Recentemente ho letto che nel maggio 2012 SpaceX è diventata la prima società privata a compiere un viaggio verso la stazione spaziale con tanto di attracco. Da quella data, la creatura di Elon Musk ha contratti per oltre 40 viaggi spaziali di diversa natura, per un valore commerciale di 4 miliardi di dollari….
E’ molto probabile che tra qualche decennio (per chi economicamente se lo potrà permettere) si potranno fare le vacanze nello spazio e in quel caso insieme ai bagagli sarà il caso di rifornirsi con qualche buona bottiglia di vino, visto che secondo recenti studi il nettare di bacco sembra invecchiare più velocemente che sul nostro pianeta.
Nel 2019 è stato inviato un carico di 12 bottiglie di Chateau Petrus alla Stazione Spaziale Internazionale su un veicolo spaziale cargo Northrop Grumman Cygnus. Ogni bottiglia è stata inserita in un packaging particolare, in un cilindro appositamente costruito per evitare qualsiasi tipo di danno che potesse in qualche modo vanificare il risultato dell’esperimento. Parliamo di uno dei vini più famosi e costosi sulla faccia della terra e che mediamente supera con facilità i 5.000 euro la bottiglia.
Dopo 438 giorni e 19 ore esatte le bottiglie hanno fatto ritorno sulla terra su un veicolo spaziale cargo SpaceX Dragon e dopo assaggi ed approfondimenti, gli esperti hanno scoperto che il vino oltre ad avere un sapore differente rispetto ad un’identica bottiglia della stessa annata rimasta sulla Terra, è sembrato essere invecchiato più velocemente.
Jane Anson, esperta di vini che scrive sulla rivista Decanter, oltre ad essere un'apprezzata enologa e facente parte della commissione che ha partecipato al test di degustazione delle bottiglie rientrate sulla Terra, ha riferito quanto segue:
“Sono state percepite differenze riguardo al colore dei vini e all’assaggio sembrano essere invecchiate più velocemente di almeno due/tre anni.”
Delle bottiglie rientrate, una (l’unica del lotto) è stata messa all’asta da Christie’s per un milione di dollari.
Ma perché sono invecchiate più velocemente rispetto ad una bottiglia che ha vissuto lo stesso periodo sulla Terra?
In aiuto, come spesso accade, ci viene incontro quel genio di Albert Einstein che, nella sua teoria della relatività, ha dimostrato che il tempo scorre più lentamente tanto più ci si trova vicini ad un corpo con una massa estremamente potente (in questo caso il pianeta Terra).
Il concetto non è semplice da spiegare ma per poterlo capire basterebbe fare un esperimento. Se si confronta il tempo calcolato da un orologio al polso di un umano, sulla Terra, con quello calcolato in orbita, ad esempio sulla Stazione Spaziale Internazionale, ci si potrà accorgere che il tempo in orbita scorre più velocemente e questo perché la massa del nostro pianeta distorce lo spazio temporale, confermando la teoria che sostiene che la gravità sia il risultato della curvatura dello spaziotempo da parte della massa. In altre parole, gli oggetti massivi deformano lo spaziotempo intorno a loro, influenzando il moto di altri oggetti. Un po’ complicato, vero…..
Non fa nulla, ho fatto fatica anche io a comprenderne il significato, tanto sarà molto difficile che riesca un giorno ad andare nello spazio a spese mie, portandomi magari qualche bottiglia di vino.
Preferisco restare con i piedi ben ancorati a questo pianeta ripensando al vino “stellare” che ho degustato pochi giorni fa e che per più di un istante ha saputo fare ancora meglio della teoria di Einstein, riuscendo non tanto a deformare la curvatura spazio-tempo, quanto a fermarlo!!
Mi riferisco allo GEVREY CHAMBERTIN Premier Cru annata 2010 di 13,5° vol. del Domaine DENIS MORTET, un vino che potrebbe catapultarmi direttamente su Marte in un battito di ciglia, ancor meglio del teletrasporto (dovessero inventarlo).
