Non è stato semplice strappare un appuntamento ad uno degli ultimi “grandi “vecchi” di Langa. Paolo, per alcuni giorni si è attaccato ad un telefono che suonava a vuoto o che risultava perennemente occupato e quando a metà settembre è riuscito finalmente a scambiare alcune parole, è stato invitato a richiamare dopo la metà di ottobre. Poco male.

A margine della meravigliosa serata torinese di degustazione e comprensione dei vini di Madame Leroy, gentilmente concessaci dall’amico Emanuele Spagnuolo (titolare dell’enoteca Grandi Bottiglie- www.grandibottiglie.com), il giorno seguente, ci siamo recati a La Morra, frazione Borgata Pozzo al nr. 32 per incontrare l’ultimo Cavaliere del Barolo.

Salendo verso la Morra, percorrendo la provinciale, provenienti da Castiglione Falletto, alcune centinaia di metri dopo la panoramica azienda di Renato Ratti, incontriamo un’insegna un po’ vintage indicante il luogo dell’appuntamento. Una trentina di metri di strada sterrata ci conduce in quel che resta di un’antica aia; una fila si case coloniche un po’ fatiscenti ed all’estrema destra quella di Accomasso. Una vecchia Fiat Panda color amaranto e l’armeggiare di alcune bottiglie ci inducono a pensare che qualcuno sia presente in casa. Ci accoglie una signora, che in seguito ci verrà presentata come aiutante nella gestione aziendale e domestica, che ci invita a suonare il campanello della porta adiacente all’entrata di una disordinata saletta di degustazione.

Dopo un paio di minuti di attesa, si presenta il Cavaliere. Classe 1934, alto, fisico asciutto, vestito con un paio di calzoni di fustagno, camicia e giacca grigia, sciarpetta di lana al collo e berretto sportivo con un’improbabile marca pubblicitaria. Occhi azzurrissimi alla Paul Newman, barba bianca incolta e capelli bianchi che fuoriescono in modo spettinato dal cappellino.

Siamo all’interno di un locale non troppo ampio con al centro un vecchio tavolo e tre sedie e con una miriade di contenitori di cartone e di bottiglie poste disordinatamente; diplomi appesi alle pareti e una fotografia del suo vigneto migliore, il Rocchette, inserito come sottozona del più celebre Rocche dell’Annunziata, rivolto a mezzogiorno, a guardare Castiglione Falletto. Gli stringiamo la mano, ruvida come i ceppi dei suoi vigneti e poi ci sediamo pronti ad ascoltarlo. Sul tavolo due bottiglie, una di Barolo 2010 appena aperta e l’altra di Barbera 2012 semivuota, lì da quattro giorni. 

Inizia un monologo che inaspettatamente non parte dal vino, ma dal fatto che la mattina si fosse recato ad Alba ad acquistare un paio di scarpe nuove, visto che il giorno seguente avrebbe dovuto partecipare ad un avvenimento importante, per il quale, unicamente per scaramanzia, rimane molto ermetico. A onor del vero, giunti in anticipo a La Morra, ci eravamo recati a Grinzane Cavour per visitare dall’esterno il castello e per berci un caffè ed avevamo notato nei pressi alcune autovetture della Rai ed una serie di tecnici che stavano ultimando i preparativi per chissà quale trasmissione.

Dal precisarci il freddo della mattinata, si passava in breve tempo al freddo della morte nel ricordo della sorella Elena, classe 1929, mancata il 24 agosto 2016. Parlando di lei, che ha passato una vita in simbiosi col fratello, curando sin dagli anni ’70 la parte commerciale, in parte si commuove ed i suoi occhi, per alcuni istanti, si fanno ancora più splendenti, nonostante siano inumiditi da un impercettibile umore acqueo.

Cerchiamo di sviare il discorso riportandolo sul suo bene più prezioso: il vino. E’ un uomo che ha appena concluso la sua 70° vendemmia (dieci con il padre e sessanta da solo con il suo debutto nel 1958). Non è semplice fargli sintetizzare settant’anni vissuti giornalmente a contatto con la natura e con una terra magica, come solo le Langhe possono essere. 

Ad intervalli regolari, porge lentamente la mano rugosa sugli occhi, quasi nel cercare insistentemente di togliere quelle patine che tentano di sbiadire i ricordi accumulati in tanti anni di fatica. Non ti guarda quasi mai, ma il suo sguardo, a volte è assente o è teso verso un orizzonte a noi sconosciuto, o al massimo, verso il quadro riportante il vigneto Rocchette. Un vigneto che è come un figlio, quello che nella vita non ha mai avuto.

