Sono certo che ognuno di noi non faccia fatica ad identificare il proprio attore preferito; nel mio caso, non ho dubbi nel scegliere Robert Redford, che annovero tra i più grandi attori di sempre e che, per il suo stile di recitazione e per i personaggi interpretati nella sua lunghissima carriera, è quello che più è riuscito a coinvolgermi nei suoi lungometraggi.

Sono anche sicuro che, se qualcuno ci ponesse una domanda relativamente all’attore non protagonista che preferiamo, la scelta non sarebbe poi così semplice e scontata.

Dovremmo mentalmente risalire ai nostri film cult, ricercare l’attore non protagonista, rivederne la performance e capire poi se la nostra scelta sia effettivamente coerente. Anche in questo caso, sono certo nell’identificarlo nella figura di John Cazale. 

Immagino lo stupore, la perplessità e la vostra necessità di accedere a Google per dare un volto e un senso alla mia preferenza.

La breve vita artistica di John Cazale, culminata purtroppo con la sua prematura scomparsa a 43 anni, nel 1978, per un cancro ai polmoni, vanta un record difficilmente eguagliabile. I 5 film in cui ha recitato sono stati tutti canditati all’Oscar e mi riferisco a:

Il Padrino (1972)- Il Padrino II (1974)- La Conversazione (1974)  diretti da  Francis Ford Coppola, Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975) di Sidney Lumet e Il Cacciatore (1978) di Michael Cimino.

In un’intervista su Cazale, Al Pacino disse di aver imparato tutto da lui, che era la sua spalla ideale e che se avesse potuto l’avrebbe voluto con sé in tutti i suoi film.

John aveva la capacità di disorientarti, riuscendo a non farti capire quando iniziasse e quando finisse la recitazione, con quel suo viso lungo, un po’ spigoloso, ma soprattutto malinconico e trasognante. 

L’ho apprezzato tantissimo a fianco di Al Pacino, nel film Quel pomeriggio di un giorno da cani, nelle vesti di un improbabile rapinatore di banche e dall’inevitabile destino segnato sin dalla prima inquadratura; ma a mio modo di vedere, il suo apice l’ha raggiunto con Il Cacciatore, a fianco di Robert De Niro e di Meryl Streep, all’epoca sua fidanzata.

Senza nulla togliere all’Oscar assegnato a Christopher Walken, come miglior attore non protagonista, nel film di Michael Cimino, Cazale interpreta in maniera superlativa la parte del disadattato, dell’anti-eroe  che resta a casa dal  Vietnam, di quello che viaggia sempre con una pistola in tasca, ma non sa neppure come la si usi realmente, incarnando il frantumarsi del sogno americano, che si sgretolava nelle lande inospitali del sud-est asiatico. 

Mai protagonista, mai sotto i riflettori, con un potente ossimoro nel suo ineguagliabile silenzio assordante.

Fossi stato il responsabile di un casting, mi sarei preoccupato di ingaggiare subito Cazale, prima di concentrarmi sui provini per decretare l’attore protagonista.

Le sue interpretazioni, che all’occhio superficiale parrebbero scontate, sono profondamente talentuose e caricaturizzanti al punto da rasentare una perfezione maniacale che ha sempre mascherato con una tale semplicità e con il suo carattere schivo e modesto allo stesso tempo.

Cazale è come un vino che non deve mai mancare in cantina, nelle serate di degustazione, nella carta dei vini di un ristorante, sugli scaffali di un’enoteca e se penso a un produttore che incarna questo assioma non ho dubbi nel riconoscerlo in Gèrard Boulay e nei suoi meravigliosi Sancerre.

Mi sono innamorato enologicamente di Boulay nel mio secondo viaggio in Loira, durante la visita al suo Domaine. 

Siamo a Chavignol, villaggio sito nella Loira occidentale, noto anche per la produzione dei migliori formaggi di capra di tutta la Francia e dove il vitigno Sauvignon Blanc, nell’appellation Sancerre trova la sua massima espressione.

11 ettari di vigneti con ripide pendenze e con un terroir magico, capace di produrre con costante qualità stupendi sauvignon anno dopo anno. Tutte le vigne sono lavorate a mano, le più giovani piantate nel 1972 e con un’età media di oltre 50 anni.

Viticoltura biologica, nessun lievito aggiunto in fase fermentativa e poca o nessuna solforosa aggiunta nella vinificazione.

Il ruolo di Boulay è di autentico sorvegliante della vigna, lavorando quasi di istinto per assicurarsi il minimo interventismo nel processo naturale di nascita dei suoi vini.

Persona discreta, di poche parole, ma ben dette, quasi ai margini durante la visita, lasciando il ruolo di protagonista al suo vino, ma recitando quella parte indispensabile nella veste di colui che risulta imprescindibile per un successo enologico.

Ma veniamo alla degustazione del suo Sancerre Clos de Beaujeu annata 2015 di 13,5° vol., versato nell’ampio balloon da degustazione,  visivamente si svela con un bel colore giallo paglierino carico, tendente all’oro chiaro, limpido su tutta la superficie.

Al naso emerge, con immediatezza, una intensa scia di pietra focaia e di vaghi sentori idrocarburici. Atteso e lasciato ulteriormente ossigenare, si avvertono sensazioni agrumate molto citrine, unite a pompelmo e pera ed a seguire erbe della macchia mediterranea e fieno appena tagliato.

Chiude olfattivamente con una ventata di freschezza che solletica le narici con una certa balsamicità.

In bocca è un Sancerre strepitoso, che entra con una delicatezza estrema, ma che impatta in una suadente avvolgenza dell’intera cavità palatale, arricchita da un accenno di grassezza e cremosità e sostenuta da un’acidità elegantissima e da un retrogusto salmastro di tutto rispetto.

Corrispondenza naso/bocca perfetta e persistenza gustativa lunghissima, con una piacevolezza di beva davvero invidiabile. 

Un vino davvero notevole, che meriterebbe un Oscar, come quello mai assegnato a John Cazale, nonostante sia sempre stato, in tutto quanto interpretato, un grandissimo ed assoluto protagonista, al pari delle meraviglie enologiche del vigneron Boulay.