“ I could have done so many things, baby

If i could only stop my mind

From wonderin’ what i left behind

And from worryng bout this wasted time”


(Wasted Time – Eagles 1976)


La vita è fatta di attimi, di stati d’animo, di ricordi che si rincorrono e di inevitabili riflessioni su dove siamo arrivati e su dove stiamo andando. E’ difficile nella società in cui viviamo, così frenetica e veloce, fermarsi a pensare introspettivamente, ma le avventurose vicissitudini dell’esistenza ci impongono di farlo. A volte sono tentato di pensare che il bello di questa vita è che ti concede la possibilità di cambiare, anche se il percorso non è mai lineare come uno vorrebbe. Quanta fatica nel seguire un sentiero irto di ripide salite e di altrettante vertiginose discese, intervallato da curve più o meno strette e quando ti va bene c’è il sole, ma molto più spesso fango e pioggia e precarie condizioni in cui diventa difficile tirarsi fuori. 

In tutto questo la vita ci dà un grande insegnamento da tenere sempre ben presente: “per andare avanti, bisogna guardare indietro”.

Mi guardo indietro e ho la consapevolezza della strada percorsa, ma anche di tutti quegli ostacoli, le deviazioni e gli imprescindibili cambiamenti che mi hanno fatto giungere sin qui. Nel cammino, ho raccolto tanta di quell’esperienza che ho colmato nel mio zaino virtuale e che all’occorrenza tolgo e me la metto a disposizione per risolvere i contrattempi, aggiustando ed assestando la direzione, restando con la barra a dritta per rientrare in una navigazione di crociera che mi mantiene in una situazione di concretezza e di comprensione del mio essere, veleggiando al di fuori delle acque impetuose.

Sembra lapalissiano e forse lo è, ma non così scontato, ma per cambiare occorre tempo, che non è necessariamente visto come lo scorrere dei cicli della vita, ma che dopo anni e anni ho metabolizzato come un passaggio obbligato in cui ho dovuto sforzarmi di osservare e soprattutto di guardarmi dentro, imparando a cambiare e non è ancora finita….

Quanto riportato all’inizio di questa recensione è parte, a mio avviso, della più bella ballata degli Eagles, malinconica, struggente ed emozionante, con un Don Henley (vocalist) al massimo delle proprie capacità canore (la versione che preferisco è quella live al Los Angeles Forum del 22/10/1976). Le poche righe riportate, quarta traccia dell’album “Hotel California”, recitano più o meno quanto segue:


Avrei dovuto fare così tante cose, piccola

Se potessi solo fermare la mia mente

dal chiedermi cosa mi sono lasciato alle spalle

e dal preoccuparmi di questo tempo perso….


In queste parole mi sono riconosciuto tante e tante volte, crogiolandomi in una nostalgica malinconia, un po’ fine a sè stessa, esasperata sino al limite di avvertire una strana gioia nel sentirmi triste. Ad un certo punto ho abbandonato questo stato d’animo, più produttivo per gli artisti e per l’ispirazione dei loro gesti creativi e ho capito che non esiste il concetto di “tempo perso”. 

C’è voluto tempo e pazienza per comprendere che tutto ciò che ho fatto mi ha portato esattamente a questo momento e anche se apparentemente ho “sprecato” tempo, potendolo utilizzare in modo diverso, tutti quei momenti della vita mi hanno formato e condotto sin qui, perché nulla sarebbe potuto accadere in modo diverso. 

La vita è fatta di infiniti scatti che creano una meravigliosa fotografia. 

Chi sa di non aver sprecato tempo è quel vignaiolo talentuoso che va sotto il nome di Gilles Berlioz, savoiardo, non un figlio d’arte, ma di umili operai e che per molto tempo ha esercitato la professione di paesaggista, quella figura professionale che si occupa di pianificare, svolgere e coordinare tutte le attività riguardanti la progettazione, la manutenzione ed il restauro di ambienti esterni, spazi urbani ed extraurbani, giardini pubblici e privati, siti monumentali e giardini, agendo in un’ottica di qualità.

Il tempo e il cambiamento l’hanno trasformato in un vignaiolo autodidatta e felice, iniziando la sua attività nel 1990 con 0,8 ettari di terreno, nella denominazione Chignin-Bergeron (vitigno Roussanne in purezza), coadiuvato dalla compagna Christine.

Oggi, possiede 4,5 ettari, tutti arati con l’aiuto di un cavallo e convertiti nel 2005 al biologico, poi al biodinamico non certificato.

In cantina effettua pressature molto delicate per estrarre mosti limpidi, trasferendoli unicamente per gravità; fermentazioni in vetroresina condotte con lieviti indigeni ed aggiunta di solforosa in modo molto ridotto ed affinamenti che prevedono l’uso di acciaio e particolari contenitori a forma di uova in vetroresina (non a caso, andando oltre la tradizione pasquale, l’uovo rappresenta la rinascita, l’incessante rinnovamento, il cambiamento positivo scandito dalle novità della vita).

Gilles, con il suo Domaine Partagè è diventato in pochi anni un punto di riferimento, issandosi ai vertici della viticoltura della Savoia, mediante la produzione di vini autentici e allo stesso tempo espressivi, energici e di riflesso identitari del terroir. 

Esempio fulgido è il suo Chignin-Bergeron annata 2021 di 12,0°vol. denominato in etichetta “Les Fripons” tradotto dal francese “le canaglie” e non a caso, visto che il tempo è la peggiore delle canaglie, ma proprio per questo ci insegna che, se non viviamo pienamente, saremo destinati a perderlo.

Aperto un’oretta prima di essere degustato, tappo sanissimo e compatto di ben 5,4 cm, si presenta cromaticamente di una bella tonalità dorata con riflessi di ambra chiara sull’unghia. 

A livello olfattivo, come primo impatto avverto chiare sensazioni di pietra focaia e di fiammifero appena spento; a seguire un ventaglio caleidoscopico di aromi fruttati di arancia di susina e di albicocca, floreali di magnolia e a chiudere una leggiadra sensazione mielata e note balsamiche di aghi di pino.

In bocca e sorprendentemente fresco, decisamente verticale ma allo stesso tempo dotato di una spiccata mineralità, dove i rimandi fruttati olfattivi si ripropongono in fotocopia a livello gustativo. Beva, scorrevole, intrigante e che invoglia sorso dopo sorso a versarne ancora un altro po’ nell’ampio bicchiere da degustazione. Chiude su di una persistenza gustativa di buon livello e con un retrogusto speziato e leggermente amaricante. 

Questo vino che può essere definito come il connubio perfetto tra il calore dei vitigni del sud della Francia e la freschezza dell’altitudine della Savoia è un vino senza tempo e mentre in sottofondo ascolto le ultime note di “Wasted Time “ degli Eagles, non posso fare a meno di assaporarlo lentamente pensando a tutta la strada che ho faticosamente percorso sin qui e che ora mi fa sentire felice.