprio in questa zona, ai piedi della montagna sacra dello Schauenberg, stabilendo il suo accampamento ed attratto dai succulenti grappoli dei vigneti i cui effetti eccessivi gli procuravano un immenso piacere. Un giorno, un contadino affermò di aver scoperto una statua della Vergine Maria, dai poteri miracolosi e protettivi; per questo venne eretta, ben in vista, una cappella votiva ed iniziò un vero e proprio pellegrinaggio di fedeli che si recavano sul luogo per celebrare Maria e pentirsi dei propri peccati e delle cattive azioni.
Alla vista di tutto ciò, il Diavolo non tardò ad esprimere tutta la sua rabbia, visto che in questo modo stava perdendo la sua influenza sui poveri peccatori.
Esasperato, pensò al modo migliore per far sparire il luogo del pellegrinaggio.
Un giorno, notò un grosso blocco di arenaria che, come molti suoi simili, giaceva nella foresta; lo afferrò e lo sollevò. Il suo intento era quello di lanciarlo contro la cappella per distruggerla per sempre, ma nei pressi dell’edificio la roccia si ammorbidì al punto di prendere la consistenza di un panetto di burro e gli artigli del Diavolo affondarono in questa massa informe ed alla fine scivolò e cadde a terra. Dopo poco la roccia riprese la sua consistenza e gli artigli del Diavolo restarono per sempre impressi nella pietra.
Ancora oggi, se si sale sulla montagna sacra dello Schauenberg, ci si può imbattere nella Roccia del Diavolo”.
Trovandosi tra i vigneti di Pfaffenheim , se anziché farsi prendere da un’emozione a valenza edonica negativa e di alta intensità, l’avesse repressa con un bicchiere di Riesling sarebbe ancora lì oggi, come un novello Bacco e magari spogliato da tutta la sua malvagità; se poi quel bicchiere fosse stato il Riesling Grand Cru Steinert di Pierre Frick, allora sono certo che avrebbe ripreso miracolosamente le originarie sembianze di un arcangelo!!
Pierre Frick è tra i più grandi interpreti e pionieri del vino artigianale alsaziano, visto che è dal lontano 1981 che alleva i suoi vigneti secondo i principi della biodinamica ed avendo ottenuto la certificazione Demeter nel 1986.
Suo padre putativo è stato Francois Boucher, dal quale ha imparato ad escludere l’utilizzo di preparati chimici, erbicidi e insetticidi, preservando il terreno e favorendo la naturale biodiversità tra pianta e territorio circostante.
Titolare di un’azienda famigliare che si tramanda da 12 generazioni, è attualmente coadiuvato dal figlio Thomas e dalla moglie Chantal nella conduzione di 12 ettari allevati a Riesling, Gewurztraminer, Sylvaner e Pinot Noir. Vendemmia manuale, solo al raggiungimento della perfetta maturazione delle uve, fermentazioni spontanee con lieviti indigeni, affinamenti in botti di rovere che possono raggiungere anche il secolo di vita e nessun tappo in sughero, ma bensì quelli a corona per evitare ogni qualsiasi forma di contaminazione. Nessuna chiarifica, solo una leggera filtrazione su filtri di cellulosa e nessuna aggiunta di solforosa all’imbottigliamento, per poter ottenere vini dalla spiccata naturalità e di estrema purezza nel sorso, come il suo Riesling Grand Cru Steinert annata 2012 di 14,0° vol., che, versato nel bicchiere da degustazione si presenta di un incredibile colore intensamente dorato con riflessi tendenti all’arancio e che denota una probabile macerazione sulle bucce ed in parte un’evoluzione cromatica nella sua terziarietà.
Appena stappato ho sentito una lieve riduzione che si è dissolta quasi immediatamente, lasciando che il vino si aprisse rivelando la sua profondità e complessità olfattiva che dimostra nell’immediato di trovarsi di fronte ad una vera e propria opera d’arte.
Si svela quasi magneticamente con un’intrigante miscela di smalto e resina ed a seguire si è pervasi da un bel mix agrumato, di frutta esotica, di scorza di lime in infusione, per poi virare su nuances vagamente floreali e chiudendo su richiami di pietra focaia.
Ma il vero capolavoro è il sorso dotato di un’infinita classe, di un’avvolgente freschezza palatale, di un corpo decisamente strutturato e succoso, quasi masticabile, impreziosito da un’eleganza e da una personalità fuori dal comune, in una beva che cambia continuamente e che stupisce nella sua tagliente acidità. Ottima la corrispondenza naso/bocca con un retronasale vagamente balsamico e con una persistenza gustativa davvero lunga.
Un Riesling impegnativo, per palati allenati, ma che lascia un’enorme soddisfazione gusto/olfattiva.
Un vino che oserei definire diabolico nella sua accezione positiva, nel senso che incarna l’incontaminazione dell’inizio satanico, quando Lucifero, prima di trasformarsi nel Principe delle tenebre era il più bello degli angeli.
Pierre Frick è senza ormai di dubbio uno dei vignerons più talentuosi che l’Alsazia possa annoverare ed è per questo che, se doveste imbattervi in una sua bottiglia, non esitate ad acquistarla.
Alla vostra salute.