Coltivo la passione per il mondo magico del vino da 25 anni e quando sei immerso in questo meraviglioso universo, al punto di dedicarci tempo ogni singolo giorno, arrivi ad esserne innamorato non unicamente dell’atto finale insito nella degustazione, ma di tutto quello che lo precede, miti e leggende comprese.
Ricordo che nel 2008, nel mio viaggio nelle terre friulane, mi sono imbattuto nel racconto di una leggenda popolare che l’avvenente moglie di un vignaiolo, col quale avevo programmato una visita, mi narrò, forse per soggiogarmi, inducendomi ad acquistare il suo vino.
Per verità, era davvero buono e l’avrei acquistato comunque, ma sta di fatto che in qualche modo quella storia contribuì ad invogliarmi a fare incetta di quel nettare davvero prelibato.
Le donne, a volte, sanno essere davvero diaboliche……
In un tempo e in un luogo imprecisato, un principe si era innamorato della figlia di un contadino nel momento esatto in cui gli portò un vino superlativo.
Il nobile era già sposato nel più classico dei matrimoni combinati; una sera, al tramonto si incontrarono e dopo aver assaporato insieme quel vino che li attraeva uno verso l’altra, si abbandonarono in una lunga notte di passione.
La moglie, venutolo a sapere, chiese aiuto ad uno stregone di corte, il quale pose su di loro un maleficio eterno.
Trasformò il principe in un cane e tolse a lei la parola, in modo che non potesse più chiamarlo né parlargli.
In un antesignano “Lady Hawke” (film del 1985 con una bellissima Michelle Pfeiffer e Rutguer Haguer) il sortilegio prevedeva che a mezzanotte lui avrebbe riacquistato le sembianze principesche, mentre lei si sarebbe trasformata in vino e tutto questo per un breve lasso di tempo.
Tutti i giorni il principe trasformato in cane seguiva la sua amata, mentre lei lo riempiva di carezze e di quell’affetto che solo un Amore incondizionato riesce a valicare qualsiasi ostacolo ed ogni notte il principe degustava quel vino, amandolo profondamente e portandoselo dentro come il più struggente ed appassionato degli amori.
Un Amore capace di resistere agli incantesimi e di durare per l’eternità.
Quando il principe morì, la sua amata lo seppellì vicino alla vigna che produceva quel vino che li fece incontrare.
La leggenda narra che ancora oggi le donne innamorate, che vivono nei pressi di quella vigna, si sveglino di soprassalto nella notte senza sapere il motivo, ma con un dolcissimo sorriso sulle labbra.
Io non conosco l’ubicazione e mi piacerebbe tanto scoprirlo, ma dopo aver degustato il Bianco Riserva VRH annata 2009 di 14,5° vol. dell’Azienda Vinicola “La Castellada” voglio pensare che provenga da quella vigna, perché io me ne sono perdutamente innamorato!!
Siamo ad Oslavia, un quartiere della città di Gorizia posto al di là del fiume Isonzo, a circa due chilometri dal centro sulle propaggini orientali del Collio, sulla strada per San Floriano.
L’azienda nasce nel primo dopoguerra, quando Giuseppe Bensa ritornato dalla Svizzera, dove lavorava come carpentiere, decise di acquistare alcuni appezzamenti di terreno con annesso un casale, che avrebbe adibito ad osteria, dove vendere alla mescita i vini che produceva.
Nel 1985 i figli Giorgio e Nicolò iniziarono ad imbottigliare il vino che vendevano sfuso e diedero vita a quella che oggi è La Castellada con ben 10 ettari vitati di cui la metà con viti di 45/55 anni e la restante di 25 anni.
Viticoltura e lavorazioni in cantina con il minimo interventismo, fermentazioni con lieviti indigeni, macerazioni in tini troncoconici ed affinamenti per 24 mesi in legno, in vecchie botti grandi, barriques e tonneaux.
Bassissima solfitazione, travasi solo se necessari, un ulteriore anno in bottiglia senza nessuna filtrazione, prima di essere messo sul mercato.
Il Bianco Riserva VRH è un blend di Chardonnay e Sauvignon che nasce da vigne magiche a 180 metri s.l.m. esclusivamente di marna di origine Eocenica ( seconda epoca geologica del periodo Paleocene e va dai 55,8 ai 0,2 milioni di anni fa), dove i grappoli vengono diraspati e il pigiato è messo a fermentare in tini aperti di rovere di Slavonia per 2 mesi, svolgendo in un secondo tempo anche la malolattica a contatto con le bucce. 36 mesi di affinamento in botte grande, 12 mesi in vasca d’acciaio inox e bottiglia.
Ma veniamo alla degustazione.
Questo superbo macerato, si presenta cromaticamente di un bellissimo colore ambra scura, con una netta concentrazione al centro del bicchiere e lievi note più chiare sull’unghia.
Al naso è un’esplosione di un variegato corredo aromatico che spazia dalla confettura di frutta rossa, a quella agrumata candita e a quella secca.
Un intervallo malizioso di una dissolvente vena di miele selvatico, fa da anteprima a note tostate mixate a quelle balsamiche di pino mugo.
In bocca entra con un’ampiezza impressionante e con una ricchezza gustativa fuori dal comune; è potente e sensuale allo stesso tempo ed è dotato di una struttura notevole oltre che di una sferzata salina lunghissima, in una fresca beva, dove l’elevato tenore alcoolico nell’immediato non si percepisce e con un finale decisamente persistente ed altamente aromatico.
Non c’è dubbio che questo sia un rosso con le sembianze di un bianco e che andrebbe degustato almeno una volta nella vita al pari di un grande Amore.
Sorso meditativo e particolarissimo che rimane impresso lungamente nella memoria.
Mi sono chiesto più e più volte perché questo vino si chiami VRH…forse avrei dovuto chiederlo direttamente al produttore, ma mi piacerebbe che fosse l’acronimo latino di Vinum Relatio Homines , il Vino mette in relazione le persone, che poi sia amicizia o Amore la scelta la lascio a chi ha sempre la costanza di leggermi. Io intanto mi verso un altro bicchiere di questo eccelso vino e penso alla mia amata e alla fortuna di non essere vittima di alcun sortilegio.
Prosit.