Saint Benoît d'Aniane, nato nel 750, morto nell'821, fu un aristocratico di origine visigota del periodo carolingio, famoso per la sua opera di riforma del monachesimo, che fu caposaldo nello sviluppo dell'Ordine Benedettino in Europa e che gli valse il soprannome di Secondo Benedetto. Tra le altre cose, fu rinomato Consigliere del figlio di Carlo Magno, Luigi, quando era re d'Aquitania, poi quando divenne imperatore, fu uno dei principali protagonisti del Rinascimento carolingio.
Integerrimo e fin quasi estremista nel suo campo, si ricorda di lui il fatto che divenuto monaco, per due anni e mezzo praticò uno strenue digiuno, assumendo pochissimo cibo, solitamente pane e acqua ed evitava il vino come se fosse la pesta bubbonica. Il suo ascetismo rigoroso lo mise talmente in evidenza da riservargli in seno alla comunità, incarichi importanti, come quello di cellerario, ossia soprintendente alla cantina e alla dispensa del capitolo canonicale, ma ben presto le benevolenze nei suoi confronti vennero a mancare, in quanto restio nell’offrire ai monaci vino a volontà.
Queste divergenze, lo costrinsero a lasciare l’abbazia, nonostante gli fosse stata offerta la guida e a tornare verso le terre natie, dove fondò un piccolo monastero nei pressi del fiume Aniane. La sua fama di santità si diffuse in breve tempo, tanto da attirare un buon numero di seguaci che ne ammiravano le opere miracolose a lui attribuite, ma altresì perseguivano il suo esempio di perfezione nella vita quotidiana, fatta di rinunce. Per fare un esempio, mentre i fratelli monaci bevevano vino, egli spesso beveva acqua ad eccezione del sabato e della domenica, forse in segno di santificazione pre e festiva.
Si narra che un giorno, mentre si dirigeva verso il monastero di Menat, nell’Alvernia, si fermò presso una piccola dipendenza del medesimo cenobio; riconosciutolo, il fratello più anziano ordinò ad un giovane di portare del vino quale segno di riverenza ed ospitalità. Vivendo in completa povertà, si accorsero che nella botticella non ci fosse più vino, se non un paio di modesti vasellami che contenevano quello necessario per celebrare le messe giornaliere e per riceverne una dose ciascuno nei giorni festivi. Saint Benoit, senza indugio ed invocando il Signore, ordinò al giovane di portare la botticella e di servire il vino, che in abbondanza iniziò a sgorgare. Anche Benedetto se ne servì e fece una piccola scorta per il proseguo del suo viaggio.
Questo miracolo, che segue quello più celebre delle nozze di Canaan, mette un po’ in contraddizione il rapporto che avesse con il nettare di Bacco; da una parte, una sorta di rifiuto e quasi di intolleranza che faceva da contraltare alla convivialità e alla condivisione con i fratelli monaci. Da notare che San Benedetto d'Aniane, piantò un vigneto nella valle di Gassac nel 780 d.C. e gli storici ampelografi credono che il Santo invitò Carlo Magno a degustare i primi vini prodotti nella valle. Il suo ascetismo, che venne preso ad esempio in tutto il medioevo, profetizzava il fatto che il vino non fosse per il consumo dei monaci e lo ribadì in una lettera scritta all’eremita Guglielmo, in cui affermava che nonostante fosse una creatura di Dio e quindi da ritenere buona, la sua astensione penitenziale fosse l’espressione più ampia di una scelta spirituale, che consentisse un intenso e rapido avvicinamento al Signore.
Sono certo che se Aimè Guibert fosse stato un contemporaneo del Santo, sarebbe sicuramente riuscito a fargli cambiare idea nel momento in cui gli avesse offerto in degustazione il suo Mas de Daumas Gassac!!!
Nel 1971 l'etnologa irlandese Véronique Guibert de la Vaissière e suo marito Aimé, un conciatore e produttore di guanti a Millau, si innamorarono di una vecchia fattoria abbandonata nell'incontaminata cornice rurale della valle di Gassac vicino all'antica abbazia di Aniane, siamo nell’Herault, nel cuore della Languedoc-Roussillon; l’anno successivo piantarono 17.000 innesti di Cabernet Sauvignon non clonati provenienti dalle migliori proprietà di Bordeaux e nel 1980, grazie alle mani esperte dell’enologo Emile Peynaud, già consulente di Chateaux Margaux, Haut Brion, La Mission Haut Brion e La Lagune, esce la prima annata, la 1978. Nel 1982 il Mas de Daumas Gassac venne definito “lo Chateau Lafitte della Linguadoca” e da questo istante iniziano le fortune dell’omonimo Domaine e dei suoi vini che nel corso degli anni hanno implementato produzione e varietà.
Nonostante la scomparsa di Aimè nel 2016, la filosofia è sempre la stessa, riassunta in una parola: “rispetto”; rispetto per l’ambiente e per il terroir, rispetto per la complessità dei vini che devono mantenere una loro identità unica e rispetto per un biotipo naturale e stabile prodotto dalla foresta di gariga che circonda la valle di Gassac e che offre le condizioni per l’ottenimento di un ecosistema flora-faunistico invidiabile.
Grazie all’amico Emanuele Spagnuolo di Grandi Bottiglie (www.grandibottiglie.com) riesco a mettere le mani sull’annata 1997, che ho abbinata a un succulento polpettone di carne.
Ma veniamo alla degustazione di questo vino composto dal 70% di Cabernet Sauvignon, da un 13% di Cabernet Franc, 5% di Syrah, 4% di Merlot, 3 % di Malbec 2% di Tannat, 2 % di Pinot Noir e 1% di vitigni rari tra cui l’Armigne e l’Arenie.
Stappato 4 ore prima di essere servito utilizzando cavatappi a lamella onde evitare eventuali problematiche legate all’età, si presenta di un bel colore rosso rubino limpido con tendenza al granato sull’unghia, un colore giovane ed inconsueto per un vino di 23 anni.
Al naso, dopo un iniziale preponderanza di note di frutta rossa matura, dove spicca la mora e il mirtillo, emergono caratteristici sentori erbacei e balsamici, note speziate di pepe nero e sul finale un inconfondibile fragranza di polvere di cacao.
In bocca è invitante, incredibilmente fresco e non pare di degustare un vino del ’97, tra l’altro annata decisamente calda; è ampio, armonico con una struttura notevole, dove il tannino si sente ancora ma in modo setoso e dove la mineralità ci regala un corollario decisamente fine ed elegante. Corrispondenza naso/bocca da manuale con questo ammaliante retrogusto di cioccolato che riempie la cavità orale una volta dissipata la componente fruttata ed erbacea. A mio modo di vedere questo vino è un fuoriclasse, un vero cavallo di razza che ha saputo domare il tempo e che traspare evoluzione ancora innanzi a sé.
Qualcuno ha definito il Mas de Daumas Gassac il Grand Cru del Sud di Francia, a me piace pensare che nel momento in cui scrivo Aimè Guibert e Saint Benoit d’Aniane se ne stiano bevendo un calice in compagnia, da qualche parte in un mondo parallelo.