There's no chance for us
It's all decided for us
This world has only one sweet moment set aside for us
Who wants to live forever?
(Who wants to live forever – Queen 1986)
Mi ci sono volute più di 150 recensioni, ma alla fine ecco comparire, come per magia, quasi a ricordare uno dei loro album più fortunati, quel “A kind of magic” del 1986, una delle band più famose a livello planetario: i Queen.
Di quell’album (che un incantesimo ha voluto si celasse da me, in uno dei tanti scatoloni posti nella cantina di mia madre, che prima o poi furtivamente perquisirò come se fossi alla ricerca del Graal), è la traccia nr. 6 che mi ha perseguitato in gioventù al punto di averla ascoltata un milione di volte fino a consumarci la puntina, lasciandone un irrimediabile solco.
“Who wants to live forever” è una delle canzoni più struggenti che la rock band di Freddy Mercury abbia saputo realizzare; un pezzo di grande successo inserito nella colonna sonora del film “Highlander” (L’ultimo immortale) con il “desaparecido” Christopher Lambert e campione d’incassi al botteghino.
Una canzone, composta dall’eclettico chitarrista Brian May, a bordo di un taxi che dall’aeroporto di Londra-Heathrow lo stava conducendo presso gli studi di registrazione e colto da fulminea ispirazione riuscì a dare libero sfogo alla propria creatività, generando in pochissimo tempo uno dei brani più iconici della band londinese.
Il titolo non lascia dubbi interpretativi, visto che tutto si focalizza sul tema dell’immortalità e musicalmente è un crescendo di emozioni, iniziando dall’inconsueta introduzione di Brian May, seguita con una meravigliosa e straordinaria prosecuzione canora del mai troppo rimpianto Freddie Mercury.
Un brano leggendario che apre automaticamente un cassetto cerebrale in cui imprimere nella nostra memoria una profondità di esecuzione ed un finale di autentici brividi, su cui riflettere e filosofeggiare.
Anche in questo contesto, il tempo assume il ruolo del protagonista, dal quale nasce la riflessione sulla capacità o meno di riuscire a vivere fino in fondo ogni momento e tutto ciò si collega al film precedentemente citato, in cui il protagonista Connor MacLeod, nella sua costrizione di essere immortale, mal sopporta di vedere tutti gli altri intorno a lui invecchiare e morire.
Chi dunque “vuol vivere per sempre”?
Chi non ha mai pensato all’immortalità?
Anche se la ricerca del Graal, dell’elisir dell’eterna giovinezza si perde nella notte dei tempi, penso che in realtà, più che rincorrere l’immortalità, dovremmo lasciarla andare per cercare il divino che c’è in ognuno di noi, dando priorità a chi vogliamo bene. In fondo, il divino che è in noi è l’Amore!
Oggi, mentre ero in auto, come sempre mi sono sintonizzato su “Virgin Radio” che stava trasmettendo in quel preciso momento l’hit dei Queen e relativamente all’immortalità non ho potuto fare a meno di pensare ad un vino degustato la sera precedente a casa del mio grande amico William, compagno di epiche scorribande enologiche.
Il vino in questione è il Cahors Clos de Gamot annata 2015 di 14,0° vol. prodotto da vigne centenarie, oserei dire immortali!!
La famiglia Jouffreau, si stabilì in Occitania nel lontanissimo 1610 ed iniziò a produrre vino prosperando fino alla sfortunata annata 1882 quando la fillossera cominciò ad attaccare il vigneto Clos de Gamot. Quasi in modo leggendario Guillaume Jouffreau durante gli inverni 1883-1884 prese gli ultimi rami di Malbec da alcune viti non attaccate e sperimentò diversi innesti. Dopo diversi tentativi, quella del Malbec sul portainnesto Herbemont riuscì. Nuove piante resistenti alla fillossera furono ripiantate nel vigneto, salvandolo, ed esattamente nell’inverno 1885. Nel corso del tempo, parte del vigneto è stato rinnovato e ora sono presenti piante che vanno dai 40 ai 70 anni, ma una parte è ancora oggi vitata con le stesse piante poste nel 1885 e che quindi raggiungono quasi 140 anni di età con rese molto basse, da 15 a 20 hl/ha. Più immortale di cosi!
Questo vigneto è di ben 18 ettari completamente vitato a Malbec con un magnifico terroir argillo-calcareo, con ciottoli, selce e lembi di argilla rosso. Gli appezzamenti con le viti divise dalle data di impianto vengono vinificati separatamente in tini di piccolo volume al fine di preservare il più possibile la specificità di ognuno di loro. La filosofia del Domaine è quella di dare tempo al vino di fiorire, osservando e ascoltando la natura per lavorare la vite al momento giusto, unito al buon senso del vignaiolo. Nasce un vino di carattere, con tanta freschezza e lunghissima longevità, con un affinamento in botti di legno nuove per non modificare ma la potenzialità delle uve.
La degustazione di questo Clos de Gamot, inizia con il controllo visivo dato da un bellissimo rubino intenso ma con riflessi più chiari sull’unghia; un colore che appare incredibilmente giovanile al cospetto di quasi 10 anni sulle spalle.
Al naso emerge una duplice sensazione di frutta rossa, ribes, mora, mirtillo rosso e di sentori speziati, quasi di affumicatura, uniti a terziarietà con una sottile nota fungina e con sfumature balsamiche di menta e liquirizia e sul finale una leggera piccantezza al naso.
In bocca, ti lascia una sensazione di pulizia che gli dà quell’imprinting di raffinatezza, ma allo stesso tempo di beva goduriosa per quei tannini splendidamente setosi e per una freschezza davvero invidiabile. Acidità e mineralità simbiotica su di un finale non persistentemente lungo, unica nota leggermente stonata, ma accettabile.
Un Malbec che avrebbe potuto tranquillamente veleggiare per un altro decennio senza arrivare a toccare il suo apogeo.
Anche se solo l’arte può rendere immortale un vino, mi piace pensare che il Clos de Gamot e le sue viti ultracentenarie possano continuare a produrre nettari come quello degustato, lasciandoci sognare e sperare che per un disegno divino possa essere dotato della vita eterna.