Il primo amore non si scorda mai!!
Sportivamente parlando, i primi calci ad un pallone nell’oratorio del mio paese, hanno segnato gli inizi di un’attività su un piano agonistico di un esercizio individuale e collettivo, in cui mettere a dura prova le mie capacità psicofisiche.
Le velleità pedatorie hanno avuto vita breve a causa di una calcificazione ossea al ginocchio destro che mi ha orientato, quasi subito, a percorrere una direzione ben diversa, concentrandomi sulla corsa che pratico ancora oggi. Da buon calciofilo italico, il pallone mi è rimasto nel sangue.
Tifoso dalla nascita di una delle due squadre di Milano, sponda rossonera, ho vissuto epopee eroiche e romantiche di un calcio che, nel tempo, ha abbandonato i sentimenti alla ragion di Stato, o meglio, al vil denaro reo di aver creato un business ormai fuori controllo.
Ho avuto però la fortuna di vivere situazioni edificanti e di poter ammirare quelle che da sempre vengono definite bandiere, oramai in via di estinzione, ovvero giocatori che hanno vestito un’unica casacca e che, nell’immaginario collettivo sono stati elevati ad una sorta di eroi, a semidei, che neanche il tempo riuscirà a scalfirne l’imperitura memoria.
Forse, la storia più bella, l’hanno scritta i fratelli Baresi.
Franco (il mio Capitano), rossonero emblema milanista e Giuseppe (detto Beppe), nerazzurro, fulgido esempio interista.
Milan ed Inter, il Diavolo e l’acqua Santa, l’eterno dualismo meneghino che ancora oggi anima i cuori e gli sfottò dei tifosi della metropoli lombarda e non solo. Il primo, estremo difensore, quello che un tempo era chiamato “libero”, baluardo inespugnabile del leggendario Milan sacchiano, il nostro “Kaiser Frantz”, attore protagonista di mille battaglie sul terreno verde; il secondo, mediano dai polmoni d’acciaio, sempre ad interdire il gioco avversario, un mastino mai domo.
Due fratelli uniti nella vita e divisi da una maglia molto più pesante rispetto a quella indossata dagli altri giocatori.
Nati entrambi a Travagliato, un paesino nel bresciano, dal nome evocativo che ha segnato le vite dei due fratelli in una sorta di “travaglio” giovanile di un’indicibile sofferenza per la prematura perdita dei genitori, che li ha costretti a crescere più in fretta dei loro coetanei e che ha segnato il carattere di questi due campioni, schivi ed allergici ai riflettori, ma sempre molto concreti.
Se penso ai fratelli Baresi e a quanto hanno dato al calcio, non solo in termini di risultati e del personale palmares, ma soprattutto come immagine di professionalità, di attaccamento alla maglia, di sacrifico, di abnegazione e lealtà sportiva, non posso non identificarli enologicamente ai fratelli Bret.
Proprietari della tenuta “La Soufrandière” a Vinzelles, nella rinomata zona del Maconnais, a sud della Cote Chalonnaise, nell’enclave borgognone, che si estende per 4,55 ettari nella denominazione “Pouilly-Vinzelles” con i rinomati climats “Les Quarts” e “Les Longeays”, ai quali, nel 2005 si sono aggiunti 1,6 ettari di Macon-Vinzelles col “Clos du Grand Père”.
Azienda certificata Biologica e Biodinamica gestita da Jean Philippe e Jean Guillaume, dal 2001 operano con il marchio Bret Brothers.
Dopo numerose esperienze in giro per il mondo, i due fratelli coronano il sogno di una vita rilevando l’azienda famigliare nel 1998, tagliando il cordone ombelicale con la Cantina Cooperativa Vinzelles e nel 2000 producono la loro prima annata imbottigliandone il contenuto.
Grandi vignerons con un approccio ad una viticoltura sana, rispettosa della vita del suolo e dell’ambiente col fine di produrre ottimi Chardonnay che non abbiano nulla da invidiare ai più blasonati della Cote d’Or.
Un lavoro certosino e allo stesso tempo ambizioso di due autentici artigiani che hanno saputo superare momenti difficili al pari dei fratelli Baresi, come l’inaspettata perdita del fratello minore Marc-Antoine al loro fianco dal 2010 al 2014. Rialzarsi e ripartire con ancora più attenzione, entusiasmo e meticolosità nella conduzione del Domaine non è stato facile, ma il fatto che oggi i loro vini siano apprezzati e subito esauriti non appena escono sul mercato, la dice lunga sulla garanzia di questi talentuosi ed eroici produttori.
Lo dimostra il loro Pouilly- Vinzelles Climat Les Quarts annata 2015 di 13,5 ° vol., acquistato in loco in una visita davvero autentica e da ricordare nel mio bagaglio di esperienze enologiche.
Prodotto in una collina con una magica esposizione e con viti di età compresa tra i 40 e i 70 anni e su un terreno argilloso-calcareo ricco di cristalli silici, questo vino invecchia in botti da 228 litri per 11 mesi.
Uno splendido Chardonnay che si presenta cromaticamente di un bel colore giallo intenso e tendente all’oro antico, limpido su tutta la superficie;
roteato nel bicchiere tipo burgundy, prima di essere avvicinato al naso, sprigiona sensazioni nette di pietra focaia e di accenni idrocarburici ed a seguire immediate note citrine di crema di limone, ananas maturo e mela annurca. Sul finale una scia mielosa ed erbe aromatiche appena tagliate.
In bocca è suadentemente morbido, con note gessose in evidenza e con un corredo gustativo che riprende sapientemente quello olfattivo, in un quadro minerale/sapido davvero ricco e a tratti anche rinfrescante. Un vino decisamente verticale che ha tenuto bene il tempo e che forse ha raggiunto proprio ora il suo apogeo, in una beva davvero appagante ma allo stesso tempo degna di nota. Chiude su di una persistenza lunga e con un accenno amaricante molto particolare e piacevole.
I legami di sangue, a volte producono esempi sportivi, altre ancora eccellenze enologiche in un binomio inscindibile che neanche le avversità della vita possono scalfire. Baresi e Bret non hanno in comune solo la lettera iniziale del nome, ma quei geni che solo pochi fratelli sanno sviluppare al massimo, per essere da esempio agli altri, affinchè possano cercare in qualche modo di emularli in quanto di buono hanno saputo realizzare nelle loro esistenze e nei differenti campi lavorativi.
(Un consiglio: se siete nei paraggi di Vinzelles, andate a fare una visita!!)