Nelle religioni, in special modo quella cristiana, il vino viene spesso menzionato e il più delle volte sotto forma di metafora. Basti pensare che nel Testo Sacro per eccellenza, la Bibbia, la parola vino viene citata 278 volte, mentre la parola vite ricorre 141 volte.
Allo stesso tempo, nel corso dei secoli, ha sviluppato storie ed aneddoti al punto da esacerbare un dualismo che va dal “dono divino” all’esatto contrario, ossia “bevanda diabolica”.
Ma non solo. Molto spesso il vino ha scomodato anche i Santi…..
Ecco alcuni esempi.
San Barnaba, storicamente considerato come il primo Vescovo di Milano e definito “apostolo”, anche se non compare fra i dodici, prima di convertirsi lavorava una vigna di sua proprietà, che vendette e portò il ricavato agli inviati dal Signore. Per i suoi trascorsi, ancora oggi, i vignaioli lo invocano contro la grandine.
San Vincenzo Ferrer, predicatore instancabile, venne mandato da Dio nel sud-est della Francia per redarguire e rimettere sulla buona strada le popolazioni locali, ma egli stesso trasgredì al comando Divino abbandonandosi alle abbondanti libagioni dell’ottimo vino e per punizione venne trasformato in statua. Ancora oggi, in quei luoghi viene invocato per la protezione dei campi, delle vigne e dei vignaioli.
San Martino di Tours, nato nell’Impero Romano nel 316, contraddistinse la sua vita per le grandi opere di carità e non per riferimenti specifici al vino, ma tra le tradizioni della cultura contadina, la sua festa, che si celebra l’11 novembre è una delle più importanti al punto che è da sempre accompagnata da un proverbio: “ A San Martino ogni mosto diventa vino”.
C’è però chi si è votato a San Martino ponendo le basi di un’azienda vinicola e di una viticoltura di eccellenza.
Siamo a Cairanne, ai margini del Rodano del sud, inserito nel dipartimento della Vauclase, piccolo villaggio altamente enologico che ho visitato nel lontano 2009 e che ho subito identificato come una piccola gemma, incastonata a poco più di 15 km a nord-ovest di Orange. All’epoca avevo visitato un piccolo produttore davvero eclittico e geniale, tal Marcel Richaud che produce un superbo rosso dal nome “Ebrescade”, figlio di un blend di Mourvèdre, Syrah e Grenache. Se siete da quelle parti andate a trovarlo e vi divertirete, oltre ad imparare davvero molto.
Tralasciando questo ricordo, voglio far riferimento alla famiglia Alary che si stabilì nel 1692 proprio a Cairanne, come testimoniano gli archivi comunali. Viticoltori di questa terra di padre in figlio, 10 generazioni si sono succedute tramandando l'azienda, che nel tempo si è ampliata. Ogni generazione ha ereditato lo stesso amore per la vite e il vino, la stessa preoccupazione per la buona coltivazione e la perfetta vinificazione.
Fino al 1900 la famiglia Alary praticava l’agricoltura mista. L'allevamento di pecore, il baco da seta e la coltivazione della robbia (usata dai tintori).
Frédéric Alary, a ridosso degli anni ’50 del secolo scorso, decise di dedicarsi esclusivamente all'azienda vinicola di famiglia. Molto impegnato, questo intellettuale contadino, altrimenti definito dai cairanesi uno storico-enologo, decise contro le tradizioni dell'epoca di vinificare i suoi vini per appezzamento. Identificò subito che tra i suoi vigneti, quello sito sulle colline del villaggio Saint-Martin era di gran lunga quello con il miglior terroir. Nel 1953 furono messi all'asta alcuni terreni in quella località e Frèdèric, con coraggio e un pizzico di incoscienza, decise di vendere tutte le sue vigne per avere abbastanza risparmi per vincere l'asta. Scommessa rischiosa al punto di affidarsi al cielo e pregò il buon San Martino di aiutarlo. Promise che se gli fossero state assegnate le vigne, avrebbe costruito un oratorio in suo onore. La storia e la Provvidenza gli diedero ragione. Fu costruito l’oratorio e l’azienda prese il nome di Domaine de l’Oratoire Saint-Martin.
