Siamo in Borgogna, la mia terra e precisamente nel cuore della Cote d’Or in un piccolo villaggio di poco più di 400 anime che delimita uno dei territori vinicoli più vocati al mondo.
Qui, il Pinot Noir regna sovrano riuscendo ad esprimersi a livelli altissimi, coniugando struttura ed eleganza che si può condividere non solo nei vini delle aziende più prestigiose.
Il terroir è dato da suoli bruno-calcarei di struttura complessa, poco profondi ma ricchi di microelementi geologici che fanno la fortuna di questi vini.
Vosne Romanèe dà vita a ben otto Grands Crus (Echezeaux/Grands Echezeaux/La Romanèe/Romanèe-Conti/Romanèè Saint-Vivant/Richebourg/La Tache/La Grand Rue) e 14 premiers crus tra i quali spicca il “Les Suchots”.
Pensare che in questo territorio i monaci dell’Abbazia di Saint-Vivant si stabilirono nell’anno 1131 ponendo le basi per la coltivazione degli attuali vini, ci dà la percezione che qui la storia trasudi da tutti i pori e la terra, schiacciata tra i polpastrelli delle dita di una mano ti parla, raccontandoti le meraviglie dei suoi frutti, quei Pinot Noir invidiati ed acclamati da ogni parte del globo.
Tra i fortunati vignaioli di questo magico territorio ci sono i Chacheux piccola realtà famigliare ben inserita in un contesto di storiche famiglie note in tutto il mondo.
Attiva da 4 generazioni, il Domaine Cacheux si trova nel cuore del villaggio di Vosne-Romanèe; per chi ha dimestichezza del luogo, lasciando alle spalle Place de l’Eglise (a pochi metri dal DRC) e percorrendo verso nord la d109, dopo 200 metri, sulla destra è situato il loro Domaine (esattamente in Rue de la Grand’Velle al 28).
La loro storia inizia nel secolo scorso, quando tale Francois Blèe si trasferì a Vosne-Romanèe; suo figlio Charles, dopo l’acquisto di una serie di terreni, ben presto iniziò l’attività di vigneron. Nel 1966 le proprietà vengono divise tra le due figlie. Jacqueline Blèe, una delle sue figlie ed il marito Renè Cacheux, creano il Domaine Renè Cacheux-Blèe. Nel 2004, dopo aver lavorato e fatta esperienza presso altri viticoltori, Gerald Cacheux, figlio di Renè rileva l’attività del padre dando vita all’odierno Domaine Renèe Cacheux et fils.
Li abbiamo visitati una prima volta nel 2006, e nel 2011, in viaggio verso la Champagne ed è proprio in quella occasione che ho acquistato il Vosne Romanèe Premier cru Les Suchots annata 2006- 13,5°vol che ho degustato in un’assolata giornata autunnale. Il vigneto che, secondo la mappatura statistica dei vigneti che producono i Grandi vini di Borgogna, curata dal Comitato d’Agricoltura dell’arrondissement di Beaune, consta di un totale di 13 ettari, 12 are e 12 centiare, confina a sud-ovest con il Grand Cru Richebourg e a sud-est con il Grand Cru Romanèe-St. Vivant, dai quali indirettamente trae beneficio.
Ho cercato di tradurre il termine “suchots”, ma senza successo visto che nessun dizionario riporta tale parola, ma che potrebbe risalire in modo arcaico al termine “surcot”, che anticamente rappresentava un certo tipo di abbigliamento indossato nel Medioevo. Mi riprometto, la prossima volta che tornerò in Borgogna, di domandare a qualche produttore l’etimologia corretta.
Ho stappato la bottiglia alle 10.30 di mattina, scaraffato il vino dolcemente nel decanter per dargli una presa di ossigeno (consiglio datomi da un sommelier di un ristorante tristellato di Torino) e poi riposto nuovamente in bottiglia. Tappo sanissimo della lunghezza di 4,5 cm.
Degustazione iniziata alle ore 13 con temperatura di servizio di 18,5 gradi. Si presenta rosso rubino intenso con riflessi granati sull’unghia. Al naso avverto inizialmente profumi fruttati di prugna e marasca molto matura, ma subito a seguire evidenti matrici terrose, di sottobosco, di funghi e di lievi speziature di quercia. In bocca entra morbido, avvolgente e con un bel tannino; evidente una sottile astringenza che non disturba. Si ripresenta la frutta rossa surmatura, cioccolato e nuances appena accennate di tostatura di caffè. Buona la persistenza aromatica. L’ho abbinato ad hamburger di Angus irlandese. Mangiando, ho avvertito in bocca note balsamiche di mentolo e aghi di pino.
Ho lasciato un po’ di vino nel classico bicchiere borgognone che ho nuovamente degustato a distanza di sei ore: al naso il cioccolato la fa da assoluto padrone e la bocca si è notevolmente ammorbidita. Mi stupisco sempre di fronte a un vino che ha la capacità di evolversi costantemente nel bicchiere, rilasciandoti sensazioni sempre nuove e per fortuna è una prerogativa dei vini di Borgogna.
In sintesi, un vino che ha tenuto nel tempo sviluppando quella terziarietà tipica dei pinot noir; un vino sano, così come la famiglia che lo produce.