Oggigiorno il vino riveste un’importanza planetaria, non solo sotto un mero aspetto economico ma senza dubbio la sua qualità socio-culturale è riconosciuta ed in continua evoluzione e se vogliamo parafrasare, in costante affinamento.

Gran parte di queste peculiarità sono da attribuire al lento ma costante lavoro dei monaci e del clero che già in epoca medioevale gettarono le basi per la salvaguardia e lo sviluppo della vite, generando  vigneti che ancora oggi producono veri e propri nettari. Possiamo confermare con certezza che costoro furono i veri “padri della vigna”, per dirla in latino i patres vinearum e che se non ci fossero stati, probabilmente oggi sulle nostre tavole berremmo solo acqua o qualche bibita colorata. 

Inevitabile pensare alla Francia e a quanto di importante i monaci fecero nella mia amata Borgogna, forse l’esempio più fulgido che si possa portare in evidenza, ma in Italia non furono da meno.

Ai Cavalieri di Malta si devono il Bardolino, il Soave e  il Valpolicella; ai benedettini il Cirò, il Freisa, e il Greco di Tufo; ai monaci scalzi il vino dei colli Euganei, ai gesuiti il Frascati e il Lacrima-Christi; ai certosini il Capri; ai cistercensi il Gattinara e lo Spanna; ai miei cari templari il Locorotondo.

Rimanendo in un periodo contemporaneo, come non portare ad esempio la splendida opera di alcune figure ecclesiastiche, oggi di riferimento nel panorama ampelografico italiano. 

Mi riferisco, in primis, a  don Giacomo Cauda, Parroco delle campagne piemontesi in quel di Castagnole Monferrato definito da molti come lo “scout del Ruchè, il primo a credere alle sue potenzialità, a vinificarlo in purezza e a venderlo in bottiglia, tanto che prima che ricevesse ufficialmente la Doc era conosciuto come “il Ruchè del Parroco”. Un uomo mite e laborioso che, nelle sue memorie chiedeva perdono a Dio per aver trascurato il suo ministero di prete dedicandosi anima e corpo alla vigna. Benedetto il Signore che ce l’ha mandato…..

Oppure come non ricordare don Giuseppe Cogno, classe 1923, ex Parroco della parrocchia dei SS. Pietro e Paolo a Neive nel Cuneese, autentico langarolo, appassionato di vino e per gli anni che furono visionario e che nel 1973 fondò la “Cantina del Parroco di Neive” contribuendo a far conoscere il Barbaresco nel mondo….

Ci sono molti produttori che hanno dedicato etichette dei loro migliori vini a ricordo o a suffragio di monaci od ecclesiasti che hanno speso la loro vita al servizio della vite, uno di questi è Vittorio Mattioli titolare dell’azienda vinicola Collecapretta posta sulle colline non lontane da Spoleto che produce un vino naturale emblematico, che porta il nome di Terre dei Preti.

Quando vi ho fatto visita non ho approfondito l’argomento, ma presumo che sia un omaggio ad un vigneto che anticamente potesse essere di proprietà del clero o addirittura di un parroco di campagna e che già ai tempi elargisse grappoli miracolosi. 

Proprio per questo sono sceso nella mia umile cantina e ho diretto lo sguardo al Trebbiano Spoletino “Terre dei preti” annata 2014 di 12, 0°.


Stappato alcune ore prima di essere servito alla temperatura di 14 gradi circa, tappo non in perfette condizioni (ho dovuto chiedere aiuto al cavatappi a lamelle), si presenta di color ambra antica con torbide velature. La vista è già qualcosa di impagabile. 

Al naso è un’immediata esplosione di sensazioni fruttate di pesca percoca, maracuja e mango; lasciato ossigenare e roteato più volte nel bicchiere emergono alla distanza e in sequenza resina di pino e smalto.

In bocca è un vino semplicemente spettacolare!! Entra carezzevole, quasi in punta di piedi con una sottilissima oleosità ma è al palato che manifesta la sua potenza gustativa inondandoti delle sensazioni agrumate già avvertite al naso e sorretto da un’acidità perfetta con una sensazione di freschezza che stuzzica le papille gustative su di un finale sapido e minerale, che amplificano un’armonia ed un equilibrio fuori dal comune. 

Un vino straordinario, a mio parere il miglior macerato (non mi piace la definizione di orange wine) italiano in circolazione. 

E’ un vino emozionante ed è quello che vorrei sentire ogni volta che stappo una bottiglia. 

La macerazione delle bucce per 10 giorni definita in Umbria tecnica del Ribollito è il tocco magico del Mattioli che, oltre a potersi fregiare del titolo di vero vignaiolo naturale, ha saputo creare un vino che ti fa conciliare col mondo…..e in questo momento ne avevo proprio bisogno.