Se avessi per le mani la macchina del tempo, non avrei dubbi, tornerei indietro nel medioevo e precisamente nel XIV° secolo, in parte a me caro per le sorti dei Templari, dei quali sono da sempre uno strenuo appassionato, dall’altra per poter conoscere le grandi famiglie che diedero vita ai primi Comuni e alle fondamenta della storia e della cultura italiana. Una di queste è l’antica famiglia senese degli Ugurgieri della Berardenga con il suo capostipite Winigisio I di Ranghinerio, Conte di Siena e Roselle, che nell’867 fondò l’Abbazia della Berardenga e che forse era nipote di quel Winigisio che calò in Italia al seguito di Carlomagno e fu nel 799 duca di Spoleto.

Uno dei discendenti storicamente più famosi è tale Ciampolo di Meo degli Ugurgieri, nato a Siena tra il 1290 e il 1295, consorte di Minuccia da Castellano, ricordato per essere l’autore del più antico volgarizzamento dell’Eneide di Virgilio attraverso un attento e scrupoloso lavoro, il più possibile fedele al testo latino, con l’aggiunta di minuziose note storiche e mitologiche. Reperti storici inducono a pensare che il Ciampolo conoscesse “L’Inferno” e il “Purgatorio” della Commedia di Dante tant’è che è stato ritrovato un commento all’opera dantesca, inizialmente attribuito al fratello Cecco, ma che in anni recenti si è voluto accreditare al Ciampolo, facendo coincidere i due fratelli in un unico personaggio.

Le traduzioni e gli adattamenti in lingua volgare italiana dei testi latini assunsero un peso culturale rilevante ed un successo eterogeneo di pubblico di varia estrazione sociale e culturale, a dispetto del fatto che gli stessi non serbavano un grande valore letterario in quanto copie tradotte di grandi opere. 

Può darsi che il Ciampolo, per trovare la giusta concentrazione o addirittura per cercare riposo dopo le fatiche letterarie, si concedesse il lusso di trasferirsi fuori dalle mura senesi verso la campagna circostante, magari a una ventina di chilometri dal centro toscano, verso la località di Montevertine, piccolo borgo ora annesso a Radda in Chianti. Qui oltre a trovare la pace dell’ambiente bucolico, magari in compagnia di qualche bella pulzella, di sicuro si sarebbe sollazzato con libagioni di Sangioveto, peregrinando attraverso i filari dei meravigliosi vigneti chiantigiani.

Mi piace pensare che l’attuale società Agricola Montevertine abbia dato il nome al suo vino, per così dire base, pensando al di Meo degli Ugurgieri.

Il Pian del Ciampolo, potrebbe essere un luogo dove il letterato senese fosse solito recarsi per cercare quiete, magari avendo tra le mani una bottiglia di vino.

La fantasia galoppa, ma ricapultato dalla macchina del tempo alla nostra realtà, mi permette di degustare questo Pian del Ciampolo 2017- 13,5° vol. che ho voluto abbinare a una tartare di Chianina (per rimanere in Toscana) insaporita con olio al tartufo. 


Montevertine è un’azienda conosciuta soprattutto per il vino di punta “Le PergoleTorte” ma dagli anni 70, grazie a Sergio Manetti è diventata autentica caposaldo del sangiovese chiantigiano. Il vino in questione è un Sangioveto quasi in purezza con una piccola aggiunta di Canaiolo e Colorino con invecchiamento di 12 mesi in botti di rovere di Slavonia e tre mesi in bottiglia. Ma veniamo alla degustazione:

Etichetta semplice, ma sobria allo stesso tempo, di quelle classiche da non cambiare mai. Colore rubino leggermente scarico, ma limpido e brillante; il naso non è di quelli memorabili, ma decisamente stuzzicante, con piccoli frutti rossi, ciliegia, lampone e fragolina di bosco, a seguire nuances floreali di viola decisamente ammaliante e sul finale accenni di liquirizia. 

In bocca entra piacevolmente, è ampio e diretto e con una freschezza e una bevibilità stupefacente. Acidità perfetta, quasi sferzante e tannini presenti ma setosi, L’immediatezza e la piacevolezza di beva sono suoi punti di forza ma guai a pensare che sia un vino banale. Non ultimo il rapporto qualità/prezzo interessantissimo.

Questo vino che definirei d’overture della gamma dei vini di Montevertine, potrebbe rappresentare il vino che ogni toscano vorrebbe sulla propria tavola; se si è legati alla tradizione, se si cerca un evergreen al di fuori delle tendenze modaiole dei Supertuscan, allora questo è il vino ideale, il vino che potrebbe rappresentare al meglio la storicità e le peculiarità del Sangiovese Chiantigiano. Forse Ciampolo di Meo degli Ugurgieri l’aveva capito trovandosi di fronte a qualcosa di speciale e che bramava, ovvero quella classicità contrapposta alla volgarizzazione che operava usualmente nella vita di letterario.