Alsazia centrale.
Il villaggio di Hunawir, è situato in una piccola valle fiabesca degna di un racconto dei fratelli Grimm; ad est del paese, su una caratteristica collina, sorge la chiesa di Saint Jacques le Majeur, nella cui cripta sotterranea sono conservate le reliquie di Sainte Hune. La chiesa, domina dall’alto i vigneti inseriti nella denominazione Grand Cru Rosacker, di proprietà della famiglia Trimbach in Monopole, che, per 1,67 ha produce quello che potremmo definire il Romanèe-Conti dei Riesling Alsaziani, ovvero il Clos Sainte-Hune.
Sainte Hune, visse a cavallo tra il VI° e il VII° secolo d.C., imparentata con un Re borgognone di stirpe merovingia, non fu mai amata realmente dai propri genitori, tanto che visse la sua infanzia in compagnia dei domestici e delle lavandaie dello Chateau de la Huniere. Promessa sposa al nobile Hunon, nonostante il suo titolo nobiliare e le ricchezze possedute, dedicò la propria esistenza al servizio dei poveri, curandone le ferite, sostenendoli, nutrendoli, sino a lavarne i vestiti, tanto che molti iniziarono a chiamarla “la lavandiera santa”.
Non lontano dalla chiesa di Saint Jacques c’è una fontana ancora esistente dedicata a Sainte Hune dove la leggenda narra che in un’annata di cattiva vendemmia, la santa trasformò l’acqua della fontana in vino, rimpiazzando il raccolto perduto e dando vita al miglior vino mai prodotto dai viticoltori della zona. La fontana, fu per moltissimo tempo una risorsa d’acqua potabile per gli abitanti, oltre ad essere il luogo di incontro delle lavandaie.
Il luogo in cui sorge la fontana è chiamato Sinn, dalla parola sinnen che significa misurare la capacità dei barili, misurarli e segnarli con le unghie "ein-Sass-sinnen". La particolarità dell'acqua che scorre da questa fontana è la temperatura costante di 10 °, anche in inverno.
Hune morì nel 679 d.C. e venne canonizzata il 15 aprile 1520 da papa Leone X, sotto l’intercessione del duca Ulrich di Würtemberg; secondo quanto riportato dal cronista Ulrich de Ribeaupierre, la cerimonia di canonizzazione venne seguita da 20.000 persone.
La chiesa di Saint Jacques le Majeur posta in cima alla collina, con i relativi vigneti a corollario è ben rappresentata sulla sobria ed elegante etichetta bianca del Riesling Clos Sainte-Hune che ho degustato nell’annata 2003 di 13,5°vol.
I Trimbach, viticoltori dal 1626, si sono imposti alla ribalta enologica a fine 1800, grazie alla lungimiranza di Frederic Emile, oggi omaggiato da una Cuvèe, seconda per importanza, solo al Clos Sainte Hune, vino di punta del Domaine.
Proprietari di 50 ettari, ai quali si aggiungono altri 60 in affitto, con una produzione annuale complessiva di 1/milione di bottiglie; 8.000 sono quelle mediamente prodotte per il Clos Sainte-Hune , che nasce e cresce su terreno argilloso con presenza di calcio e magnesio oltre ad uno strato calcareo misto ad un substrato di marne particolari.
Versato nel bicchiere ad ampio balloon, si mostra di color oro limpidissimo e brillante. E’ una vera gioia per gli occhi. Al naso, si avvertono immediatamente intensi effluvi di idrocarburi (cherosene) ed a tratti gomma bruciata, entrambi assolutamente caratteristici. A seguire, lasciato ulteriormente ossigenare, emergono sensazioni agrumate di scorza verde di lime e di cedro, su di un finale vagamente fumoso e di cenere.
L’alternanza di queste sensazioni è complessa ed intrigante allo stesso tempo. Attendo un po’, prima di offrirgli il palato, restando in religioso silenzio, quasi mistico, osservandolo nella sua straripante bellezza visiva.
In bocca entra infinitamente carezzevole, leggermente oleoso, teso e con una profondità mai doma. Ritornano al palato chiare sensazioni idrocarburiche, soppiantate in breve da un agrumato distintivo di pompelmo rosa e frutta tropicale matura (ananas). Minerale e leggermente sapido è dominato da una sferzante acidità, affilata come una lama di un rasoio, che fa di questo vino un vero capolavoro. La persistenza è eterna e la certezza è che possa andare avanti nel tempo senza ostacolo alcuno.
Due sono le caratteristiche che sono rimaste impresse nella mia mente di degustatore appassionato: la limpidezza del vino e le sensazioni fumose e di cenere che, inevitabilmente mi hanno riportato ad una magnifica opera d’arte del pittore olandese Jan Vermeer e che per taluni versi possono ricondurre a Sainte Hune.
Il quadro “Ragazza con l’orecchino di perla” databile 1665/1666 nei suoi tratti pittorici, evidenzia un’incredibile limpidezza negli occhi della “modella” ritratta che alcuni identificano come la figlia maggiore del pittore ma che i più, sostengono, fosse una delle serve, precisamente una lavandaia. Una limpidezza, quasi luccicante che gioca con i riflessi degli orecchini di perla su uno sfondo generale oscuro ed è la medesima che ho ritrovato nel vino. Ma non solo, le sensazioni fumose e di cenere riportano, in qualche modo alle atmosfere che si affacciavano sui canali di Delft all’epoca di Vermeer ove si specchiava il cielo variabile dell’Europa settentrionale alle prime luci dell’alba, in cui comparivano poche presenze umane circoscritte a mercanti ed abili lavandaie.
In sintesi, il Clos Saint-Hune di Trimbach è un grandissimo vino che va assaporato lentamente e che fai fatica ad abbandonare dal bicchiere, proiettandoti in un viaggio in cui i sensi vengono stimolati in continuazione, direzionandoti in un oblio catartico rigenerante e purificatore di qualsiasi contaminazione. Il costo non è indifferente, ma di fronte ad un’opera d’arte, almeno per una volta nella vita, questo è un lato francamente trascurabile.