Nel 1984, i suoi nipoti Frédéric e François Alary rilevarono l'attività ed investirono anima e corpo per gestire al meglio il terroir. Brillanti artigiani, sono stati eletti migliori vignaioli dell'anno nel 1995. Pionieri della viticoltura biologica negli anni '90 e poi della biodinamica nel 2008, hanno portato ai vertici la loro azienda vinicola. Nel 2020, dopo che i rispettivi figli decisero di non succedere nell’attività, Frédéric e François Alary scelsero di passare il testimone alla famiglia Abeille-Fabre, proprietaria dello Château Mont-Redon a Châteauneuf-du-Pape, impegnata oggi a perpetuare la filosofia del campo e del lavoro intrapreso dalle 10 generazioni precedenti.
Per comprendere la filosofia della famiglia Alary basta appellarsi a quanto si sono tramandati grazie alla leggenda conosciuta come la Capra d'Oro, fedele alla tradizione contadina.
Alla fine della sua vita, un nonno annuncia ai suoi figli che un tesoro (uno scudo, dei gioielli o una Capra d'Oro) è nascosto nel terreno intorno alla sua casa e che dovranno cercare e scavare per trovarlo. Un anno di lavoro e di aratura portò alla luce un terreno così bello che i bambini vi piantarono delle viti. Il tesoro del nonno era questo terroir e i vini che produce attraverso il duro lavoro e il rispetto della natura e dell'ambiente.
All’Oratoire Saint-Martin, questa leggenda risuona ancora e sta a significare nessun pesticida, fertilizzante chimico o diserbante. L'azienda è infatti oggi certificata in agricoltura biologica da Ecocert e in biodinamica dall'organizzazione Demeter.
Ho degustato il loro Cairanne “Les Douyes Rouge” annata 2019 di 15,0°vol, un blend di 60% Grenache e 40% Mourvedre, che nasce in terreni sassosi, argillosi e calcarei e che prende il nome da una specifica parcella molto ripida. Viti secolari coltivate in regime biologico e biodinamico.
Cernita manuale delle uve in vigna e poi in cantina. Diraspatura senza pigiatura e vinificazione per 18 giorni sotto graticci per un'estrazione lenta e attenta ed utilizzo di soli lieviti autoctoni. L'invecchiamento dura circa 12-15 mesi in botti a seconda delle condizioni di vendemmia, quindi l'imbottigliamento viene effettuato senza chiarifiche o filtrazioni.
Ma veniamo alla degustazione.
Stappato un paio d’ore prima di essere servito e versato nell’ampio balloon da degustazione si presenta cromaticamente di un bel rosso rubino molto concentrato, soprattutto verso il centro del bicchiere e con riflessi più tenui sull’unghia, tendenti al porpora e al violaceo.
Al naso è un’esplosione di frutta matura: amarena, mora, prugna oltre a un tocco di fico secco ed a seguire terziarietà di cuoio, selvaggina e per chiudere resine vagamente mentolate e spezie.
In bocca entra con una potenza impressionante, in parte conferitagli da una alcoolicità non indifferente, tipica dei vini del sud della Francia, ma sapientemente occultata al punto da non avvertire alcuna sensazione di calore.
Tannini morbidi e setosi ed una fantastica morbidezza, gli conferiscono una beva di spessore che appaga con immediatezza il palato e l’intero corollario papillare. Avvolgente e con struttura davvero sontuosa accompagnata da un’acidità da manuale e con un corredo minerale di tutto rispetto, chiude con una lunghissima persistenza aromatica in un finale che risulta essere una suadente dolcezza di frutto.
Un ottimo vino che serba molti anni di vita avanti a sé ma che ho davvero gradito anche nella sua giovane età.
Sorseggiando questo nettare diVino penso a quanto fosse importante per i vignaioli di un tempo credere ai Santi e nei miracoli, avendo una fede incrollabile che rappresentava un’imprescindibile prerogativa di quella saggezza contadina che a poco a poco si sta perdendo, a discapito del tutto e subito e di un business che prevarica quel amore e quel eroismo che, personalmente, è il carburante che alimenta da sempre la mia passione infinita.
Alla prossima…..