… Andò a servire il Cavalier d'Arpino, da cui fu applicato un dipingere fiori, e frutti è bene contrafatti…. (GP Bellori, 1672)
Da sempre innamorato dell’arte pittorica, ho in quel Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio il mio punto di riferimento. Affascinato dal suo realismo e ancor più dalla luce delle sue opere, che in qualche modo fanno da contraltare alle tenebre dei fondali dei suoi quadri, in un misto di aspirazione salvifica e di dannazione, che a più riprese hanno caratterizzato tutta la sua vita di genio e sregolatezza.
Uno dei suoi dipinti più famosi, eseguiti in età giovanile nella sua esperienza romana, apprendista nella bottega del Cavalier d’Arpino, va sotto il nome di Ragazzo con canestro di frutta, un’opera datata 1593; tela che venne confiscata al mastro di bottega dopo l’incarcerazione seguita all’accusa di possesso illegale di alcuni archibugi. Il Cavalier d’Arpino, per poter essere scarcerato fu costretto a consegnare l’opera alla Camera Apostolica, dove il Papa di allora, Paolo V, ne fece dono al nipote Scipione Borghese, mandante dell’arresto, probabilmente per potersene impadronire. Da allora è esposta alla Galleria Borghese.
Il dipinto è considerato da tutta la critica uno delle opere più importanti del Caravaggio in età giovanile, in una sorta di fusione tra la tradizione giorgionesca delle mezze figure con quella della natura morta tipica del cinquecento lombardo.
Da non sottovalutare la figura del ragazzo, con parte della candida camicia abbassata su di una spalla, che quasi si rivolge all’osservatore dell’opera in una posa sensuale ed ambigua allo stesso tempo. Il Caravaggio era solito raffigurare “modelli presi dalla strada”, spesso di dubbia moralità. Il cesto, colmo di frutta e probabilmente pesante, visto le fasce muscolari ben delineate del ragazzo che ne sorreggono il peso è decisamente accattivante e ben delineato. Si ha quasi la tentazione di allungare la mano per cogliere un po’ d’uva o una mela per cibarsene, tanto è il realismo del contenuto.
Forse, per la prima volta, mai come il Caravaggio riesce a plasmare su tela una natura morta, non tanto a livello estetico, ma producendo un effetto di realismo mai concepito sino ad allora.
La stessa naturalità, lo stesso realismo di questa frutta caravaggesca l’ho assaporata degustando il PINOT BLANC RESERVE 2017- DI MAXIMIN GRUNHAUS (Von Schubert) di 12,5° vol. stappato in una giornata assolata, tarda primaverile. Vino acquistato direttamente in azienda nel 2019, nel viaggio in Mosella e Nahe insieme al grande amico William. Azienda storica nella Mosella che possiede vigneti quasi completamente vitati a Riesling su pendici ripidissime e paesaggisticamente e visivamente da potersi definire un vero e proprio incanto. Visita e soprattutto degustazione al top, a volte non semplicissime. In mezzo ad un mare di Riesling, spunta questa piccola produzione di Pinot Blanc, vera chicca messaci a disposizione e noi, gentilmente ringraziamo.
Versato nell’apposito bicchiere di degustazione si presenta color giallo paglierino limpido ed uniforme; al naso emergono nitidi sentori fruttati di pera, albicocca, banana e mela e la mente va ai pomi dell’opera caravaggesca e ancora di più, quando lo porto dolcemente alla bocca, dove entrando quasi in punta di piedi sprigiona i rimandi fruttati riempiendone la cavità orale in un tripudio sensoriale stimolante ed appagante allo stesso tempo.
Acidità da manuale che ben si amalgama in una mineralità spiccata su di un finale persistente e cremoso allo stesso tempo.
L’ho degustato riguardando l’opera del Merisi e forse lo sguardo interrogativo del ragazzo è teso probabilmente a volerne un calice anche lui…..anche questo è un miracolo diVino.