Quante volte abbiamo sentito dire: “… con i se e con i ma non si fa la storia!”, ed effettivamente, come qualcuno sostiene in puro senso accademico, se la storia può essere considerata come la scienza degli uomini nel tempo, non avrebbe alcun senso chiedersi “ cosa sarebbe successo se”, perché vorrebbe dire interrogarsi su un tempo che in effetti non esiste. 

Nonostante ciò, la labilità umana è incurante delle oggettive asserzioni sopra riportate e facendosi del male, spesso e sovente si interroga malinconicamente con un pensiero ancor più ardito: “…se potessi tornare indietro nel tempo…”.

Sfido chiunque nel negare, non tanto di averlo affermato almeno una volta, quanto di non averlo mai pensato. Io non lo nego.

Nel mio caso, non si tratta di poter ritornare a tutti costi indietro per cercare di evitare certi errori, perché fanno parte di un percorso che mi ha portato ad essere la persona che sono, con i miei difetti ma anche con una maggior consapevolezza e maturità nel saper discernere quel che voglio da ciò che non voglio, facendomi fare scelte più o meno ponderate, ma tutte finalizzate ad alimentare il mio benessere psico-fisico. 

Gli errori sono il frutto di scelte che ognuno di noi è obbligato, nell’arco della vita, a porre in atto e nulla serve a recriminare perché nel momento in cui sono state fatte pensavamo fossero quelle giuste.

Molte di queste possono essere anche dolorose, segnandoti con indelebili cicatrici nell’anima, ed io ne so qualcosa…..

E’ umano, che a un certo punto della propria esistenza, di norma dopo aver valicato la cinquantina, ognuno di noi faccia una sorta di percorso introspettivo, in cui si cerca di comprendere da dove siamo partiti, dove siamo arrivati e soprattutto dove stiamo andando; se le speranze sono diventate realtà o se si sono dissolte in mere illusioni e se la crescita che ci siamo prefissi si è realizzata attraverso una costante evoluzione o se al contrario è ancora intrappolata in una ragnatela di “vorrei ma non posso” e di confort zone che non servono a nessuno.

Il retaggio culturale, il contesto famigliare in cui si è cresciuti, i condizionamenti esterni, spesso incanalati ad arte dalle convenzioni sociali, associati ad una precaria maturazione giovanile, portano a compiere scelte, che, nel tempo, poco si addicono alla personalità e alle attitudini di un individuo, che si vede proiettato in una realtà e in un percorso che, dopo anni, conduce inevitabilmente a ripensamenti (tardivi) che, a loro volta, fanno esprimere: “…se potessi tornare indietro…..”.

Non sputo mai nel piatto in cui mangio e peccherei di ingratitudine verso chi mi ha indirizzato, nei tempi che furono, a diplomarmi in Ragioneria, per poi seguire una carriera bancaria che mi ha permesso di ricoprire tutti i ruoli di filiale, Direttore compreso, consentendomi una stabilità economica  e una continuazione lavorativa che non ha mai avuto un attimo di crisi. Ma a volte non basta. Mentirei se non dicessi che, se potessi tornare indietro, indirizzerei i mei studi in altri ambiti.

Con la passione per il mondo del vino, latente sino ad una certa età, ma riscontrabile da certi aneddoti sin dalla mia infanzia, mi iscriverei ad agraria per poi studiare enologia, per lavorare in campo vinicolo, per poi diventare un giorno anche un vignaiolo.  

E’ un rimpianto? Col senno del poi, in un certo senso sì.

C’è qualcuno però, che può bearsi per aver coniugato la passione per il vino al proprio lavoro di vignaiolo, perché come dico sempre, non c’è di meglio che poter lavorare nel campo della propria passione. 

Mi riferisco a Paolo Zanini, titolare dell’Azienda vinicola Redondel, che si trova a Mezzolombardo in Piana Rotaliana, il territorio di maggior pregio per la produzione di vini rossi in Trentino e dove troviamo il vitigno autoctono principe a bacca rossa di questa regione, il Teroldego.

