Chi di parole da me ne ha avute tante
 e non ne vuole più,
 ha bisogno, come me, di silenzio.

(da: ”Ho bisogno di silenzio”- di  ALDA MERINI)

Lavoro da quasi 40 anni e come dico io, utilizzando una metafora militare, sono da sempre in trincea, in prima linea, ed ogni giorno clienti e colleghi mi impegnano non poco, preso letteralmente tra due fuochi.

La sera, quando rientro stancamente a casa, mi immergo sovente in un lungo e benefico silenzio.

A volte, quando ho davvero bisogno di pace, non accendo nulla, né stereo, né televisione e tutto ciò che sento è il ticchettio del grande orologio posto nei pressi della cucina e alle volte mi par di ascoltare il battito del mio cuore….

Ma che cos’è il silenzio?

E’ la condizione ambientale definita dall’assenza di perturbazioni sonore, dove per perturbazione si intende la modificazione di quiete, di normalità, di ordine, per lo più con conseguenze dannose o pericolose. 

Se scomodiamo la fisica, il silenzio è inteso come l’assoluta mancanza di suono o rumore in un ambiente in cui vi sia una pressione acustica inferiore ai 20 decibel; di certo non può essere visto unicamente sotto l’aspetto scientifico, anzi subentra più prepotentemente quello psicologico, in cui, un ambiente privo di suoni e di rumori riesce a farci riappropriare la nostra interiorità, inducendoci a scollegarci da una vita quotidianamente frenetica, decisamente conformista e poco individuale, dove siamo costantemente immersi in una società che ci fagocita e ci plasma a piacimento per il soddisfacimento consumistico, standardizzandoci pericolosamente come massa. 

Il silenzio è fondamentale perché toglie qualsiasi alibi derivante dall’immersione in una società in cui è molto più importante apparire che essere, in cui le parole che ascoltiamo e pronunciamo ogni giorno sono inflazionate e significativamente effimere, accompagnate da gesti abitudinari, quasi robotizzati e spersonalizzanti, al punto da rasentare una pericolosa deriva di finzione e di ipocrisia irriverente nei confronti di noi stessi come individui, che dovrebbero usare il cervello, ricercando nel silenzio la chiave di volta per una vita più consapevole. Ma non solo.

Il silenzio inevitabilmente ci spinge a riflettere, ad osservare il mondo che ci circonda, ad accrescere una certa sensibilità all’ascolto che dissolve un comune atteggiamento egocentrico ed egoistico, disponendoci favorevolmente nei confronti del prossimo. 

Ed ancora, il silenzio, vissuto quasi in senso religioso ci porta ad assaporare un’esperienza mistica che tende a comunicare direttamente con il Divino; Sant’Agostino predicava la meditazione ed il silenzio per far emergere dal di dentro la nostra anima, predisponendola alla comprensione dell’esistenza e al cammino virtuoso della nostra vita terrena. 

Come il tempo, il silenzio è poco apprezzato dalla nostra chiassosa società, forse perché non si può comprare ed ecco perché i ricchi fanno sempre clamore e rumore, attorniati da gossip e da un tenore di vita che non riserva spazi e momenti in cui il silenzio rileva l’animo umano e la ricerca della comprensione di noi stessi. 

Per molti di loro, il silenzio diventa l’ossimoro assordante che risulta decisamente peggio rispetto ai rumori che si possono sentire. 

Enologicamente parlando, ci sono vini che vanno degustati in religioso silenzio, nel quale qualsiasi parola potrebbe risultare superflua e dove oltre l’aspetto visivo, olfattivo e gustativo ne subentra uno ancor più importante e che i più hanno sempre sottovalutato. Certi vini hanno bisogno di essere ascoltati e questo senso diventa fondamentale perché è come se il vino stesso ti debba raccontare la sua storia, talmente importante e decisiva per la sua totale comprensione. Isolarsi in una bolla in cui il tempo si ferma è fondamentale per certe degustazioni, dove il silenzio diventa il propellente necessario per portarti a destinazioni meravigliose. 

