I thought I knew what love was

What did I know?

Those days are gone forever

I should just let 'em go but…..

(Boys of summer – 1984 Don Henley)


L’avvicinarsi della fine dell’anno è quasi sempre oggetto di riflessioni su quanto ha riservato questo 2024 ad ognuno di noi nei più disparati ambiti della vita. E’ così che negli ultimi giorni si è sempre invasi da articoli di quotidiani, special televisivi e pop-up su computer e smartphone attinenti agli avvenimenti che hanno segnato un anno, che personalmente, sto già cercando di dimenticare…. 

Assiduo frequentatore musicale di you tube, ho ricevuto la notizia che il video della canzone che ho più ascoltato nel 2024 è stato: “Hotel California” degli Eagles, nella versione live del 21/03/1977 al Capital Centre di Washington.

Non ci crederete, ma mentre mi è arrivata la news, stavo ascoltando un brano del batterista, nonché vocalist e fondatore del gruppo, quel Don Henley che ha fatto le fortune della band di Los Angeles sin dal 1971.

La canzone è un pezzo che mi piace molto musicalmente e un po’ meno per il testo ed il significato che in questo periodo mi si cuce addosso come il miglior vestito sartoriale. 

“The Boys of summer”, brano scritto da Henley e composto a livello musicale da Mike Campbell dei Tom Petty and the Heartbreakers , è stato pubblicato il 26 ottobre 1984 come singolo principale dell’album solista di Henley dal nome Building the Perfect Beast, che raggiunse il numero cinque nella classifica Bilboard Hot 100 negli Stati Uniti, il numero 1 nella classifica Billboard Top Rock Tracks e il numero 12 nella classifica dei singoli del Regno Unito.

Questa canzone racchiude nei versi centrali, indicati nell’introduzione della recensione, il vero significato intrinseco e superficialmente potrebbe essere  indentificata come una mera canzone d’amore:


Pensavo di sapere cosa fosse l’amore,

cosa sapevo?

Quei giorni sono andati per sempre

Dovrei semplicemente lasciarli andare….

Don Henley, nel testo sottolinea da una parte la relazione passata con una donna, metabolizzandone con fatica il suo abbandono e dall’altra il bisogno di lasciarsi alle spalle il passato e più profondamente potremmo considerarla come una canzone sugli accadimenti della vita, sui rimpianti e inevitabilmente sul trascorrere del tempo, unica medicina essenziale, che aiuta a curare le ferite e le cicatrici che ci rimarranno per sempre. 

Ecco perché musicalmente, la fine della canzone è coinvolgente lasciandoti un senso di ottimismo per il proseguo del cammino di questa nostra vita.

Ci sono situazioni ed avvenimenti che ti vengono addosso con una forza tale, come se ci investissero al pari di una valanga inaspettata, anzi, in certi casi direi provocata. 

Ascolto  da qualche giorno questa canzone e per l’assonanza metaforica con il fenomeno naturale, oggi ho voluto abbinarci un vino, individuandolo in un bianco e più precisamente al MONDEUSE -Avalanche la Blanche (trad. valanga bianca) di FABIEN TROSSET nell’annata 2022 di 12,0: vol., in questo caso, al contrario del brano, una valanga benefica e consolatrice. 

L’azienda vinicola Trosset è situata tra i massicci dei Bauges, della Chartreuse e di Belledonne, nel cuore della Savoia francese è gestita dal 2011 da Fabien, che, proveniente da una famiglia di viticoltori è stato immerso nel settore del vino fin dalla prima infanzia. Spinto dalla passione per il terroir e preoccupato di rispettare la conservazione delle tradizioni delle generazioni precedenti, si è naturalmente dedicato alla produzione integrale di vini della Savoia.

Questa sua creazione, vale a dire il Mondeuse bianco è cugino del più diffuso Mondeuse Noir ed è ancora poco diffuso e definito “confidenziale”, cioè endemico e specifico del territorio sabaudo. Viene allevato su un terroir morenico di origine glaciale, capace di influenzare positivamente la vite, stressando moderatamente le piante. Costituito da detriti rocciosi lasciati dal ritiro dei ghiacciai, questo terroir è ideale per concentrare gli aromi nelle uve. 

La fermentazione in tini e botti è preceduta dalla decantazione statica a freddo. Impegnati nella produzione naturale, effettuano la vinificazione utilizzando lieviti indigeni e senza solforosa. Dedicano 8 mesi all'affinamento sulle fecce fini in ragione dell'80% in vasche di acciaio inox e del 20% in demi-muid.

Ma veniamo alla sua degustazione, versandolo ed osservandolo nella sua cromatura di un colore insolito, ma accattivante, un giallo paglierino mediamente carico con riflessi tenui tendenti al rosaceo.

Al naso si mostra immediatamente dotato di finezza ed eleganza, quasi femminile, con nuances floreali di glicine e fruttate di litchi; a seguire una sensazione dissolvente di affumicatura si fonda con sentori di fieno bagnato ed erbe di montagna. 

In bocca si dimostra molto minerale e con una freschezza tipica dei vini di montagna; denota una sensazione gustativa quasi aristocratica dove a tratti ti mette di fronte ad un’ algida soggezione e ad una certa amarezza ( che fa affiorare certi ricordi) ma che è ben controllata con precisione dalla lenta pressatura a cui è stato sottoposto questo Mondeuse Blanc.

Finale con una buona persistenza aromatica.

Un vino, ottenuto da un vitigno raro che lascia il segno, quantomeno nell’essere ricordato per le sue peculiarità gusto-olfattive. Bravo il Trosset che mi ha saputo regalare un’esperienza di degustazione davvero interessante. 

Mentre sorseggio un po’ malinconicamente questo insolito bianco, i pensieri prendono corpo ed aumentano d’intensità come una valanga che piano piano si ingrossa e scende a valle e rifletto al caso che ha voluto che iniziassi questo mio percorso di recensioni nel 2024 ascoltando una delle più belle canzoni dei Rolling Stones, vale a dire Let it Loose, non pensando in quel momento che mai titolo fosse così premonitore….lascia andare!!

Ci si risente nel 2025…..e non dico altro.