La meccanica quantistica spiega il comportamento della materia nel mondo microscopico. La materia è composta da miliardi di particelle che si muovono in modo non allineato alle leggi della fisica che ben conosciamo, ma assumono dinamiche per certi versi paradossali che hanno dato origine alla teoria dei quanti. La spiegazione di tali dinamiche è talmente complessa d’aver messo in crisi il padre della relatività, tant’è che secondo Einstein, il movimento osservato e studiato è tale da soverchiare la nostra concezione di come la natura funzioni, portando inesorabilmente a conseguenze irragionevoli ed irrazionali.
Uno dei fenomeni più eclatanti e tipicamente quantistico è quello noto come “entanglement” (tradotto intreccio) che caratterizza l’interazione tra le particelle microscopiche di sistemi fisici quantistici. Il concetto, seppur difficile nella sua interpretazione, può essere sintetizzato come segue:
se in uno stato quantistico, assumiamo due valori, in questo caso le particelle A e B che, inizialmente siano interagenti tra loro (quindi intrecciate) e una volta separate, siano poste anche a grandissima distanza una dall’altra, la modifica che dovesse occorrere alla stato quantistico della particella A, avrebbe come conseguenza un immediato effetto similare allo stato quantistico della particella B, determinando un fenomeno che la fisica definisce come “azione fantasma a distanza”.
Non sono un fisico e non mi posso arrogare alcun diritto di poter fornire spiegazioni logiche a questo fenomeno, ma partendo dal fatto che non sia misurabile ad occhio nudo l’effetto a distanza sulla particella B, presumo che debba essere evocata per la sua comprensione la teoria della relatività.
Se a ragion veduta riteniamo la realtà come qualcosa di percepito e misurabile, è lecito pensare che l’entanglement tra due particelle si trasmetta ad una velocità superiore a quella della luce; è strabiliante che due particelle inizialmente intrecciate, se separate, mantengono l’interazione iniziale.
Quando mi sono soffermato a leggere e a documentarmi sul fenomeno dell’entanglement, non ho potuto fare a meno di pensare che, questa sorta di effetto a distanza, lo vivo quotidianamente quando nella mia mente si palesa una terra magica che mi ha intrecciato a sé e che, nonostante lo spazio ci separi in modo ineluttabile, mi trasmetta, alla velocità della luce o forse oltre, continue stimolazioni sensoriali che mi rapiscono letteralmente.
Sto parlando della mia amata Borgogna, terra di elezione vinicola e di due grandi vitigni come lo Chardonnay ed il Pinot Noir, che qui, raggiungono le vette più alte di impareggiabile qualità mondiale.
Parlando di Borgogna e di fisica quantistica, non posso non pensare al film “Mr. Nobody” del 2009 che, traendo spunto dal corollario delle teorie allineate, pone l’accento sugli universi paralleli ed inevitabilmente mi induce a riflettere sul conflitto interno che mi vede vivere in un mondo che spesso non sento mio e che alimenta, al contrario, il costante desiderio di poter vivere il mondo enologico borgognone.
Intriso di nostalgica malinconia, per colmare questa sorta di tristezza e per ravvivare l’intreccio, che sento costantemente come azione fantasma a distanza, sono sceso nella mia amata cantina ed il mio sguardo si è posato su una bottiglia e precisamente il Puligny Montrachet 1°er Cru Les Chalumeaux annata 2012 di 13,0°vol. del Domaine Matrot.
Siamo nel cuore della Borgogna che conta, nell’enclave dei migliori vini bianchi al mondo ed in particolare nelle vigne a corollario del villaggio di Puligny, dove nascono vini dal carattere unico e rigoroso. Un Domaine, quello dei Matrot, storico, che ho avuto il piacere di visitare nell’aprile 2018 e che dal 2000 si è convertito al biologico nel rispetto del terroir, mantenendo una tradizione secolare percorsa nell’arco di ben quattro generazioni. Questo vino, figlio della tradizione, proviene da vigne di oltre 30 anni di età e prima di essere commercializzato affina sui propri lieviti per circa 11 mesi in botti di rovere.
Stappato senza alcun problema, si avverte una leggera riduzione che con un’accurata ossigenazione tende a scomparire del tutto.
Si presenta di color paglierino con leggeri riflessi dorati; è limpido e senza alcuna sbavatura.
Al naso è floreale di fiori bianchi e di una delicatissima lavanda ed allo stesso tempo è agrumato di arancia sanguinella appena tagliata. Lasciato ulteriormente ossigenare, emergono note tipicamente burrose ed a seguire un’impercettibile tostatura di rovere. Sapendolo attendere si possono avvertire tipici sentori di pietra bagnata e di cera d’api.
In bocca entra severo ed immediatamente si avverte il sostegno di una acidità ben marcata e di una mineralità che lo caratterizza con forza. Disarmonico il legame naso/bocca, in quanto spariscono le sensazioni olfattive emerse in precedenza e permangono quelle gustative di burro grezzo e di un retrogusto amaro di nocciola appena tostata.
Uno Chardonnay diretto, ma non semplice, austero, rigoroso e tipicamente territoriale, ben presente a livello di persistenza con le papille che devono impegnarsi a fondo. Articolato e complesso, un Premier Cru che lascia il segno e che si evolve continuamente nel bicchiere rilasciando ulteriori sensazioni salmastre e iodate.
Un vino che non lascia indifferenti e che può solo rafforzare l’entanglement che ho con la mia cara e amata Borgogna.