Nonostante abbia frequentato una scuola tecnica che mi avrebbe aperto le porte ad una carriera bancaria, ho molto apprezzato le materie umanistiche ed in particolar modo lo studio della letteratura e più specificatamente quella legata ai poeti rinascimentali. 

A volte ripenso al mio professore di Italiano, uomo anacronistico nei gloriosi anni ’80, ex D.J. della leggendaria “Radio Lupo Solitario”, emittente radiofonica privata di Samarate (VA), nata nel ’69 e rimasta in auge sino a metà degli anni ’90. Non ricordo che programma conducesse, né tantomeno che tipo di musica mandasse in onda, ma quel che mi è rimasto di lui era la veemenza e la ridondanza nella presentazione dei poeti e degli scrittori che hanno segnato il cammino letterario italiano.

Il periodo che mi porto ancora dentro, malgrado siano passati 40 anni dalla fine degli studi, è quello legato a 2 figure rinascimentali diametralmente opposte, conterranee, ma segnate da destini e fama diversi.

Mi riferisco al sommo poeta Dante Alighieri e al goliardico Cecco Angiolieri.

Siamo alla fine del XIII° secolo, da una parte Dante, fautore del “Dolce stil novo”, della profonda ricerca verso un’espressione raffinata e nobile dei propri pensieri, volti a quell’ideale di poesia ricercata e solenne; dall’altra Cecco con una metrica dissacrante, al limite del volgare e che attraverso un linguaggio più popolare e conviviale, si pose l’obiettivo di parodiare i contenuti dello stilnovismo. 

Se da un lato vi è l’esaltazione, quasi celestiale della donna (Beatrice), dall’altro compare l’evidenza di una donna ripugnante e impudente (Becchina).

Nacque una rivalità, a torto mai approfondita sui libri di scuola e nelle ore di lezione, dove, da sempre si è posto in evidenza Dante e le sue opere, relegando Cecco a un qualsiasi comprimario. 

I due personaggi fecero parte della stessa fazione politica, quella dei Guelfi, arrivando a combattere gli aretini, fianco a fianco, nella battaglia di Campaldino, nella Piana di Poppi, nel 1289. Anche in questo contesto esternarono due temperamenti opposti; Dante, onorato della chiamata alla armi, Cecco, molto meno al punto di essersi sottratto più volte ai doveri obbligatori del tempo, oltre ad aver subito diversi processi per risse e ferimenti. 

Il fatto che si conoscessero e che inizialmente furono amici è comprovato da alcuni sonetti scritti da entrambi nei quali ognuno di loro citava l’altro, ma col tempo questo parziale idillio si trasformò in inimicizia. 

Entrambi, in diverso modo, nei loro scritti fecero riferimento anche al vino….


“…guarda il color del sol che si fa vino,

giunto a l’omor che della vite cola…”

(Dante- Purgatorio, XXV;76-78)


Versi delicati in cui Dante, attraverso la metafora della trasformazione dell’uva in vino, racchiude la nascita del mistero della vita e come l’uomo prenda forma e coscienza attraverso la materia e lo spirito.


“Tre cose solamente m’enno in grado,

le quali posso non ben ben fornire

cioè la donna, la taverna e il dado…”

(Cecco Angiolieri)


Versi materiali, in cui Cecco elenca le cose che gli procuravano diretto godimento; il piacere sessuale, il vino e il gioco d’azzardo. Siamo di sicuro su un livello spirituale ben diverso.

In sintesi 2 poeti agli antipodi. 

Enologicamente parlando, potremmo definire Dante come un Brunello di Montalcino, aristocratico, da centellinare e da servire solo in grandi occasioni; Cecco come un Chianti verace, da tutto pasto e buono per ogni quotidiana circostanza. 

C’è un vino che di certo li avrebbe messi d’accordo e che, probabilmente, avrebbe rinsaldato la vecchia amicizia e mi riferisco allo Syrah annata 2008 di 14,5° vol. dell’azienda vinicola Tua Rita, che ho degustato pensando a queste due figure letterarie.