La storia racconta che Denis Mortet iniziò a lavorare nel domaine del padre Charles Mortet nel leggendario villaggio di Gevrey -Chambertain in Borgogna nella splendida Cotes de Nuits, prima di raccogliere le redini a metà degli anni ’80 del secolo scorso. In quel periodo fece la conoscenza del mitico viticoltore borgognone Henry Jayer, un vero e proprio extraterrestre, uno che riuscì con un piccolo appezzamento di vigneto di non più di un ettaro, per molti posizionato male, ma confinante con il Grand Cru Richebourg, a dar vita ad uno dei world top wine, quel Vosne-Romanèe Cros-Parantoux (la prima annata, la 1978 uscì come vin de village dopo 33 anni di duro lavoro!!) diventato oramai mitico ed introvabile. L’amicizia con Jayer fu fondamentale; un “alieno” che insegnava a fare vino a un umano…..
Nel 1991, il padre di Denis andò in pensione e giunse il momento di fondare la propria azienda con i 4,5 ettari lasciati in eredità.
Denis, ci ha lasciato nel 2006 ed oggi è il figlio Arnaud
che ha deciso di portare avanti l’ambiziosa opera del padre. Brillante vinificatore, quest’ultimo ha aggiunto uno stile personale ai vini, che risultano leggermente meno concentrati ma dotati di maggiore eleganza. Egli non parla di estrazione, bensì di “infusione”, per descrivere uno dei metodi di vinificazione a lui più cari. Questo Premier Cru incarna uno dei gioielli della Cotes de Nuits che tutti gli appassionati dei grandi vini dovrebbero assolutamente conoscere, nonostante il prezzo di acquisto, se ancora riuscite a trovare qualche bottiglia di questa annata , che sugli scaffali sfiora i 400 euro.
Veniamo alla degustazione di questo Pinot Noir in purezza, proveniente da 3 diversi vigneti: Cherbaudes che si trova ai piedi dell’iconico Chambertin Clos de Bèze, su un dolce pendio con un terreno calcareo; Petite Chapelle, a pochi metri a sud di Cherbaudes con terreno contenente molte pietre e ghiaia e per finire il Bel Air, un piccolo appezzamento che domina Chambertin Clos de Bèze, con un pendio ripido e con un terreno ad alto contenuto calcare. Età media delle viti 50 anni, potatura Guyot semplice, aratura meccanica, non utilizzo di fertilizzanti e diserbanti chimici, solo arricchenti organici dei terreni.
Vendemmia manuale con raccolta delle uve in piccole cassette, rigorosa cernita dei grappoli, parziale diraspatura, fermentazione alcolica con lieviti indigeni, rimontaggi e follature rigorosamente controllate.
Affinamento per 18 mesi in botti di rovere, di cui 50% nuove e 50% di primo passaggio.
Stappato 4 ore prima di essere servito nell’ampio balloon da degustazione tipo Burgundy, si presenta cromaticamente con una veste meravigliosa ed affascinante di un bel rosso rubino mediamente scarico, che incarna la tradizionale tipicità del Pinot Noir borgognone, con tenui note aranciate sull’unghia.
Al naso emergono con una sottile raffinatezza sentori di lampone, amarena, cassis e fragolina selvatica, floreali di violetta, petali di rosa appassita ed a seguire fumo di legna, speziature dolci e chiude con deliziose note mentolate di stecca di liquirizia.
In bocca impressiona per la sua vellutata morbidezza, rivelando grande intensità e ricchezza e una magnifica consistenza satinata al palato; non manca però di concentrazione che ti avvolge in un finale dettagliato, persistente e fresco, dove le note speziate impreziosiscono il retrogusto a sua volta ingentilito da una dissolvente setosa tannicità .
Un vino davvero notevole che non ha ancora raggiunto il suo apice e che si beve splendidamente anche adesso; un Pinot Noir elegantissimo che racchiude in sé la tradizione ma anche tutta la classe, in una beva davvero senza tempo, di un vitigno che ha pochi eguali a livello planetario.
Un vino del genere non potevo degustarlo da solo, ma l’ho condiviso con il mio caro amico William, francese di nascita ma residente nel bel paese e mentre lo sorseggiavo amorevolmente, non ho potuto fare a meno di associarlo a ad un “alieno “ della musica che ci ha lasciato nel 2016: lui, il “Duca bianco” David Bowie, la canzone “Space Oddity uscita nel 1969, che in sottofondo a questo vino fa davvero vedere le stelle!!!.