“Non è fatta per il sonno questa notte, non per il re… ognuno dei suoi 40 anni ha tracciato una strada verso questo scintillante momento del destino.”
( Leonida – dal film 300)
In questi anni di recensioni mi è capitato più volte di affermare che la materia che ho sempre preferito nei lunghi anni scolastici è stata senza orma di dubbio “Storia”. Per noi, figli degli anni ’60, a differenza di quanto avviene oggi, la materia la percorrevamo dalla preistoria ai giorni nostri sia alle elementari, sia alle medie e alle superiori ed è normale che ci siano stati personaggi che mi siano entrati dentro più di altri. Condottieri impavidi, strateghi e statisti che hanno lasciato un’impronta indelebile, nel bene e nel male, nel lungo cammino dell’umanità.
In particolare ce ne sono due che hanno segnato lunghe ore di studio ma anche un interesse che, a distanza di molti anni, non si è mai affievolito.
Uno è Napoleone Bonaparte, l’altro è Leonida Re di Sparta.
Quello che da sempre ha esercitato un’attrazione più forte sin dal momento che ho conosciuto la sua storia è il re spartano, Leonida (“figlio del Leone”), nato a Sparta intorno al 540 a.C., terzo figlio del Re Cleomene I.
Non essendo il primogenito e quindi non erede al trono fu sottoposto nella prima infanzia all’agoghè, un durissimo addestramento che i maschi spartani praticavano e che se sopravvivevano li faceva diventare cittadini di Sparta.
Per una serie di vicissitudini poco note, Leonida diventò Re succedendo al fratello, del quale sposò la bellissima figlia, la Regina Gorgo.
Amatissimo dal popolo, proprio per essersi guadagnato la cittadinanza di Sparta, Leonida era un guerriero nato.
Quando il Re persiano Serse decise di conquistare la Grecia, Leonida guidò un manipolo di guerrieri che avrebbe dovuto fermarlo; è grazie ad Erodoto, considerato da Cicerone come il “padre della storia”, che analizzò ed individuò le cause che portarono alla guerra tra le polis unite della Grecia e l’impero persiano, ponendosi in una prospettiva storica, utilizzando l’inchiesta e diffidando degli incerti resoconti dei suoi predecessori, che oggi sappiamo tutto o quasi della leggendaria battaglia delle Termopili.
Leonida, cuore impavido, scelse solo 300 dei suoi soldati spartani, i migliori, i più agguerriti, i più temerari e che avessero già figli che avrebbero potuto tramandare la loro stirpe ed in soccorso gli arrivarono poco più di 7.000 soldati greci, contro non meno di 200.000 fanti dell’esercito persiano.
Come campo di battaglia scelse un passo di montagna chiamato Termopili, stretto tra la terra e il mare dove, in questa strettoia naturale i numeri sarebbero contati ben poco. Per tre giorni Serse, nonostante le forze nettamente superiori non riuscì a fare breccia e i suoi soldati, tra i quali i temibili “immortali” perirono uno dopo l’altro.
L’astuzia di Leonida non durò a lungo, in quanto tradito da tal Efialte, di cui non si conosce l’effettivo ruolo, se fosse uno spartano o un contadino e che comunque mostrò a Serse un sentiero che aggirava i valorosi soldati spartani e ben presto ebbero la meglio su di loro e su Re Leonida, che morì da eroe trafitto da un considerevole numero di lance persiane.
E’ probabile che, da allora, ogni qualvolta si cerchi di compiere un atto impavido, si è tacciati per avere modi di fare spartani.
Sparta era una macchina da guerra e i suoi cittadini erano pragmatici e vivevano in gran sobrietà; appena nati, gli anziani decidevano se un bambino avesse o meno il diritto di vivere e i più gracili venivano gettati da una rupe del Monte Taigeto e chi avesse il diritto di rimanere in vita, doveva affrontare nuove prove, come i primi bagnetti fatti dalle nutrici, che non usavano acqua, ma vino perché ritenevano che i più deboli sarebbero stati presi da convulsioni.
Questo passo mi ha sempre impressionato e immagino Leonida che appena nato fosse immerso nel vino senza emettere neanche un vagito e penso che quel vino fosse logicamente rosso, come il sangue versato dagli eroi spartani e allo stesso tempo con una struttura non indifferente e non so perché, rileggendo questo aspetto, mi è subito venuto alla mente una bottiglia iconica di una produttore impavido, per certi versi eroico e di sicuro indomito.
Mi riferisco alla Bigolla annata 2004 di 15,0° vol. e al suo produttore Walter Massa.
Di Massa ho già parlato in altre recensioni dei suoi splendidi Timorasso, ma oltre ad essere il Re di questo vitigno che ha riportato agli altari facendolo risorgere come l’araba fenice, riesce anche a produrre una barbera in purezza che, come direbbe il mio amico Emanuele Spagnuolo di “Grandi Bottiglie” (www.grandibiottiglie.com), fa tutta la differenza del mondo.
Questa Barbera, chiamata Bigolla rappresenta il cru più vecchio dei Vigneti Massa, caratterizzato da rese molto basse in vigna, con una vinificazione molto tradizionale e con un successivo affinamento per circa 22 mesi in barriques.
Ma veniamo alla degustazione, partita sfortunatamente con una sfaldatura del tappo e con molta difficoltà e solo con l’ausilio di un cavatappi a lamella, sono riuscito toglierlo senza inficiarne il contenuto.
Si presenta cromaticamente di un bel rosso rubino intenso con evidenti riflessi granati sull’unghia; al naso è un immediato tripudio di frutta rossa surmatura di ciliegia marasca e amarena ed a seguire note speziate di cuoio e tabacco dolce, ma anche carnose che rasentano accenni ematici, per poi chiudere son una complessità balsamica di mentolo e aghi di pino.
In bocca è un vino ancora molto vivo nonostante i 20 anni sulle spalle, con un tannino che ancora si percepisce quasi in dissolvenza e con un’acidità piuttosto spiccata che lo rende scorrevole e con una beva impegnativa, ma molto piacevole. A livello gustativo riprende la frutta e le note speziate avvertite al naso; un vino molto ben equilibrato, complesso, strutturato e che conduce ad un finale speziato, ma che chiude con una nota cioccolatosa molto persistente.
Una barbera d’Antan, di quelle che lasciano il segno, spartana nella sua sobrietà ed austerità ma decisamente gagliarda e irriducibile.
Walter Massa, un autentico condottiero del vino, che pur di salvaguardare il territorio tortonese non esiterebbe ad immolarsi come Leonida alle Termopili!!
Io intanto, per non sbagliare, mi verso ancora un po’ di questo nettare alla vostra salute……