Siamo nel territorio livornese, in Val di Cornia, in una terra posta tra il mare Tirreno e le colline Metallifere, vocato alla coltivazione dell’uva e dove nel 1984 Rita e Virgilio (nome evocativo) decisero di acquistare quella che sarebbe diventata “Tua Rita”. Inizialmente doveva essere il luogo per vivere a contatto con la natura, ma poi, la voglia irrefrenabile di sviluppare la passione per il vino li ha convinti ad acquistare i primi 2 ettari per poi, nello spazio di una decina d’anni, ampliarli a 9 sino ad arrivare ai giorni nostri agli attuali 60 ettari di vigneto. Un’azienda nata sul modello artigianale del “vin de garage” per dirla alla francese e che nel tempo ha saputo cavalcare il cambiamento, mantenendo però la tradizione ed una produzione che oggi si attesta sulle 220.000 bottiglie, sempre e comunque di alto profilo. 

Dopo la vendemmia, le uve arrivano in cantina in piccole cassette e selezionate su appositi tavoli di cernita, subiscono una pressatura soffice per poi passare in tini troncoconici di legno per la successiva fermentazione. Il periodo di macerazione è di 25/30 giorni con rimontaggi e follature.

Al termine della vinificazione, il vino, per caduta arriva alle barrique e qui, dopo aver svolto la malolattica, affronta un periodo di affinamento in legno di almeno 18 mesi, prima di essere imbottigliato. Pochissimi interventi sul vino e decisamente poco invasivi. 

Il nome dell’azienda si deve ad una semplice inversione fra il nome e il cognome di Rita Tua.

Ma veniamo alle note di degustazione di questo Syrah che nasce da una vigna in regime di agricoltura biologica, su suolo composto prevalentemente da argilla, con abbondante presenza di scheletro e ricco di sostanze minerali che donano al vino una particolare connotazione ferrosa e salina tipicamente territoriale.

Stappato 4 ore prima di essere servito alla temperatura di 18/20°, si presenta cromaticamente di un bel colore che è un mix di rosso rubino concentratissimo e il tonaca di monaco, con riflessi granati sull’unghia.

Il naso è uno di quelli davvero importanti, con ricchissime note di frutti neri maturi, di prugna, di mirtillo e floreali di viola mammola. A seguire un caleidoscopio di terziarietà, ad iniziare da aromi di carne, di pancetta affumicata e speziata di pepe e cuoio, per virare poi su tracce ematiche e nel finale quelle  balsamiche di aghi di pino e liquirizia.

In bocca è un vino letteralmente esplosivo, caratterizzato da una magistrale setosità dei tannini ben integrati, in una morbidezza fuori dal comune e in una piacevolezza di beva davvero impagabile, dove concentrazione e profondità la fanno assolutamente da padrone. L’alcolicità si avverte, ma non dà sensazione di calura; i rimandi olfattivi si ripetono perfettamente in una corrispondenza da manuale, con l’aggiunta sul finale di sensazioni di cioccolato fondente amaro. 

Chiude con una persistenza che ha dell’eterno e con un retrogusto balsamico che gli dona una notevole freschezza. 

Un Syrah notevolissimo, un autentico fuoriclasse che annovero tra i migliori degustati nella mia vita di appassionato. 

Sono più che certo che se Dante e Cecco si fossero incontrati per riappacificarsi e avessero bevuto questo vino, a 4 mani avrebbero composto un sonetto come questo:


I’ vorrei che tu ed io

fossimo presi per incantamento 

ma il nostro disquisir ed il volere

al fin el corpo di sal mi par avere;

adunque, chi sia poria tenere

di non bagnarsi la lingua e ‘l palato?

Orsù per l’amicizia un calice di vin,

un rosso assai corposo e prelibato

suggelli l’amicizia del passato!


(mi scuso umilmente con i due poeti!!)