E’ il caso dei vini di un grande vigneron borgognone, Bruno Clair e dell’assaggio del suo Morey Saint Denis “En la rue de Vergy” annata 2017 di 13,0°vol, una vera chicca a base Chardonnay in un territorio in cui spopola il Pinot Noir. 

La famiglia Clair è dedita alla viticoltura di padre in figlio fin dall'inizio del XIX secolo. Nel 1919 Joseph Clair sposò Marguerite Daü, una lavoratrice della vigna a Marsannay-la-Côte. Lavorarono insieme nella tenuta, poi tra il 1930 e il 1960 acquistarono diversi appezzamenti di vigneto nelle denominazioni Gevrey-Chambertin, Chambolle-Musigny e Morey-Saint-Denis.

Fu così che nel 1954 la coppia creò il Domaine Clair-Daü. L'azienda di famiglia prosperò e altri vigneti acquistati dal figlio e dalla moglie si unirono alla tenuta, nelle denominazioni Marsannay e Vosne-Romanée. Joseph Clair morì nel 1971 e Bernard Clair assunse la gestione della tenuta. Tuttavia, gli eredi di Joseph Clair non riuscirono a raggiungere un accordo. La tenuta venne smembrata e Bruno Clair sfruttò ciò che gli apparteneva, oltre ai terreni affidatigli da Bernard e Geneviève. Creò così il Domaine Bruno Clair con suo fratello Michel. Nel 1986 l'azienda agricola di famiglia possedeva 17 ettari di vigneti in diverse denominazioni della Borgogna. Negli anni successivi, nel 1990, 1993, 1996, 2006 e 2019 (Gevrey-Chambertin, Chambolle-Musigny, Aloxe-Corton, ecc.), la superficie è stata ampliata fino a raggiungere i 27 ettari distribuiti in 32 denominazioni all'inizio del XXI secolo.

Bruno Clair ha tre figli con la moglie Isabelle. Il figlio maggiore, Edouard, lavora con loro nella tenuta dal 2010 e si è specializzato in vigne e vinificazione, seguito da Margaux (vigne e spedizioni) e Arthur (responsabile della cantina) dal  2018.

Ma veniamo alla degustazione di questo Chardonnay, che si apre visivamente ai miei occhi con un bel colore dorato mediamente carico, limpido e brillante su tutta la superficie.

Al naso emerge inizialmente una nota di ardesia e di pietra bagnata ed a seguire si avvertono sensazioni agrumate di lime maturo e di frutta a polpa bianca, su tutte la pesca nettarina. Pazientemente atteso ancora un po’, sprigiona nuances burrose e sentori legnosi. 

In bocca è semplicemente divino!! Ha un’acidità quasi leggendaria, morbidissimo al palato e con una beva che potrei definire complicatamente semplice, goduriosa ma non banale, con un palato che si riempie e si dilata inondato da sensazioni gustative pazzesche, che riprendono simmetricamente quelle avvertite all’olfatto. Il finale, lungo e persistente, chiude su una solida base minerale impreziosita da una sferzata di sale e dall’incedere del burro e di una noisette sensuale ed amaricante allo stesso tempo. Un vino che non smetteresti mai di bere….

Sarò di parte, ma questo Morey Saint Denis Blanc che si trova sugli scaffali ad un prezzo che rasenta i 100 euro certifica per l’ennesima volta che i migliori Chardonnay al mondo albergano nella Cote d’Or borgognona ed io, li amo profondamente. 

Che dire….qualcuno asserisce che il silenzio può assumere i connotati di una tremenda condanna, io invece sostengo che, se accompagnato da una degustazione come questa allora diventa una meravigliosa conquista!!

Io vado avanti, naufrago nel mio silenzio e vi rimando alla prossima degustazione.