“Look away from the sea i can take anywhere. Spend a vision with me, a chase with the wind……”
(Guarda lontano dal mare, posso portarti ovunque. Trascorri una visione con me, un inseguimento nel vento…..)
Questo è l’inizio del testo della canzone “Gates of Babylon”, quarta traccia dell’album Long live Rock ‘N’ Roll della band Rainbow uscito il 9 aprile 1978. Quella dei Raimbow può essere definita una lunga storia travagliata, dove il protagonista nel bene e nel male è stato quel personaggio mitico che ha per nome Ritchie Blackmore, chitarrista illuminato, virtuoso e già fautore delle fortune di un’altra storica band, pietra miliare dell’hard rock, ovvero i Deep Purple.
Spesso, a torto, i Raimbow vengono dimenticati quando si citano i “patriarchi” dell’hard rock ed è quasi incomprensibile capirne le ragioni, forse dovute al fatto che, a parte Blackmore, vero padre padrone, ci sia stato nel corso del tempo un’infinta rotazione dei suoi elementi.
Rimane alla storia il sodalizio di Blackmore con il primo cantante del gruppo, quel Ronnie James Dio che, con i Raimbow, raggiunse vertici da autentica star, osannato e stimato da tutti, critica compresa.
Tra i pezzi monumentali di questa band, rimangono alla mente lo sconvolgente “Stargazer”, considerato ancora oggi un pezzo epico dove spiccano l’intro di batteria di Cozy Powell ed a seguire il riff pazzesco di Blackmore e voce ai massimi vertici di Dio; “Gates of Babylon”, esoterico, a tratti orientaleggiante e con un assolo di chitarra da brividi e a parer mio anche “Kill the King”, che nonostante il sound più commerciale convince per la sonorità e per la velocità esecutiva.
“Gates of Babylon” è la mia preferita, forse perché mi inquieta e mi fa star bene allo stesso tempo, forse perché le porte di Babilonia mi hanno sempre affascinato o forse perché ognuno di noi, a livello cerebrale, ha un emisfero celestiale ed uno di dannazione.
A sud di Baghdad sorge la città di Al Hillah sulle rovine dell’antica Babilonia , che raggiunse il suo massimo splendore sotto il regno di Nabuccodonosor II, sei secoli prima di Cristo. Babilonia significava “porta degli Dei” e uno dei suoi simboli più antichi era l’Etemenanki, il classico ziggurat sumero confuso più tardi con il termine “torre di Babele” e con i famosi riferimenti biblici.
Nell’Antico Testamento Babilonia appariva come un luogo di esilio e di peccato l’Etemenanki veniva identificato come il simbolo pagano della confusione delle lingue e a livello iconografico ricordata come una vera e propria città degli inferi. In sintesi la Babilonia esoterica era la città di Lucifero, il più bello e sensuale degli angeli che si contrapponeva alla Gerusalemme celeste,
Una sorta di città proibita e come tutte le cose proibite affascinante, ma anche senza ritorno……e lo stesso fascino, la stessa diabolica tentazione di oltrepassare le porte di Babilonia l’ho provata degustando un vino particolare, il Vouvray “Les Enfers (…gli inferi) annata 2015 di Mathieu Cosme di 13,0° vol.. Siamo nella Loira occidentale dove il vitigno Chenin Blanc alberga e trova la sua naturale collocazione enologica; Mathieu Cosme è un vignaiolo dal passato rugbystico, un omone dalle sembianze di Caronte, una sorta di traghettatore verso i suoi lussureggianti vini. Conduzione biodinamica, lavoro delle vigne con il cavallo, ceppi centenari e un’età media che va da 40 a 60 anni a seconda delle parcelle. Il “Les Enfers” è posto su terreno argillo-calcare, lavorato con agricoltura biologica e biodinamica seguendo le fasi lunari e senza utilizzo di sostanze chimiche. Vendemmia manuale e in cantina affinamento di 12 mesi in tonneau da 400 litri e utilizzo di lieviti indigeni in fermentazione. Ma veniamo alle note di degustazione.
Stappato 30 minuti prima di essere servito, tappo compatto di 4,6 cm. La vista appaga già l’occhio con un colore oro zecchino limpido e brillante senza sbavature, ma è al naso che risulta immediatamente esplosivo e minerale allo stesso tempo con un mix di frutta gialla matura, quali la pesca, l’ananas, il cedro ed il pompelmo, intervallati da sentori di fiori di acacia e fieno. Lasciato ossigenare e roteato a dovere nel bicchiere, emergono lievi accenni sulfurei e note di stecca di vaniglia del Madagascar. In bocca entra con impeto, è suadente, fresco ma allo stesso tempo carezzevole, in parte salivante e dotato di spiccata acidità. Mineralità evidente, sapido nel middle-palate tanto da impegnare le papille gustative in un viaggio nel gusto senza fine. La corrispondenza naso/bocca è notevole, è persistente, ti invita alla beva e hai l’inquieta tentazione di non fermarti mai e di continuare, come rapito da una forza sovrannaturale. Abbinato a spaghetti gamberi e zucchine e salmone al forno. Il “Les Enfers” è praticamente diabolico e riuscire a non finire la bottiglia diventa impresa assai ardua e ti attrae in modo incalzante come lo erano nell’antichità le porte di Babilonia e allora……..
…. The devil is me and i’m holding the key , to the gates of sweet hell Babylon!!!!
(….il diavolo sono io e tengo la chiave per le porte del dolce inferno Babilonia!!)