A cavallo dei secoli XVII° e XVIII° si diffuse in più parti quel fenomeno che va sotto il nome di pirateria; le nazioni che diedero i natali ai pirati più famosi furono indubbiamente l’Inghilterra e la Francia. Uno dei pirati francesi più celebrati dell’epoca fu Olivier Levasseur, detto “La Buse” (la Poiana), nativo di Calais (1688/1690), figlio di una facoltosa famiglia borghese, divenne in gioventù ufficiale di marina e nel 1708, durante la guerra di successione spagnola, ricevette incarico dal re di Francia Luigi XIV diventando un corsaro al servizio della Corona francese. Fu in questo periodo di navigazione quasi esclusivamente nel mar dei Caraibi, che venne sfregiato in volto da una sciabolata che lo accecò in un occhio e la sua “benda nera” divenne subito leggenda per tutti i pirati.

Dopo la guerra, il passo fu breve e da corsaro legittimato dal re, si trasformò in un vero e proprio pirata, un fuorilegge dedito a razzie e ad accumuli di tesori.

Insieme a John Taylor, celebre pirata inglese, riuscirono a catturare nel 1721 la “Nossa Senhora do Cabo”, nave portoghese carica di uno dei più grandi tesori mai trasportati via nave. Spartito il bottino, si stabilì nell’isola di Reunion (oceano indiano), dove forse nascose il suo tesoro, per poterlo utilizzare in un secondo momento per ottenere l’amnistia per pirati ex-corsari, ma senza successo. Continuò a pirateggiare sino al 1730, anno in cui fu catturato e condannato finendo impiccato alle 5 del pomeriggio del 7 luglio di quello stesso anno. 

Il pirata, in procinto di essere appeso per il collo, fece in tempo a lanciare un crittogramma sulla folla, gridando che il tesoro sarebbe appartenuto alla persona in grado di decifrare il suo messaggio segreto. Non fu mai trovato……

Mi piace pensare, forse fantasticando, che in quell’assolato pomeriggio, tra la numerosa folla, ci fosse tale Monsieur Duhart, pirata, forse compagno di ventura  del Levasseur che non volle perdersi gli ultimi momenti di un uomo leggendario. 

Probabilmente, post morte del suo comandante, il Duhart continuò a pirateggiare, ma quello che storicamente è certo è che nel 1750 si ritirò nel Medoc, stabilendosi a Pauillac e costruendo quella che venne definita “casa dei pirati” nei pressi del porto, distrutta negli anni cinquanta del secolo scorso. Monsieur Duhart, oltre allo “chateau”, possedeva una tenuta che comprendeva anche un vigneto originariamente noto come Chateau Milon, (piccola frazione che divideva il vigneto Duhart-Milon da Chateau Lafite), in origine di proprietà dei Lafite che lo utilizzavano per produrre il loro “second vin”e che in seguito venne venduto a più riprese fino a giungere nelle mani dell’ex pirata e da qui prese il nome di Chateau Duhart-Milon. In seguito la proprietà passò in primis alla famiglia Casteja che l’acquistò dagli eredi del pirata per poi passare a diversi proprietari sino a giungere agli attuali, ovvero la famiglia Rotschild. 

Il vino che si produce ancora oggi è tipicamente di taglio bordolese, Cabernet Sauvignon (67%), Merlot (33%); a volte viene aggiunta una piccola quantità di petit Verdot.

I vigneti di Duhart-Milon si trovano a nord di Pauillac, lato occidentale di Chateau Lafite, sul fianco della collina di _Milon, ponendo il vigneto vicino ai rinomati Chateau Mouton Rotschild e Chateau Clerc Milon. Il terroir è una combinazione di ghiaia, sabbia e calcare. Vendemmia manuale, vinificazione in tini di acciaio inox, fermentazione malolattica in vasca, invecchiamento per il 50% in botti di rovere francese nuove per 14/16 mesi a seconda dell’annata. Dunque, un vino che trasuda di storia come pochi nel suo genere. 

Ma veniamo alla degustazione.


Stappato due ore prima di essere degustato, tappo sano e compatto di 5 cm.; scaraffato nell’ampio balloon, si mostra di colore rosso rubino carico, uniforme ed impenetrabile.

Al naso iniziali sentori di piccoli frutti rossi e neri, su tutti prugna e marasca sotto spirito, vengono quasi immediatamente sopraffatti da profumi di peperone verde, foglia di pomodoro e baccello di piselli ed a seguire, matrici terrose, tabacco, cacao amaro e caffè torrefatto.

In bocca, nonostante 17 anni sulle spalle entra carezzevole e morbido al palato con i tannini ancora ben presenti. Un po’ scettico all’apertura per via dell’annata, la 2002, infausta nel paese italico, ma non così in quello d’oltralpe. La corrispondenza naso/bocca è notevole ed avverto sul finale un retrogusto vagamente boisè e speziato. Di medio corpo, direi per taluni versi anche delicato, ma soprattutto raffinato, mi lascia piacevolmente sorpreso. Ancora attraversato da fresca acidità , ben equilibrato, forse manca un po’ di profondità ma vi assicuro che è un gran bel bere.

Degustandolo e guardando attentamente la bellissima etichetta, a tratti, ho immaginato Monsieur Duhart, al tramonto, intriso di una nostalgica malinconia ed assiso sulla piccola imbarcazione attraccata innanzi allo Chateau, a sorseggiare delicatamente il suo Duhart-Milon, rinverdendo i fasti di un passato, carico di scorribande nei mari del Sud.