Il 12 settembre 1940, quattro giovani francesi, Marcel Ravidat, Jacques Marsal , Georges Agnel e Simon Coencas scoprirono le Grotte di Lascaux.

Sono un complesso di caverne che sorgono nei pressi del villaggio di Montignac, nella Francia sud-occidentale e sono considerate un vero e proprio capolavoro dell’arte rupestre paleolitica, tanto d’essere state nominate “La Cappella _Sistina del Paleolitico”.

Dopo la loro scoperta, vennero aperte al pubblico nel 1946, poi, causa il lento danneggiamento delle pitture parietali dovuto all’emissione di anidride carbonica dei visitatori, furono chiuse nel 1963. Come per le opere d’arte contemporanea, i dipinti furono restaurati e riportati allo stato originale. A fasi alterne furono riaperte e chiuse, finchè nel 2008, a seguito dell’aggravarsi della situazione, furono inibite per sempre al pubblico. Le grotte, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco sono state in parte riprodotte e possono essere ammirate nel parco Le Thot, a pochi chilometri da Montignac.

Le incisioni rupestri hanno come tema ricorrente le figure di animali inseriti in un contesto di caccia e questI dipinti, a detta degli esperti facevano parte di riti religiosi propiziatori e di demercazione dei territori. 

Queste grotte rappresentavano un accesso a mondi ultraterreni e coloro che riuscivano a mantenere aperto un contatto, avendo anche l’abilità nel disegnare, erano gli sciamani; lo sciamano era spiritualmente a stretto contatto con la natura e viveva sulla continuità e permeabilità tra i mondi, umano e animale, terreno e ultraterreno. In sintesi, gli sciamani erano dotati di un forte potere psichico e di una capacità di discernimento che permetteva a loro d’essere in ogni momento consapevoli di cosa dovessero fare e quale fosse la direzione da prendere.

Una delle rappresentazioni più celebri delle Grotte di Lascaux, risalente a c.ca 16.000 anni fa, è il cavallo colpito dalle frecce, il cui profilo è disegnato a carboncino, il mantello in ocra gialla, mentre il bianco del ventre è ricavato dal colore chiaro della parete della grotta, senza applicazione di colore, con una tecnica detta della “figura risparmiata”.


Questa famosa incisione rupestre è posta sull’etichetta delle bottiglie di Blanc Fumè de Poully "Pur Sang" del compianto Didier Dagueneau, che mi piace definire lo sciamano del Sauvignon. Purtroppo è scomparso prematuramente a soli 52 anni, nel 2008, in un incidente aereo, lui che era un vero e proprio personaggio, un uomo di vigna e di vino, lontano dai riflettori e da tutte le operazioni di marketing che negli ultimi anni stanno standardizzando questo mondo.

Dagueneau ha avuto il merito di esprimere al meglio la purezza dei suoi Sauvignon donandoci dei veri e propri capolavori di eleganza di frutto, di sapidità e mineralità, assecondando nella maniera più naturale possibile, in una commistione sciamanica, il terroir kimmeridgiano del giurassico nel comprensorio tra Saint-Andelain e Pouilly sur Loire. Non so se si debba parlare di un prima e un dopo Sauvignon, anche se i figli di Didier, Louis Benjamin e Charlotte, grazie a quanto appreso dal padre, stanno portando avanti la sua eredità enologica, ma di certo ha lasciato un segno indelebile al pari dei geni del passato.

Accostarmi al Pur Sang annata 2005 di 12,5° vol. è stata per me una sorta di ammirazione e venerazione allo stesso tempo. 


Stappato con cavatappi a lamella e versato nell’ampio bicchiere stile Burgundy, si presenta a livello cromatico di un bel colore dorato uniforme,  limpido e brillante. 

Lasciato ossigenare a dovere e servito ad una temperatura di 12° gradi rilascia immediate sensazioni citrine ed a seguire ananas maturo, frutta tropicale e sul finale accenni di pera Williams. Quello che mi sorprende e di non aver sentito il classico e decantato sentore di “pipì de chat”, inconfondibile nella maggior parte dei Sauvignon della Loira, né tantomeno quelle sensazioni erbacee che spesso e sovente si avvertono nelle degustazioni.

In bocca è magistrale, nel senso che entra inizialmente in modo molto carezzevole, ma poco dopo trasforma tridimensionalmente la cavità orale tanta è l’ampiezza, la complessità e la struttura che ne deriva. Incredibile è la netta sensazione di pulizia ed i ritorni fruttati di lime e di ananas con un impercettibile retrogusto sul finale di babà al rum; mineralità cesellata e freschezza in un vino che ha già sulle spalle 15 anni di vita ma che pare ne possa avere altrettanti davanti a sé. Un vino che, se riprendiamo l’etichetta, è un autentico cavallo di razza.

Posso affermare con certezza che , oltre alla soddisfazione di aver degustato un capolavoro uscito dalla sapienti mani e dalla spiritualità rispettosa della natura di un vero e proprio sciamano del vino, è quella di aver compreso che il vino di Dagueneau  va oltre il concetto di Sauvignon e in questo caso si trasforma in Pur Sang (sangue puro) in una sorta di trade-union tra umano e divino.