In molteplici recensioni postate su questo blog, è emersa la mia anima Hard-Rock coltivata da lungo tempo.
Ho avuto la fortuna, sin da giovane, di essere ben instradato da mio fratello maggiore Flavio, che mi ha cresciuto a pane, Led Zeppelin e Deep Purple, evitandomi di poter finire in una deriva musicale di spazzatura commerciale.
Lui ha proseguito immergendosi in altre correnti musicali, dal Metal, al Punk, alla New-Age, al Dark, per ritornare all’Hard-Rock ed oggi si interessa al Metal scandinavo. Io, parafrasando blasfemamente il libro di Carlo Levi, mi sono fermato, non ad Eboli, ma agli anni ’70.
Mi rendo assolutamente conto di essere talebano sotto questo aspetto, ma personalmente, la musica, quella che conta, si è fermata in quel periodo e tutto quello che è seguito ha per me una rilevanza di poco conto e di insignificante appeal.
Da cultore della chitarra elettrica, posso affermare di essere un fan di svariati artisti eclettici ed iconici, come Jimi Page dei Led Zeppelin, Ritchie Blackmore dei Deep Purple ed in seguito dei Rainbow, Keith Richards dei Rolling Stones, Brian May dei Queen, Joe Perry degli Aerosmith, Angus Young degli ACDC e di tanti altri….
Quello che però, è indissolubilmente e imprescindibilmente in cima alla mia lista e a quella all time stilata da autorevoli riviste del settore è l’inarrivabile Jimi Hendrix, all’anagrafe James Marshall Hendrix, classe 1942, riduttivamente definito chitarrista che, in soli quattro anni di carriera ad altissimi livelli, ha dato vita a tre dischi mitici e inanellato performance dal vivo che hanno cambiato per sempre il modo di suonare la chitarra elettrica, creando quello che potremmo definire il vero, unico ed originale prototipo del chitarrista rock.
Nonostante sia stato spesso offuscato dal clichè attribuitogli di artista dalla stereotipata vita sregolata e dannata, tipica dei rockers, infarcita di sesso, droga, denaro e molto altro, è indubbio che il suo valore musicale non sia mai stato messo in discussione e che, per antonomasia, sia stato definito come uno dei geni musicali del ventesimo secolo.
Anche sulla sua morte avvenuta il 18 settembre 1970 sono sempre state scritte e dette un sacco di fakes, imputandola ad un overdose, mentre nella realtà Jimi Hendrix è morto accidentalmente a causa dell'assunzione di un eccessivo numero di tranquillanti, che gli causarono un conato di vomito che lo soffocò.
Da quando prese in mano per la prima volta una chitarra elettrica all’età di 12 anni, diventò il suo strumento inseparabile, al punto da rivoluzionarne l’approccio, creando uno stile unico con la sua leggendaria Fender Stratocaster, lui, che era un autodidatta senza aver mai preso una lezione.
Chi era Jimi Hendrix?
Andate ad ascoltare e a vedervi Hey Joe nel live di Woddstock del 18 agosto 1969, oppure Purple Haze, sempre nello stesso concerto, dove la sua performance terminò con la straordinaria e psichedelica versione per chitarra solista dell’inno americano, in segno di protesta contro la guerra del Vietnam, o meglio ancora l’esibizione del ’66 al Cafè Wah di New York con annessa chitarra data alle fiamme.
Purtroppo sono nato solo 4 anni prima della sua morte, ma mi sarebbe piaciuto poter assistere ad un suo concerto; pazienza, mi consolo ascoltandone la musica.
Chi ha l’anima rock di Jimi Hendrix è senza dubbio il vignaiolo Alfonso Rinaldi, classe 1943 (la stessa di Mick Jagger, Keith Richards, Janis Joplin e Jim Morrison), T-Shirt Metal, camicia jeans smunta, capelli lunghi anni ’70, viso scarno quanto basta e quando si presenta dice sempre le testuali parole:
“Ciao, sono Alfonso Rinaldi e sono un fan degli ACDC e dell’Erbaluce” e solo per questo ha tutta la mia ammirazione.
