Sappiamo tutti chi fosse Salvator Dalì, esimio  pittore e virtuoso disegnatore, ma celebre anche per le immagini bizzarre delle sue opere surrealiste ed Il suo talento artistico trovò espressione in svariati ambiti, tra cui il cinema, la scultura e la fotografia portandolo a collaborare con artisti di ogni settore.

Celebri anche le sue muse, da Amanda Lear dalla quale fu affascinato dal suo fisico magro e dal suo essere in controtendenza con le colleghe ben più prosperose, a Gala, la moglie, per la  quale coltivava un'ossessione tale fino a rappresentarla in molte delle sue opere. Nella sua autobiografia, “La mia vita segreta”, sottolinea infatti: “Era destinata ad essere la mia Gradiva, “colei che avanza”, la mia Vittoria, la mia donna”.

Ma non tutti sanno che Dalì, negli ultimi anni della sua esistenza, pubblicò due guide; una inerente al cibo, dove pubblicò un buon numero di ricette che con la moglie erano soliti preparare in occasione delle innumerevoli cene con gli amici più intimi ed una sul vino.

“ Vins de Gala” venne data alla luce nel 1978 e le poche copie pubblicate sono oggi in possesso dei più agguerriti collezionisti. La guida è divisa in due parti: la prima è dedicata ai Dieci Vini del Divino, dove vengono descritte le principali regioni vitivinicole del mondo; mentre la seconda sviluppa l’ordinamento rivoluzionario del vino di Dalí per esperienza emotiva. Abbiamo così, ad esempio, i “Vini della frivolezza”, i “Vini della sensualità”, i  “Vini della generosità”, i “Vini dell’impossibile”….

Salvator Dalì e la sua guida sul Vino

Questo suo pensiero è riportato sul retro-etichetta del Pinot Nero di Marco Buvoli e per chi lo conosce o conosce il suo vino non è così difficile pensare ad un assioma ben azzeccato.

La sua piccola azienda, anzi come è solito definirla lui, Opificio Creativo, si trova a Gambugliano Vicentino in un territorio antichissimo, già abitato in epoca pre-romanica probabilmente dagli Euganei e che lo stesso venne in seguito insediato dai romani non vi è dubbio e a ricordarcelo è il toponimo di una via “Pocastro”, chiara volgarizzazione dal latino “post castrum” indicante un sito alle spalle di un accampamento militare.

Zona votata ampelograficamente, per i numerosi vitigni autoctoni, alcuni di essi persi nel tempo e in particolare il riferimento alla Gambugliana della Doana, già a fine 1800 indicata come l’attuale corrispondente delle Negrara e della Corbinona. 

Marco Buvoli, che in questo borgo ci vive e che nella sua “officina” da vita a quelli che potremmo definire vin de garage, anche per la limitata produzione, è un sognatore, una sorta di esploratore del vino  o forse un autentico visionario, che, innamorato follemente del Pinot Noir borgognone, ha voluto impiantare le barbatelle francesi su suolo vulcanico vicentino e anno dopo anno tende alla perfezione stilistica dei suoi vini o addirittura ad eguagliare la fama di quelli più famosi d’oltralpe. 

Conduzione biodinamica, fermentazioni in legno con lieviti indigeni e lunghe macerazioni; pigiatura soffice, affinamento in barrique di terzo passaggio e cura maniacale dalla vigna all’opificio. Degustando il suo PINOT NERO ANNATA 2011 di 13,0° vol, ho cercato di capire la filosofia del Buvoli, che nonostante sappia di essere fuori zona a livello di terroir e di storicità e forse anche fuori dal tempo, sia alla ricerca di una magia che gli permetta di dar vita ad un Pinot Nero o Noir che non tema confronti o forse è solo il suo smisurato amore per i Pinot Noir della Cote d’Or ad ammaliarlo al tal punto di volerli, con tutte le sue forze replicare, sul suolo italico.


Ma veniamo alla degustazione.

Stappato tre ore prima di essere servito, tappo sano e ben compatto di 4,6 cm. Versato con delicatezza nell'ampio bicchiere stile Borgogna si presenta splendidamente alla vista con la classica tonalità del Pinot, ovvero rosso rubino leggermente scarico con velaturE aranciate sull'unghia.

Il naso è piacevolmente di frutta rossa delicata, ribes, fragolina selvatica, ciliegia appena matura ed accenni di lampone. Lasciato ulteriormente ossigenare nel bicchiere emergono lievi speziature, cuoio e tostature dolci di caffè.

In bocca è semplicemente morbidissimo ed estremamente carezzevole tanto che in un primo momento scivola al palato senza quasi accorgertene, ma ben presto si va riempiendo di sensazioni che si amplificano nella cavità orale. E' sorretto da una buona acidità, è minerale e denota al palato una sottile astringenza davvero elegante. C'è un bel rimandi di frutta in una buona corrispondenza col le sensazioni olfattive; è armonico, profondo e lascia una bella pulizia in bocca e nel contempo è dotato di lunga persistenza e sul finale rilascia un retrogusto appena accennato di caramella al rabarbaro. 

Questo Pinot Nero mi ha meravigliato. A parer mio uno dei migliori vini italiani relativamente al suo vitigno; penso di non dire una bestemmia se in una degustazione alla cieca, avrei potuto confonderlo con un Pinot Noir Borgognone. 

Non so se il Buvoli sia alla ricerca del suo personalissimo Santo Graal o della Pietra Filosofale, ma per quanto mi riguarda ha ottenuto quello che voleva, ovvero la mia approvazione su un vino all'altezza delle aspettative.