Nel mio personale vocabolario, la parola che si ripresenta maggiormente è “tempo”; è strano ma ho un rapporto controverso con il tempo e con la sua concezione. A dire il vero il mio è uno stato perenne di conflittualità che, in particolari situazioni, sfocia anche in una spasmodica bramosia di sovrastarlo, a furia di rincorrerlo. Qualcuno potrebbe pensare, non a torto, che sia attratto e disturbato allo stesso tempo (mi scuso per il gioco di parole), implicando quel concetto di odio/amore per certi versi convenzionale ma neanche poi così astratto ed unico nel suo genere.
Il vocabolario Treccani definisce il tempo come l’intuizione e la rappresentazione della modalità secondo la quale i singoli eventi si susseguono e sono in rapporto l’uno con l’altro, vista di volta in volta come fattore che trascina ineluttabilmente l’evoluzione delle cose o come scansione ciclica e periodica dell’eternità, a seconda che vengano enfatizzate l’irreversibilità e caducità delle vicende umane, o l’eterna ricorrenza degli eventi astronomici; tale intuizione fondamentale è peraltro condizionata da fattori ambientali e psicologici e diversificata storicamente da cultura a cultura.
Nulla da eccepire su tale definizione gergalmente condivisa, anche se sappiamo che accanto al tempo Albert Einstein ha inserito nella sua teoria della relatività il concetto di spazio, andando a complicare la concezione semplicistica che, per uno come me ha nel tempo e nello spazio anche la propria ossessione, con la continua sensazione, spesso concreta, di non riuscire mai a fare tutto quello che si prefigge. Ma non solo. Spesso ci si domanda, quanto tempo ci resta, condizionati dalla errata consapevolezza della linearità del tempo e dalle uniche trasposizioni delle concezioni di passato e futuro. La natura umana ed il cambiamento del proprio aspetto fisico sembrano affermare tale concetto di tempo orizzontale tralasciando quello che potremmo definire il tempo verticale, ovvero il vissuto del presente qui ed ora non considerato nell’altra teoria.
Per certi versi, un po’ confuso, non posso esimermi dall’ascolto di una capolavoro musicale dei Pink Floyd, “Time” datato 1973, traccia numero 4 dell’ottavo album The Dark side of the Moon che in questi versi cela il significato più emblematico del tempo…..
And you run and you run to catch up with the sun, but its sinkin. And racing around to come up behind you again. The sun is the same in the relative way, but youre older. Shorter of breath and one day closer to death….
E tu corri e corri per raggiungere il sole, ma sta tramontando. E sta correndo attorno per spuntarti di nuovo alle spalle. Il sole è lo stesso, relativamente, ma tu sei più vecchio. Col respiro più corto e un giorno più vicino alla morte…..
Non sempre il tempo mi travolge negativamente, ma talvolta ha in serbo qualcosa di positivo in quella che potrei definire l’arte di saper attendere. Da appassionato di vini, so che esistono bottiglie che amano la cantina al punto di essere conservate per lungo tempo in attesa del giusto momento. E’ in quel momento che benedico il tempo passato perché è come mi donasse una giusta ricompensa all’attesa. Come nel caso della degustazione dello Chassagne Montrachet Premier Cru “Les Vergers” annata 2008 di 13,5°vol. del Domaine Marc Morey & fils.
Per chi come me ha avuto il privilegio di visitare la Borgogna (sino ad ora 4 volte) e conosce il piccolo villaggio di Chassagne Montrachet, avrà avuto l’occasione di imbattersi in questo Domaine che si trova nel suo centro e rappresenta una famiglia storica che da almeno 5 generazioni vinifica sul territorio. Negli anni ’50 del secolo passato Marc Morey iniziò a dare lustro al Domaine costruendo la cantina sotto la casa centenaria di famiglia, vinificando ed imbottigliando i suoi pregiati vini. Gli attuali proprietari sono la figlia Marie-Jo e suo marito Bernard Mollard, che possiedono circa 25 ettari di terreni vitati. Ho avuto il piacere di farvi visita nel 2013, accolto dalla figlia e dall’agente del Domaine per una serie di degustazioni di pregevole fattura. In più di un’occasione, scendendo in cantina, ho avuto la tentazione di prenderla e stapparla, ma in cuor mio sapevo che non era il momento opportuno, avrei dovuto aspettare più tempo. Benedico tutte le volte che ho ritratto la mano.
Ma veniamo alla degustazione.
Aperto mezz’ora prima di essere servito. Tappo sano della lunghezza di 5 cm.
Versato nel calice da degustazione appare di color oro zecchino, limpido e senza sbavature.
Lasciato ossigenare nel bicchiere fa emergere, con impeto, iniziali note di burro fuso e cremoso ed a seguire evidenti profumi di lime molto maturo, effluvi leggermente sulfurei e note di quercia. Lasciato ulteriormente a contatto con l’aria, si sviluppano sensazioni olfattive di mentuccia ed erbe della macchia mediterranea.
In bocca dà il meglio di sé con un attacco decisamente carezzevole e di morbida serbevolezza, ma allo stesso tempo irrompe opulenza e grassezza dove il rimandi ad evidenti note burrose è inconfondibile, così come la salivante sapidità che fa da corollario ad un equilibrio gustativo impeccabile su di una profondità minerale ben associata. Ma è nel middle-palate che diventa sublime con una persistenza così presente da aggrapparsi letteralmente a lingua e bocca. Il finale è caratterizzato da un retrogusto elegante di mandorla poco amara.
E’ in questi casi che amo il tempo!!!
L’aver atteso, ha impreziosito la degustazione di un vino nato e cresciuto in una delle zone vinicole più vocate a livello mondiale che ha confermato le belle sensazioni avvertite nella visita di 5 anni fa.
Sant’Agostino, nell’ XI° libro de “Le Confessioni”, analizza il problema del tempo
indicandolo in questo modo “io so che cosa é il tempo , ma quando me lo chiedono non so spiegarlo. Sono sicuro che se avesse degustato questo vino, non avrebbe più avuto dubbi!!