Se la Francia è famosa per i suoi grandi vini, il merito è da ascrivere all’imperatore romano Marco Aurelio Probo che, tra il 276 ed il 282 d.C., pose le basi di quelle che sono le mappe geografiche dell’odierna viticoltura, trasformando molti legionari in vignaioli, con il compito di impiantare viti nei territori conquistati.
Non fa eccezione la Borgogna, né tantomeno il Comune di Meursault, che trae origine, in barba ai Galli, al nome latino Muris Saltus, tradotto “salto del topo”, forse perché nel mio immaginario, posso pensare che il classico topolino di campagna, assaporando un acino di Chardonnay, sia letteralmente sobbalzato dalla gioia!
Fantasie a parte, il territorio di Meursault, inserito nella Cote de Beaune, può essere identificato come la porta della “Cote des Blancs”, facendo da apripista con vigneti che danno origine a vini bianchi tra i più rinomati al mondo.
Qui, sotto i riflettori c’è il vitigno Chardonnay, nella sua massima espressione planetaria, ma la mancanza di un vigneto di riferimento, impedisce da sempre l’individuazione di un Grand Cru, penalizzandone la reputazione a favore di quelli di Puligny e Chassagne, che hanno la fortuna di condividerne di pregiati, uno su tutti il mitico Montrachet.
Poco male, per gli appassionati come me, reperire una bottiglia di Meursault sul mercato, può spuntare prezzi un po’ più umani e questo è sicuramente un vantaggio, anche se negli ultimi anni, il gap con i vicini si sta gradualmente riducendo.
Provenienti da Beaune, percorrendo la d111, una volta lasciato alle spalle l’abitato di Volnay con gli ultimi vigneti (il Clos de Chene ed il Cailleret), si entra nel territorio di Meursault, dove appare la zona dei Santenots, anche se i bianchi più rinomati sono tutti concentrati oltre la zona abitata, in direzione Puligny Montrachet, dove spicca, tra gli altri, il suo vigneto migliore, il Pèrrieres.
Il tempo, mi ha trasformato in un bianchista convinto e per questo, sono sempre alla ricerca di vini che sappiano emozionarmi e che riescano a darmi sensazioni uniche, soprattutto quelle derivanti dalla terziarietà, espressa nel periodo di invecchiamento.
La riprova, l’ho avuta degustando il Meursault 2006 del Domaine Pierre Matrot, azienda storica, proprietaria di 20 ha gestiti in regime biologico da oltre 10 anni; i 2/3 della produzione è incentrata sui vini bianchi, equamente divisi tra i territori di Meursault e Puligny. Penso che nel prossimo viaggio in Borgogna, sia il caso di fargli visita.
Questo Meursault, frutto dell’assemblaggio di 13 differenti parcelle vitate, si presenta nel bicchiere con un bel colore oro, intenso e limpido; al naso iniziali sensazioni burrose ed a seguire crema di limone, pesca bianca e miele millefiori. Al palato è morbido, avvolgente, rotondo e dotato di una fine mineralità. Pompelmo amaro ed accenni di limone, giocano su contrasti con dolci sensazioni di miele e sul finale un retrogusto di nocciola, tipica del vitigno. Bella acidità ed un tocco di sapidità che non guasta. Salivante e a tratti opulento, un vino che è come il canto delle sirene che ti ammalia e ti induce alla continua beva. Piacevolmente carezzevole, scorre al palato come un fluido medicamentoso. Decisamente buona la persistenza gustativa. In sintesi, 11 anni ben portati.
Degustando questo nettare, sono stato catapultato direttamente nella Cote d’Or, facendomi rapire dalla suggestione di trovarmi davanti a un vigneto di Meursault, assiso su un muretto (clos), bicchiere in mano, assaporando un momento intimamente privato, circondato da un paesaggio meraviglioso, con lo scorrere lento del tempo ed intriso di una gioia paradisiaca.
Un istante in cui è difficile pensare, come rapito da una leggerezza d’animo e da un’eterna giovinezza, alimentata da un liquido alchemico che si fa pietra filosofale, capace magicamente di risanare la corruzione della materia.
Anche io, come il topolino, ho spiccato un salto!!!