Discutendo con lui, ci sorprende il fatto che guardi avanti, al futuro, nonostante gli anni e l’intento di acquistare un nuovo vigneto ci sorprende. 

Parlando del suo lavoro, ci confida che, da sempre, il vino lo fa in vigna e che le sue vinificazioni sono le più tradizionali possibili con macerazioni che possono raggiungere anche 50 giorni; non segue le tempistiche del disciplinare ma fa uscire i suoi vini quando ritiene siano pronti, tanto è vero che ha appena finito di imbottigliare l’annata 2010!!

Chiediamo lumi sull’ultima vendemmia, ma non si sbilancia ed è prematuro fornire un giudizio che potrà emettere non prima di un anno.

Le sue annate del cuore sono la 1958, la prima annata da solo, senza l’ausilio del padre e della quale conserva ancora alcune bottiglie, poi a seguire la 1971 di inaudita potenza e la 1990 di una finezza e di un’eleganza ineguagliabile. Molti sono i giovani vignaioli che ricorrono ai suoi consigli; lui stesso ci dice che sono bravi e volenterosi ma che hanno il difetto di non saper aspettare il vino, forse offuscati da logiche commerciali e da guadagni facili e immediati.

Struggente è il ricordo dell’amico Bartolo (Mascarello) e delle sue idee di sinistra e delle battaglie che la figlia Maria Teresa continua a perpetrare sulla salvaguardia del territorio. Un altro ricordo è per il compianto Teobaldo (Cappellano) e per il figlio, che spesso viene a trovarlo. E’ parco di consigli, da come sia importante e come di debba fare a piantare i pali di castagno in vigna, a quanto deve essere la percentuale di acido acetico (volatile) nel Barolo e appena può ti racconta aneddoti di vita vissuta, come quella volta che lasciò per quattro anni una damigiana di Barolo al sole senza che lo stesso si alterasse, mantenendone le peculiarità di base.

Il rapporto tra Accomasso e il suo vino è estremamente intimo, tanto da conservare gelosamente alchimie per noi indecifrabili che non lasciano spazio ad una completa comprensione dei suoi segreti di vignaiolo. In un mondo vinicolo spesso urlato e negli ultimi anni attraversato da una pericolosa deriva di standardizzazione ed omologazione dei vini, lui è il silenzio, il legame profondo con la terra, privo di scorciatoie o di artifici, teso ad un risultato senza compromessi. 

Ad un certo punto, come un vecchio patriarca, pone sul tavolo un paio di bicchieri e con un gesto semplice ed antico allo stesso tempo li avvina per poi versarci un’ombretta del suo Barolo 2010, senza fornirci alcuna spiegazione sul vino né tantomeno ricercando in noi alcun consenso, continuando come se nulla fosse la conversazione.


Solo per la cronaca, i suoi vini rispecchiano l’imperfezione umana, ma hanno un’anima e per questo sono veri; li ho sentiti liberi e privi di qualsiasi vincolo legato alla moda del momento o a meri condizionamenti di carattere commerciale o di marketing.

Dopo tante visite in cantina a parlare con enologhi, agronomi, direttori commerciali ed addetti alle vendite, avevamo bisogno di una boccata di ossigeno, che solo un vero vignaiolo con un forte legame con la propria terra, poteva darci, riuscendo a trasmetterci  quella fatica contadina che avevamo dimenticato da troppo tempo. Un legame diretto ed un contatto viscerale con la realtà che ci ha avvicinato di più al vino, trasmettendoci emozioni e sentimenti semplici ma umani.

Avrebbe dovuto concederci un quarto d’ora del suo tempo, ma dopo un’ora eravamo ancora lì ad ascoltarlo; ad un certo punto ci dice di essere stanco e forse è il caso di congedarci, anche se prima del nostro commiato (acquistiamo un paio di bottiglie a testa), ci confida di avere un sogno mai esaudito in una vita di lavoro, quello di poter visitare la Borgogna, una terra che ha molte similitudini con le Langhe. Ci offriamo di accompagnarlo, ma giustamente ci fa osservare che, se proprio dovesse scegliere, preferirebbe la compagnia di una bella donna!! Come dargli torto??

La porta si socchiude lentamente, riprendiamo l’auto e mentre ci allontaniamo pensiamo se ci sarà una prossima volta o se questa visita resterà un ricordo che sbiadirà nel tempo come lacrime nella pioggia, ma soprattutto se ci sarà, prima o poi, un’eredità aziendale degna continuazione di una tradizione langarola che, a poco a poco, sta perdendo i suoi pezzi più pregiati.

                                                     Paolo con il Cavalier Accomasso