“Whit a little help from My Friends” è una canzone scritta da John Lennon e Paul McCartney appositamente per il batterista dei Fab Four Ringo Starr ed è inserita nell’album dei Beatles del 1967 “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, album che ha rivoluzionato la musica mondiale ed è risultata alla posizione 304 della classifica delle 500 migliori canzoni di tutti i tempi, secondo l’autorevole rivista Rolling Stone Magazine.
Lennon e McCartney scrissero appositamente questa ballata, per dare la possibilità a Starr di cantare una canzone da solista sul disco in uscita, come da tradizione e secondo i mitici baronetti questa è la miglior canzone scritta per lui.
In origine, il testo presentava la strofa "Would you stand up and throw tomatoes at me? (ti alzeresti e mi tireresti pomodori addosso?) ma Ringo Starr si rifiutò di cantarla, perchè non voleva che i fans fossero involontariamente istigati nel tirargli addosso i pomodori durante le esibizioni live, episodio realmente accaduto a George Harrison in un concerto americano per aver dichiarato di amare le caramelle di gelatina Jelly Baby.
Di questa canzone sono state fatte alcune cover, ma la migliore è senza dubbio quella dell’indimenticato Joe Cocker, in una versione totalmente soul con un’introduzione di hammond e con la presenza nell’album originale della chitarra di quel genio di Jimmy Page dei Led Zeppelin. Il brano da leggera “marcettina” beatlesiana si trasforma in qualcosa di epico; ma ancora più travolgente è la performance di Cocker il 17 agosto 1969, quando il bluesman sale sul palco della tre giorni Peace & Love di Woodstock, dando vita ad una straordinaria interpretazione, sintesi di una piacevole sofferenza vocale, in cui il cantante non si risparmia mai, tanto che “l’aiuto degli amici” si fa sempre più crescente al punto di percorrere una sorta di viaggio redentivo, in cui il cantante passa dall’inferno al paradiso, in una metafora della sua vita in altalena tra il male (problemi di alcool e droga) e il bene (la carriera illuminante). Nel video originale (che consiglio di vedere), al termine della performance, il ventiquattrenne Cocker è visibilmente affaticato; avrei pagato oro per essere presente.
A mio parere questa interpretazione oscura per una volta la versione originale, tanto è vero che lo stesso McCartney, il 22 dicembre 2014 giorno della morte di Joe Cocker disse:”E’ stato semplicemente strabiliante, ha trasformato completamente la canzone in un inno soul e gli sono stato grato per averlo fatto” .
https://www.youtube.com/watch?v=3s-dSoDptVc (link per il video)
Sono convinto che anche nel mondo vinicolo ci siano uomini ispirati che sanno dare un’interpretazione unica del territorio, dando vita a performance enologiche che si distinguono per eccellenza; uno di questi è Gerard Boulay, che come il bluesman di Sheffield riesce sempre a trasmettere una grande anima nei suoi vini, quasi in un’esaltazione spirituale dove il legame tra natura (il divino) e l’uomo ne esce miracolosamente indissolubile. Io l’ho conosciuto e dopo una stretta di mano che pareva carta vetrata, ho letto nei suoi occhi la fatica e la sofferenza della quotidianità lavorativa sui difficili pendii dei Monts Damnes, che impediscono le lavorazioni meccaniche; è il vigneto principe di Gerard, caratterizzato da calcare gessoso su suolo Kimmeridgiano e marne. Vendemmia manuale, fermentazione e in seguito affinamento in vecchie botti sui propri lieviti per 12 mesi. Zero solforosa aggiunta e regime biologico da parecchi anni.
Il Sancerre Monts Damnes 2016 di 13,0°vol. si presenta alla vista di colore paglierino con leggerissime venature verdoline sull’unghia,
Al naso avverto in sequenza mela granny, lime, frutti tropicali (passion fruit), sentori agrumati, lieve accenno di pera Williams e sul finale una nota salina di brezza marina che tende a pizzicare leggermente le cavità nasali.
Lasciato ulteriormente nel bicchiere emergono sentori di fieno, pietrisco ed una sensualissima nota balsamica.
In bocca ti entra la vera anima del Sancerre, leggermente oleoso, sapido, con una acidità vigorosa e con un concentrato di energia che risveglia le papille gustative e la bocca ne diventa ampia e la persistenza è davvero ben presente, con interessanti ritorni minerali, tanto da lasciarmi piacevolmente ammaliato ed un sorso tira l’altro in una sequenza che pare infinita..
Mentre degustavo non ho fatto a meno di accompagnare il sorso alla musicalità della magistrale interpretazione di Woodstock ed il sacro si è unito al profano lasciandomi sospeso per tutta la durata in una sorta di oblio catartico, dove l’anima (il soul) è riuscita ad uscire dal corpo, in una sorta di divinazione temporanea, Anche questo è un miracolo diVino.