Lui stesso, ribadisce questo concetto con un vino iconico, prodotto in poco più di 1.100 bottiglie e che ha chiamato BeatoMe, che ho degustato nell’annata 2011 di 14,0°vol..

Paolo Zanini, porta avanti una lunghissima tradizione di famiglia, già il nonno infatti produceva Teroldego quando ancora il Trentino era sotto il controllo degli Austriaci, che qui si rifornivano di vini rossi.

La filosofia di Redondel è la coltivazione biologica, senza utilizzo di prodotti chimici di sintesi. La sapienza contadina tramandata a Paolo, gli permette di portare in cantina uve ricche e sane, pronte ad essere trasformate in vini di grande carattere. L’approccio in cantina è mirato a mantenere inalterati i caratteri del vitigno, utilizzando esclusivamente botti grandi e tonneau, affinché il legno sia uno stimolo per il vino, e non un marchio di fabbrica.

BeatoMe è quindi un grande vino rosso che viene messo sul mercato  non  prima di 9 anni dalla vendemmia. Le uve provengono dal vigneto Redondel, da cui prende il nome l'azienda. Dopo la pressatura il vino fermenta sulle bucce, le quali vengono lasciate a contatto con il vino per ben oltre 30 giorni.  Al termine della macerazione riposa ben 5 anni in grandi botti di legno ed ulteriori 3 in bottiglia. Un vino che ha saputo arrivarmi diritto al cuore lasciandomi un piacevolissimo ricordo. Il nome, BeatoMe, deriva dalla  decisione di Paolo Zanini di rimanere in campagna a fare il contadino, accudendo le viti che erano del nonno perpetrando la tradizione di famiglia, ma anche soddisfacendo la sua enorme passione per il vino.  

Ma veniamo alla degustazione. 

Stappato 5 ore prima di essere servito e versato nell’ampio balloon tipo Burgundy, si svela cromaticamente di un bel rosso rubino scuro, quasi impenetrabile con tenui riflessi aranciati sull’unghia; al naso, un iniziale tripudio di frutta rossa, di more, ma soprattutto di ciliegie sotto spirito lascia successivamente la scena a terziarietà  terrose di sottobosco, fungine e di humus. Ulteriormente ossigenato nel bicchiere si avvertono nuances speziate di pepe nero, di cuoio e un nitido accenno di pellame. Chiude con una dolce e delicata  nota di cioccolato fondente.

In bocca è semplicemente strepitoso, con ben in evidenza tannini setosi e sapidi allo stesso tempo e con una notevolissima struttura, dove la beva ha una certa densità oleosa di entrata, che si espande a livello gustativo, riempiendo per incanto tutta la cavità orale, con un ritorno davvero piacevole della frutta e delle note di sottobosco avvertite al palato. Acidità aristocratica e grande freschezza, nonostante l’elevata alcolicità che non si avverte mai.  Chiude con una persistenza che ha dell’eterno e con la gradevole sensazione di grande appagamento. Un  magnifico Teroldego d’Antan, davvero illuminante!!

Un vino che ho abbinato ad una tagliata di bovino adulto di razza podolica bio ed è stata la morte sua. 

Ringrazio pubblicamente Paolo Ricciarelli, titolare dell’enoteca la Scaletta di Campitello di Fassa (TN), (enotecalascaletta.it) che me l’ha caldamente consigliato e devo dire con giusta ragione (se siete nei paraggi dolomitici, andate a fare una capatina e non ve ne pentirete).

Devo fare un gran mea culpa, perché ho sempre sottovalutato questo vitigno, ma se avessi degustato tempo fa questo nettare, avrei cambiato molto prima  la mia opinione….ma come ho detto all’inizio, “con i se e con i ma non si fa la storia…”.

Alla prossima….