Chi è immune dai messaggi subliminali, scagli la prima pietra!!
Mi permetto di sentenziare, prendendo spunto un po’ blasfemamente dal più noto detto evangelico, per porre l’attenzione su qualcosa che ci riguarda universalmente, identificandola come un fenomeno dell’era moderna.
Il messaggio subliminale (dal latino sub, sotto, e limen, soglia in riferimento al confine del pensiero conscio) è un termine mutuato dal linguaggio della pubblicità.
In psicologia, le percezioni subliminali sono un fenomeno i cui stimoli che non giungono alla soglia di consapevolezza inducono reazioni specifiche senza che l’individuo se ne renda conto. Quindi, un messaggio subliminale è un segnale progettato per passare al di sotto dei normali limiti della percezione umana; troviamo vari esempi nella quotidianità legati ad un messaggio insito in una canzone, impercettibile al momento ma ben marcato a livello di inconscio o più comunemente agli spot pubblicitari che persuadono occultamente ad acquistare un determinato prodotto ed il più delle volte producono effetti potenti ed immediati che colpiscono e canalizzano il comportamento delle persone.
Quante volte abbiamo sentito parlare dei messaggi satanici subliminali inseriti in certe canzoni e per sentirli basterebbe ascoltare il pezzo al contrario. Pochi sanno che il primo caso di questa categoria di messaggi fu rinvenuto in una canzone dei Beatles, col singolo Rain del 1966 ed ancora, quante volte Robert Plant e la sua band, i Led Zeppelin furono accusati di diffondere messaggi satanici subliminali con i testi esoterici, uno su tutti il loro più grande capolavoro Starway to Heaven, tacciato come un chiaro inno a Satana se ascoltato al contrario. Effettivamente il significato occulto c’è, ma va ricercato nell’opposta direzione rispetto ad un messaggio subliminale a sfondo satanico. E’ probabile che abbia influito il fatto che Jimmy Page (leggendario chitarrista del gruppo) fosse un cultore di esoterismo e che avesse acquistato una tenuta appartenente ad Aleister Crowley ( noto esoterista e scrittore) e che avesse aperto a Londra una libreria esoterica.
E che dire dei film? Il cinema nel secolo scorso fu accusato di diffondere messaggi finalizzati a stimolare nelle persone il desiderio di fumare o di bere alcolici e su molte scene venne immediatamente applicata la mannaia della censura.
Ritornando alla frase iniziale di questa mia recensione, devo dire che anche io non ne sono immune….
Un paio di giorni fa, facendo oziosamente zapping su Netflix alla ricerca di un film per passare la serata, mi sono imbattuto in un titolo che mi ispirava. Mi riferisco al lungometraggio Il Sommelier.
Di norma mi affido alla trama e non vado mai a sbirciare eventuali recensioni e poi mi sono fatto attrarre dal titolo, che per un appassionato come me era tutto un programma.
Tralascio la storia che si snoda su un esile rapporto conflittuale padre-figlio, il cui figlio va a fare un corso di sommelier in parte per coronare il suo sogno ed in parte per distinguersi dalla figura paterna, infarcito dal rapporto amoroso con la nuova fidanzata e sullo sfondo il vino, ma neanche tanto. Un film che ho guardato fino alla fine ma che mi ha lasciato ben poco. Nulla a che vedere con Sideways (2004) o con Un’ottima annata (2006) tanto per citarne alcuni.
Sta di fatto che il giorno seguente, scendendo in cantina tolgo dallo scaffale una bottiglia di Chablis 1°Cru Montmains annata 2017 di 13,5° vol. del Domaine de l’Enclos, ma risalendo verso i miei alloggi mi si accende una lampadina…..
Accendo, la TV, torno su Netflix e sul film, lo scorro nei fotogrammi e dopo 5 minuti l’occhio si ferma su un’immagine particolare, bottiglie di Chablis di Albert Bichot del Domaine Long-Depaquit… stai a vedere che sono stato colpito da un messaggio subliminale!!
Mai come questa volta posso dire con assoluta certezza di esserne compiaciuto, ma allo stesso tempo qualche spunto di riflessione me l’ha lasciato.
Visto che oramai la bottiglia è saldamente tra le mie mani, forse sarà il caso di stapparla e degustarla non prima di aver parlato del Domaine de l’Enclos.
Con 29 ettari di vigneto (certificato biologico nel 2018), questa tenuta è stata fondata nel 2016 da Romain e Damien Bouchard, figli di Pascal Bouchard, che ha venduto la sua attività commerciale nel 2015. Nel parco di una bella residenza a Chablis, è stata costruita una cantina sotterranea per accogliere le uve raccolte a mano, vinificate con lieviti autoctoni e senza alcun altro apporto se non un po' di solforosa dopo la pressatura e l'imbottigliamento. Con 1,5 ettari di grand cru (Clos, Blanchot, Vaudésir), 8 ettari di premier cru (tra cui Fourchaume, Montmains, Mont de Milieu e Vau de Vey) e il resto a Chablis e Petit-Chablis, questo domaine sta diventando una scommessa sicura per la denominazione, con la passione di produrre vini Chablis secondo metodi “semplici e naturali” e con una buona dose di “osservazione” e pazienza”, i fratelli che si definiscono “perfezionisti”, hanno stabilito un nuovo standard più elevato per i vini di carattere di Chablis.
Ma veniamo alla degustazione:
vino prodotto da una parcella piantata dal nonno dei viticoltori nel 1971 di 0,55 ha esposta a sud-est situata in moderata pendenza al confine con il premier cru Foret su suolo di classico gesso Kimmeridgiano, con marne ricche di argilla ed affinato in botti di rovere francese per 18 mesi e leggermente filtrato con solo una moderata aggiunta di zolfo, si presenta cromaticamente di un bel colore giallo dorato limpidissimo e brillante su tutta la superficie; al naso traspare immediatamente la marcatura minerale in un bel corollario olfattivo in cui domina l’aroma agrumato di limone maturo ed a seguire melone e frutta tropicale. Lasciato ulteriormente ossigenare nell’ampio balloon emergono profumi di roccia bagnata, di pietra focaia, di salamoia e di vaghe sensazioni fumose, come di lievi tostature.
In bocca è molto sensuale e particolarissimo, sia per la sua carezzevole morbidezza, sia per una certa eleganza con delicate note boisè, in un cointesto in cui l’acidità è davvero elevata ma che ben si equilibra con la mineralità, la freschezza e la piacevolezza di beva. I rimandi fruttati ritornano di prepotenza in una corrispondenza naso/bocca da manuale, oltre a sensazioni gessose e a un corredo sapido che è di tutto rispetto al punto che la sensazione salata non si sente solamente nella parte laterale ed apicale della lingua ma è come se tutta fosse letteralmente inondata di questa deliziosa percezione.
Chiude un finale decisamente lungo con un retrogusto di nocciola.
Uno Chablis per certi versi un po' atipico perchè affina in botte, quando la tradizione vuole l'utilizzo dell'acciaio inox.
Che dire, ancora una volta una scelta azzeccatissima, uno Chardonnay davvero interessante di un domaine giovane ma con le idee ben chiare e chi se ne importa se la scelta è stata subliminale e quindi ben venga se la qualità e lo spessore sono quelle riscontrate in questo stupendo vino.