Un unico vigneto posseduto e piantato nel 1983, una sorta di piccolo cru monopole, per dirla alla francese, 100% Erbaluce, che sorge su di una collina completamente di argilla, dove non occorrono trattamenti chimici ma ogni 2 anni solo interventi col letame.
Vendemmia canonica tra il 15 e il 20 settembre, vinificazione in tini di acciaio con gruppo frigorifero, 5.000 bottiglie che di norma escono il mese di marzo dell’anno successivo.
Un Erbaluce che non può essere riportato in etichetta in quanto resta unica prerogativa del Comune di Caluso con la sua Docg e pertanto viene classificato come Colline Novaresi Doc.
Siamo a Suno, nell’Alto Piemonte terra leggendaria ed altamente vocata a vini di spessore. A mio modo di vedere, Rinaldi è l’esatto prototipo del vignaiolo “TripleA”, agricoltore, artigiano, artista; un uomo che si impegna quotidianamente in gesti agricoli positivi per restituire, attraverso il calice, l’espressione originaria ed originale di un luogo, e la collina dove nasce il suo Costa di Sera dei Tabacchei, degustato nell’annata 2021 di 13,0° vol. è davvero esclusiva ed originale.
Il vino si chiama Costa di Sera perché la collina dà a sera e Tabacchei è il nome della cascina dove sorge il vigneto.
Un unico vino, creato come il miglior assolo di Jimi Hendrix, che non dà punti di riferimento ma, che nell’insieme si incastra in modo armonioso ed il risultato è semplicemente sorprendente, ma degustiamolo per cercare di cogliere tutte le sfumature, magari con in sottofondo “Woodo Child” versione live in Maui 1970.
Versato nel bicchiere da degustazione si presenta cromaticamente di un bel colore giallo paglierino tendente al dorato, limpidissimo su tutta la superficie; al naso va saputo attendere per non farsi ingannare dalla sua immediata schiettezza, ma lasciato ossigenare si trasforma in un insieme caleidoscopico di sensazioni, a partire da quelle agrumate e leggermente citrine per virare su quelle fruttate di susina, di pesca nettarina e di mandorla leggermente tostata, per chiudere su quelle floreali di glicine e biancospino.
In bocca è decisamente verticale e con una beva scorrevolissima ed è dotato di una notevole freschezza su di una solidissima base salina e iodata che mi ha ricordato la stessa del Les Sardines del Domaine Denogent.
Un vino che non resta nel bicchiere ma si dissolve in brevissimo tempo.
Questo Erbaluce mi piace definirlo “complicatamente semplice”, perché è un po’ come guardare dentro alle cose e saper vedere oltre e Rinaldi nella sua realizzazione è come se avesse fatto emergere quell’aspetto di innocenza che l’ha spogliato di tutto il superfluo, raggiungendo la forma di essenza più difficile, quella semplicità, quasi disarmante ma così difficile da raggiungere ed emulare.
Questo vino mi ha emozionato e posso affermare di essere al cospetto di un grande bianco piemontese e forse uno dei migliori bianchi degustati in questo 2024.
Jimi Hendrix era mancino e molti lo additarono, per il suo modo rivoluzionario di suonare la chitarra elettrica, come “la mano sinistra del diavolo”; avendo paragonato il vino di Rinaldi al miglior assolo di Hendrix, apparentemente l’ho definito diabolico, ma ci si dimentica che Lucifero prima di essere il demone è stato il più bello degli angeli.
Ecco il Costa di Sera dei Tabacchei è un vino celestiale che riesce a proiettarti in una dimensione bucolica, appagante e rivoluzionaria al pari delle melodie del genio musicale di Seattle.